venerdì 21 maggio 2021

POGGIO BRACCIOLINI - IL GALLO E LA VOLPE


Poggio Bracciolini fu un esimio esponente dell'Umanesimo, Aretino di nascita ebbe prestigiosissimi incarichi sia nella curia romana e poi all'interno del comune di Firenze, fu scopritore di grandi e importanti scritti antichi nelle biblioteche d'Europa e dette un forte risalto alla conoscenza e alla rivalutazione dei classici quali Cicerone, Quintilino ecc., scrisse molte opere in latino e le famose “Facezie”, una raccolta di racconti talvolta comici.

Da uno di questi racconti ne ho fatto una mia libera interpretazione e si intitola “Il gallo e la volpe”.


IL GALLO E LA VOLPE


Ben sappiamo come le volpi siano sempre affamate ma al tempo stesso dotate di una proverbiale furbizia, e sappiamo anche che le loro prede preferite sono le “sciocche”galline.

Un giorno una di queste volpi, si aggirava per la campagna con una fame esagerata e nella sua ricerca affannosa di trovare una preda, rimaneva sempre digiuna per l'assenza di un buon bocconcino, quando ad un tratto notò al di sopra di un albero, ad un'altezza per lei irraggiungibile, un gallo con al suo seguito un cospicuo numero di galline che eseguivano le sue indicazioni.

La volpe allora si avvicinò al di sotto del gallo e dopo averlo salutato con la dovuta e esagerata cortesia, gli domandò con la più assoluta innocenza:

“ Buon gallo, ma cosa state facendo lassù molto in alto? Non avete saputo delle novità che riguardano noi tutti? Non sapete delle positive notizie che ci interessano?”.

“ Io non ho sentito niente e non ho saputo di queste notizie” rispose il gallo e proseguì “Ditemele voi allora, sono tutto orecchi!”

“ Oh certamente...” rispose la volpe “ son giunta appositamente qui da voi per farvene conoscenza e per dividerne con voi l'immensa gioia. Giorni or sono si è tenuto un convegno tra tutte le specie animali ed hanno stabilito che fosse indetta una pace perenne tra tutti gli esseri viventi.

Da questo perciò non esisteranno più timori, svaniranno gli inganni e le violenze e tutti potremo vivere in armonia e assoluta pace con la libertà di muoversi senza alcuna paura, ed è per questo che vi incito a scendere da lassù, carissimo mio amico gallo, con tutte le vostre galline, per poter così festeggiare questo evento insieme.”

Ma il gallo non era poi così tanto scemo, aveva ben capito il furbo tentativo della volpe, e rispose:

“ La vostra notizia è davvero soprendente e mi rende alquanto felice ...” e mentre parlava allungava il collo e guardava lontano, dando ad intendere alla volpe che era interessato a guardare qualche cosa.

“Ma cosa state guardando così da distrarvi completamente?” Chiese la volpe

“Due cani...” rispose il gallo “ due ferocissimi cani si stanno avvicinando a noi, sono due cani dalla fauci aperte e molto ringhiosi, corrono verso la nostra direzione...”

“Beh allora vi saluto, sarà bene che fugga prima che ci raggiungano” prese a dire la volpe che già iniziava ad allontanarsi.

“ Ma che paura avete, perchè scappate? Dal momento, come avete detto prima voi, che si è stabilita la pace, non dovete avere timore alcuno.” Quasi divertito, diceva il gallo.

Ma la volpe che non stava più sulla pelle dalla furia di scappare rispose:

“Non sono poi tanto sicura che questi cani siano informati della normativa!” E fuggì via con la velocità di un fulmine.

Questo è quello che accade a chi vuol ingannare e invece rimane ingannato.


Mia libera interpretazione del “Il gallo e la volpe” da le Facezie di Poggio Bracciolini


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web

venerdì 14 maggio 2021

LEONARDO DA VINCI - IL GIGANTE


Vi voglio raccontare una novella, diciamo una favola o se vogliamo anche una leggenda, che il grande Leonardo da Vinci scrisse tra le tante dedicandola a un suo conoscente, Benedetto Dei, un fantomatico personaggio alla corte di Lorenzo de Medici, che il genio incontrò quando risiedeva alla corte di Lodovico il Moro.

Questa che vi racconto è una mia libera interpretazione e soprattutto è presa come esempio e rappresentazione a un GIGANTE che noi da un anno e poco più purtroppo conosciamo e pare che sia stata scritta proprio pari pari ai fatti e agli avvenimenti che tutti ancora combattiamo.


IL GIGANTE


Nel mese di giugno ( io apporto la modifica personale e scrivo Marzo) apparve un gigante che veniva dalla Libia ( io penserei dai paesi dell'Est) e che pare avesse già combattuto con gli Arabi, i Persiani e altri popoli lontani, era un gigante che non si sa bene da dove fosse nato, che si nutriva di genti e di persone, la sua faccia era orribile e faceva paura a guardarla, gli occhi erano rossi infuocati che solo Lucifero potrebbe eguagliare, il naso arricciato e ogni suo passo fa tremar la terra, era mastodontico e enorme tanto che un uomo a cavallo a malapena gli arrivava al dorso del piede. Dunque in quel mese di marzo iniziò arrabbiato e furioso a farsi strada con i piedi, scaraventando a calci gli uomini per aria, i quali poverini, ricadevano violentemente a terra come chicchi di grandine e morivano. Altri magari morti dalla paura, ricadendo su alcuni rimasti vivi a loro volta arrecavano morte, e si alzò così un polverone enorme , tanto che fece smettere dell'agitare delle gambe al gigante.

Chi era rimasto vivo se la dette a gambe levate perchè ogni loro tentativo di abbattere quella furia, era inutile e assolutamente vana. Poveri uomini, le loro fortezze non servono più a nulla, le alte mura, le città, i palazzi e le case non erano più riparo, allora non restava che nascondersi nelle buche e nelle caverne sotterranee, perchè solo sotto terra vi poteva essere salvezza e scampo.

Quante morti, quanti padri e madri perduti e quanti figli, e quanti cari ognuno ebbe a lasciare, che da che mondo è mondo mai si era visto tanto lamento universale!

Ma il gigante all'improvviso sdrucciolò sulla terra ormai piena di sangue e cadde sconquassando la terra da crearne un terremoto e dalla grande botta che prese, rimase disteso e tramortito così che il popolo credendolo sconfitto, gli corse addosso in massa, proprio come fanno le formiche quando scorrono con furia su un rovere caduto, e nella corsa cercavano di ferire quelle forti membra.

Il gigante però riprese i sensi, forse stimolato anche da quelle insistenti “punture”, quindi appoggiandosi sulle mani, sollevò la testa e passando, poi, una mano, tra i capelli, la trovò piena di uomini appiccicati, proprio come i pidocchi, perciò scosse l'enorme testa e tanti furono scaraventati in aria e di nuovo tanti trovarono la morte e altri ancora che erano rimasti a terra, venivano da questi colpiti come proiettili e altri ancora venivano calpestati da chi tentava di scappare.

(La finale del racconto ve la riporto uguale a quella di Leonardo perchè non v'è altro modo che dirla come lui l'ha saputa dire.)

Ma tenendosi aggrappati ai capelli, e cercando di nascondersi, i superstiti facevano come i marinai nella tempesta, quando corrono su per le corde per abbassar la vela a poco vento.


Mio personale riadattamento alla Lettera a Benedetto Dei, Il Gigante, di Leonardo da Vinci.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Adriana Saviozzi Mazza