venerdì 30 luglio 2021

DONNE PROTAGONISTE NEI FUMETTI

La mia curiosità sui fumetti mi ha portato oggi a scoprire da quando e quante sono le donne protagoniste, ovvero che hanno avuto un ruolo di primo piano, travolgendo a volte la figura maschile.

Sorprendentemente si trovano già delle vere eroine negli anni Venti, donne come Winni Winkle che con il suo lavoro da stenografa riesce ad aiutare economicamente i genitori o come Tillie the Toiler, attraente segretaria che nel tempo libero adora fare la modella in un fascinoso negozio di moda, tanto da permettersi ogni giorno un vestito diverso, ma colei che sarà l'eroina più apprezzata sarà Connie Jurridge del grande Frank Godwin, creata nel 1927 nel tempo ha assunto varie e diverse occupazioni come aviatore, giornalista, addirittura detective e con il suo fascino “biondo” riusciva a ingannare i cattivi.





Sarà sulla scia di questo notevole successo che sorgeranno altre “bionde”, la perfida e sensuale Jane o la misteriosa Dragon Lady per arrivare alla più conosciuta Miss Lace in quanto i suoi fumetti erano pubblicati su giornali statunitensi destinati ai militari impegnati nella Seconda guerra mondiale, seguiranno poi Brenda Starr una giornalista, la super Wonder Woman per arrivare in Italia con la “pluricensurata” per il suo abbigliamento molto succinto e atteggiamenti che parevano provocanti ( siamo negli anni '40) Pantera Bionda di Dalmasso e Magni.





Negli anni cinquanta non ci sono eroine vere e proprie al di la della romantica Juliet jones o l'attrice Mary Perkins che nei suoi fumetti il tempo passa come nella realtà e “si invecchia”.

Nel 1962 la fantasia del francese Jean-Claude Forest fa nascere “Barbarella” una donna libera e molto disinibita, un vero successo editoriale tanto che da allora in poi le eroine femminili avanzano anche se spesso punteranno sulla loro apparenza e sul loro corpo fascinoso, del resto il mercato dei fumetti è prettamente maschile ed è su quello che si deve puntare.

Barbarella si può definire un'eroina postfemminista e tradizionale contemporaneamente, è sempre poco vestita se non addirittura nuda,sarà sempre alle prese con situazioni pericolose e dovrà confrontarsi con figure maschili di varie etnie, spesso istaurando rapporti amorosi ma da uscirne sempre vittoriosa, del resto la sua arma migliore è l'erotismo e la seduzione.

Sarà un successo enorme, tale da far nascere un susseguirsi di eroine, il più delle volte comunque effimere, come ad esempio la modella Tiffany Kones, l'avventuriera Modesty Blaisa o addirittura la tenebrosa Vampirella.

Ma sul finire degli anni '60, un grande genio del disegno, stavolta italiano, Guido Crepax ci offrirà un'eroina che non avrà eguali e che ancora oggi è ricordata e famosa, Valentina.

Valentina nasce come compagna di un protagonista maschile, Neutron che ha capacità di rallentare il tempo se non addirittura fermarlo, ma dopo poche edizioni la protagonista diverrà lei.Valentina è una fotografa con problemi legati all'anoressia, è spregiudicata e curiosa e vive in un mondo onirico con il fidanzato Philip, è molto sensuale e spesso è raffigurata nuda. E' una delle poche figure del fumetto che abbia un'identità, infatti è nata il giorno di Natale del 1942 ( come la moglie di Crepax, Luisa Mandelli ) e la residenza è un appartamento a Milano in via De Amicis ( lo stesso indirizzo della Mandelli), e cresce e invecchia nel tempo come una persona reale.

I tratti fisici pare che Crepax ne abbia preso spunto da una attrice degli anni venti, che con il suo atteggiamento di donna fatale aveva conquistato un vasto pubblico (maschile), Louise Brooks,e che la stessa Valentina in un fumetto rivelerà che il suo look è proprio nato da quell'attrice.

Anche la moglie Luisa Mandelli ( che proprio l'anno scorso per una complicazione dovuta dal Covid19 è deceduta) aveva posato come modella per il personaggio.

Da allora nasceranno soltanto donne erotiche, e tra le tante non possiamo comunque menzionare le bellissime di Milo Manara, tra cui spicca la spudorata e sensualissima Miele

Roberto Busembai (errebi)


Immagini web: Winni Winkle, Tillie the Toiler, Connie Kurridge, Miss Lace, Pantera Bionda, Barbarella, Valentina e Miele

lunedì 26 luglio 2021

SANDRO BOTTICELLI - VORAGINE INFERNALE


Per rimanere nel grande tema letterario di questo anno, dedicato a Dante, e spostandolo nel mondo dell'arte pittorica mi viene da nominare un grande Maestro del Rinascimento che si accostò con devozione e lena a rappresentare con sua mano i sorprendenti canti della “Divina Commedia”.

Intorno alla fine del quattrocento su commissione di Lorenzo di Pier Francesco de' Medici, cugino del più noto Lorenzo il Magnifico, Sandro Botticelli si dedica alla stesura pittorica e di disegno dei canti della Divina Commedia di Dante, un manoscritto su cartapecora (come è attestato nell'Anonimo Gaddiano o Anonimo Magliabechiano che si trova presso la Biblioteca Nazionale di Firenze) che era stato ideato per una consultazione dal basso verso l'alto, ovvero dall'Inferno fino ad arrivare al Paradiso, seguendo appunto il lungo percorso ideato dall'Alighieri.

Il Vasari invece si pronuncia diversamente a riguardo: “Per essere persona sofistica comentò una parte di Dante, e figurò lo Inferno e lo mise in stampa, dietro il quale consumò dimolto tempo; per il che non lavorando, fu cagione di infiniti disordini alla vita sua”.

Ma il Vasari certamente si riferisce a un'altra serie a cui il Maestro Botticelli si dedicò, quella che le sue immagini accompagnarono un'edizione pubblicata da Niccolò della Magna, un acerrimo sostenitore del Dante e di queste rimangono solo diciannove incisioni da Botticelli e eseguite da Baccio Baldini, e che, come asseriva il Vasari, riguardano soltanto l'Inferno.

Della grande opera invece di cui vogliamo occuparci, purtroppo ne sono rimasti soltanto 92 disegni e si trovano il Kupferstichkabinett di Berlino e la Biblioteca Apostolica Vaticana.

L'opera era così suddivisa: il testo di ogni canto doveva essere contenuto in una sola pagina, scritto con orientamento orizzontale, a penna e inchiostro, la lettera iniziale era assente in quanto avrebbe dovuto essere miniata e la stessa cosa per il primo verso, perchè avrebbe dovuto essere scritto a caratteri colorati, il calligrafo allora incaricato fu Nicola Mangona, uno dei più ambiti e rinomati nella Firenze quattrocentesca.

Non sappiamo se il Botticelli abbia curato anche la stesura del colore, ma i disegni gli appartengono tutti e sono realizzati a punta d'argento ripassati a penna, in fogli distinti e pensati come uniti tra loro.

Sono opere meravigliose in cui il Botticelli punta l'attenzione proprio sul viaggio espressamente metafisico, non tanto fisico, di Dante e lo realizza appunto rappresentando, in ogni canto, non soltanto l'episodio specifico di cui si tratta, ma riproducendo il protagonista (l'Alighieri) più volte e in diverse espressioni e mutamenti ( Dante è sempre comunque rappresentato con il manto rosso mentre la sua guida Virgilio con il manto blu).

Botticelli nelle rappresentazioni dei canti dell'Inferno raffigurerà con potente incisione lo strazio e l'atrocità del luogo, i disegni saranno carichi di personaggi ma nessuno emergerà o sarà protagonista come invece lo notiamo nell'intenzione letteraria di Dante. Botticelli non si interessa tanto a dover fare un'opera d'arte, ma a sottolineare l'essenza dei luoghi e del loro significato morale e interiore.

A differenza dei disegni dell'inferno in cui dai tanti personaggi e rappresentazioni pare non esista lo spazio, con il Purgatorio si inizia a creare un grande spazio vuoto nelle inquadrature raggiungendo la quasi totalità “vuota e celestiale” nel Paradiso.

Il disegno che propongo è praticamente il frontespizio del manoscritto ed è l'unica miniatura terminata e rappresenta la Voragine infernale dovuta alla caduta dal Paradiso del Diavolo Lucifero.

E' un disegno altamente colorato, esso copre totalmente la prima pagina e nel suo verso vi è il disegno del Canto I. Per Dante, l'Inferno è una struttura a imbuto, che partendo dalla grande estensione in alto (la terra) va sempre più a chiudersi in basso( il centro della terra). Alla base di esso , in alto, è racchiuso in una volta su cui sorge Gerusalemme da cui partono nove cerchi e poi a seguire altri che tendono a stringersi man mano che raggiungono l'estremità inferiore, e i peccatori espiano le loro offese in diversi ambienti, e colui che ha la colpa più grande troverà la sua prigione sempre più in basso. Botticelli illustra una sezione verticale del cono e i cerchi hanno l'aspetto di strati orizzontali sovrapposti dove risiedono gruppi di piccole figure. Il Maestro ne fa un'esecuzione molto accurata e come possiamo notare, e già ribadito, è preoccupato più a dare una visione comprensibile delle regioni infernali, che di farne una eccellente concezione artistica. Naturalmente l'ultimo cerchio è così piccolo dato il forte restringimento, che era impossibile darne una rappresentazione ben distinta, per cui il Maestro opta per una riproduzione su scala in fondo al foglio, come un disegno supplementare. Per risaltare le figure rappresentate il Botticelli dipinge la struttura e le rocce di un tono marrone e giallo così da contrapporre le figure in tinte molto chiare, il tutto contornato di un bordo di foglio d'oro pallido.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web : Sandro Botticelli – Voragine infernale

martedì 20 luglio 2021

GIOVANNI FATTORI - BOVI AL CARRO


C'è un forte bisogno di aria pura, panorami spaziosi, vita semplice e naturale e riposo mentale, c'è un forte bisogno di riprendere le redini di una vita che corre come un cavallo impazzito che non ha limiti alcuni da cadere imbizzarrito in un lungo precipizio infinito. E in questo bisogno solo l'arte ci può risollevare e magari illuderci un attimo di poter di nuovo respirare.

Questa premessa così attuale e così vera mi è servita per indurvi ad ammirare e gustare uno dei tanti quadri del capostipite dei “Macchiaioli”, Giovanni Fattori e il suo “Bovi al carro” del 1867

Fattori era un appassionato e accorato amante della vita campestre, del mondo così genuino e semplice, sia per la natura che liberamente offriva i suoi incanti e sia per i personaggi, i contadini che svolgevano con ossequiosa gratitudine uno dei lavori più faticosi e sacrificanti del tempo.

Il maestro viene quasi colpito da questo realismo nelle sue tinte, nelle sue opere ne trasmette tutto il calore e l'amore che ne prova, e lo fa con “chiazze”, con “macchie”, una personale rivoluzione su un “impressionismo” che tanto era in voga in quel'800.

Con un veloce tocco di pennello, Fattori imprime la “realtà” che vive e di cui è impressionato, e in questo tocco non importa il dettaglio, sia lui che noi sappiamo com'è fatto un carro, i buoi, basta un colore, una tonalità giusta, una luce calda e la nostra memoria visiva si espande con la memoria e l'immaginazione ed ecco che guardando questo quadro, sentiamo le ruote del carro e proviamo il peso dei buoi a trascinarlo, l'attimo quasi di riposo del contadino seduto in cassetta, ma soprattutto godiamo di quel fantastico paesaggio naturale che ogni giorno ci è donato, un paesaggio, la Maremma” amato e goduto dal Maestro.

Tuffiamoci in queste opere così “pulite” da inquinamenti sociali e industriali, e libriamo i nostri pensieri a un mondo che “purtroppo” non esiste quasi più e del quale invece, proprio adesso, ne avremmo tanto di bisogno.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Giovanni Fattori – Bovi al carro

mercoledì 14 luglio 2021

LE QUATTRO RAGAZZE WIESELBERGER - FAUSTA CIALENTE


Alle soglie di un nuovo successo per un premio ambitissimo, “Strega”, vorrei menzionare il premio del 1976, quando una ormai quasi dimenticata, Fausta Cialente (censurata dal potere fascista per il suo romanzo d'esordio Natalia, pubblicato in Italia dopo la guerra), stravinse con il suo romanzo biografico “Le quattro ragazze Wieselberger”.

E' un romanzo ambientato ai primi del '900 in una città non ancora italiana, Trieste, dove in una famiglia borghese nascono successivamente quattro ragazze, Alice ,Alba, Adele e Elsa , quest'ultima a differenza delle altre non ha il nome che inizia per la “a” ma è l'unica di cui sappiamo il motivo del suo nome, infatti è voluto dal proprio padre in onore all'eroina dell'opera Lohengrin di di Richard Wagner a cui il signor Wieselberger era intervenuto alla “prima” e in quanto maestro di musica ne era rimasto affascinato.

La narrazione si dipana sulla vita giornaliera di questa famiglia, soprattutto sulle quattro signorine, ma si svilupperà poi soprattutto su Elsa ( che sarebbe la madre dell'autrice) attraverso quattro generazioni e dove la Cialente sottolineerà quel qualcosa che la classe borghese pare cieca , un odio (che pare quello attuale) pervade e si intrufola subdolamente nella Trieste. Una vera forma di razzismo (che non è poi tanto dissimile da quello odierno),verso i “diversi” che non sono tali soltanto per razza, religione, civiltà o sesso ma soltanto per provenire da città differenti.

E' un romanzo che inonda sia musicalmente che socialmente, e che ci presenta anche personaggi del periodo che sono poi abituali e comuni “amici” di famiglia come Puccini, Verdi, Boito, e un certo industriale di vernici sottomarine, Ettore Schmitz, non ancora conosciuto Italo Svevo.

Un occhio attento e deciso da parte della scrittrice anche sulla condizione della donna, che è spesso costretta a rinunciare ad una carriera per un matrimonio , matrimonio che poi per il nome e rispetto dei figli, sempre la donna, dovrà tenere insieme, pur sapendo delle gesta alquanto libertine dei propri mariti.

Un libro per me assolutamente moderno, attuale e interessante.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web : Copertina del libro