venerdì 10 aprile 2020

SETTIMANA DI PASSIONE - " ELI' ELI' LEMA' SABACHTANI"


Venne il tempo che non ci furono più parole, non ci furono più preghiere e suppliche, non ci furono più invocazioni e misericordie, e venne pure il tempo che non ci furono più sanzioni e più riappacificazione, perchè così era scritto e dovuto, voluto e sottoscritto. Ma venne il tempo del sacrificio, del dolore e delle rinunce, e venne il tempo del doversi sottomettere e accettare, soffrire e lasciarsi abbandonare, e venne il tempo della Croce sul Golgota del mondo, del Cristo a lui uguale e del suo essere lui nel tempo a noi ugualmente medesimo.
Nell'orto dei Getsemani, tra secolari ulivi e prati in erbe verdi, nella natura antica e vergine insieme, Lui si prostrò in ginocchio e in Lui si liberò il mistero del divino e fu allora che entrò nell'animo e nella mente nel doloroso sacrificio di essere davvero e unicamente uomo, e conobbe il dolore del frutto che il suo divino Padre aveva da tempo generato, e conobbe la solitudine che reca dentro per non saper strappare quel male insito dal peccato originale, la solitudine di non avere che la preghiera per potersi liberare e sperare, e sentì la noia, quella che svuota l'animo perchè non ha più niente da dare e donare, che nessuno sa ascoltare e non vuole. Sulla Croce ritrova lo stesso dolore, empio da quello fisico dei chiodi piantati negli arti e della corona in spine che trafigge il capo, il sacrificio voluto per il riscatto di quello stesso peccato che argina nell'uomo creato, e di quell'uomo, Lui in quanto tale, sacrifica il suo corpo senza nessuna più concezione del risorgere o di non davvero morire, la stessa paura e solitudine immensa nel dovere abbandonare la terra, che nonostante, l'aveva visto nascere, credere e santificare, miracolare e profetizzare, e da quella stessa odiare e bistrattare, e infine mettere in Croce per castigare.
E sotto quella croce, la madre a piangere con amici e conoscenti, lo strazio sublime dei presenti e le calunnie dei soldati, su quella Croce, l'uomo che cede tutto se stesso e nella solitudine del momento non può che reclamare e invocare il Padre che crede l'abbia abbandonato.
E venne il tempo che tutti eravamo davvero su quella Croce, di essa pativamo i tormenti del sapere di dovere morire per volontà dall'alto e per esso sacrificare ogni nostro momento di vita che ci faceva respirare, e sulla Croce il grido violento di coloro che in un letto d'ospedale hanno gridato dietro una mascherina in tessuto o in un incubazione, un grido che dalle braccia ferme da aghi, come chiodi e spine, hanno cercato il volto o il sorriso, la stretta di mano che non era concessa, e solitudine incontro al Padre che li aveva, nella forte certezza, abbandonati.
E sotto la Croce, mariti o mogli, figli o fratelli e sorelle, amici, parenti nello strazio sublime di non poter fare niente e restare a guardare che ogni stilla di sangue persa dal Cristo sospeso sul supplizio, ricadesse nelle loro teste a santificare l'abbandono e perdonasse loro che male, come il Gesù stesso, non avevano fatto. E sulla Croce, ancora, i presenti ad aspettare!
46 - Verso l' ora nona, Gesù gridò, con gran voce:
Elì, Elì, lemà sabachtanì?”
Cioè:
Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?”
47 – Or alcuni degli astanti, udendo ciò, dicevano:
Senti, chiama Elia”.
48 – E subito uno di essi corse a prendere una spugna e inzuppatala d'aceto e infilatala ad una canna, gli dava da bere.
49 – Gli altri poi dicevano: “Vediamo un po' se viene Elia a liberarlo”.
50 – E Gesù dopo aver di nuovo gridato con voce forte, SPIRO'. ( MT.27, 46 – 50)

Roberto Busembai (errebi)

Immagine: William-Adolphe_Bouguereau_(1825-1905)_-_Compassion_(1897)

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