venerdì 28 ottobre 2022

SALONE INTERNAZIONALE LUCCA COMICS & GAMES APRE OGGI PER 5 GIORNI - TEMA "HOPE"


Il 24 Settembre 1966 apre ufficialmente nella città di Lucca il Salone Internazionale dei comics, “i fumetti” meglio conosciuti, evento quasi a sorpresa in quanto la prima ufficiale edizione era avvenuta l'anno prima a Bordighera in Liguria, ma gli enti organizzatori avevano poi pensato e riflettuto che la sede ottima sia per per posizione geografica, sia per i collegamenti ma soprattutto per la caratura storica e ambientale, per le sua caratteristica ancora interamente medievale, per il fascino dal carattere “fantastico” che la rappresentava con il suo arborato cerchio di mura seicentesche interamente intatte, insomma Lucca era il luogo perfetto.

Grazie all'allora sindaco Martinelli, che entusiasta della scelta mise a disposizione per la manifestazione, il Teatro del Giglio ( che fu sede per la “Tavola Rotonda” per gli addetti ai lavori) e il Baluardo San Regolo, uno dei tanti baluardi delle mura nominate, per l'allestimento delle mostre espositive.

Da quel fatidico giorno fino ad oggi è sempre stato un aumento esponensiale sia di pubblico che di notorietà, sia di prestigio che di internazionalità, insomma un evento che nel tempo non è mai invecchiato ma è cresciuto e evoluto a pari passo con i tempi e con le esigenze sempre più diverse, dai fumetti ai cartoons e poi ai video e ai games ecc.ecc.

Oggi dopo due anni di pandemia si ritorna ad aprire questo magistrale mondo fantastico e culturale ( con una vendita di biglietti che supera ogni edizione, quasi 300.000) con un programma davvero ricco e intenso e con un “titolo” forte e fiducioso, HOPE (SPERANZA).


Due piccole note del tempo: la prima che nel teatro del Giglio ci fu un divertito duello tra pistoleri del West, infatti si scontrarono amichevolmente il “padre” di Tex, Gianluigi Bonelli e Rino Albertarelli, uno dei più grandi maestri del fumetto e disegnatore del famoso, appunto, TEX.

La seconda che il destino volle che soltanto a pochi mesi da questo fantastico evento, e precisamente nella vigilia di Natale del 1966, uno dei grandi fumettisti e più conosciuto e amato del tempo e di sempre, ovvero Walt Disney, morisse lasciando davvero un vuoto incolmabile per tutti, e infatti l'anno dopo il Salone ne dedicò una mostra antologica a cura di Ernesto Guido Laura, Rinaldo Traini e Sergio Trinchero, illustri storici, giornalisti, forganizzatori e sceneggiatori di fumetti.


Roberto Busembai (errebi)


Immagini web: Il primo poster del Salone 1966 – Il fondatore dell'Esposizione Internazionale dei Comis, Romano Calisi insieme al maestro fumettista Lee Falk, produttore e creatore di Mandrake e l'Uomo mascherato , grande ospite alla rassegna del 1966 - L'odierno poster con il titolo “HOPE” del 2022

martedì 25 ottobre 2022

LEONARDO DA VINCI - LA SCAPIGLIATA


C'è un forte bisogno di vivere di signorilità, di gentilezza, di morbidezza nei tratti e di eleganza nell'espressioni, c'è un forte bisogno di immaginazione, di sogno e di leggerezza nei pensieri, e tutto questo lo possiamo rivivere e vivere in questa magnifica opera del grande Leonardo da Vinci, un tratto di matita, un tocco leggero di pennello, un progetto (forse) o soltanto un suo desiderio o studio come tecnicamente lo si vuol chiamare, tale comunque da renderci quel magico senso di bellezza e cura che ben pochi maestri hanno raggiunto con così veloce e delicata maestria.

La Scapigliata come viene denominata questa opera, è conservata alla Galleria Nazionale di Parma e rappresenta un volto in tre quarti di donna giovanile con lo sguardo abbassato e abbandonato, quasi triste o quasi no, malinconico ma di una dolcezza indescrivibile, un volto delicato come delicata lo è la naturale giovinezza, con i capelli al vento (ricci) a malapena tracciati ma tali da imprimerli e quasi toccarli, una scapigliatura appunto come ne deriva poi il titolo del quadro.

E' una piccola tavoletta realizzata a biacca con pigmenti di ferro e cinabro e leggermente rifilata nel bordo tale da far supporre che un tempo avesse un'ulteriore cornice, diversa da quella che attualmente la contiene. La storia di questa tavola ha quasi del fantastico in quanto pare sia menzionata nell'inventario dei beni del duca di Ferdinando Gonzaga del 1627, in quanto si parla di “un quadro dipintovi una testa d'una dona scapiliata , bozzata, con cornici di violino, oppera di Lonardo d'Avinci, stimato lire 180”. Ma non si è assolutamente certi che si tratti di questa che oggi ammiriamo, tanto che intorno al 1826 gli eredi del pittore Callani danno in offerta all'Accademia delle Belle Arti di Parma questa Scapigliata che entrerà più tardi nella Galleria Palatina attribuendola addirittura al Leonardo da Vinci, risultato comunque dalle ricerche che aveva fatto il Callani stesso.


Non sto a rimembrare tutta la storia che questa opera ha avuto, tra contestazioni, rilievi e accurate ricerche, quello che interessa è la decisa attribuzione del Maestro e quel poco di immaginazione che ci riserva nel guardarla e nel porsi per un attimo nel suo intento personale, cercando di carpire la motivazione di questo studio, tanti l'attribuiscono a uno studio della sua poi famosa opera “Leda e il cigno”, altri ne vedono le sembianze nella Vergine delle rocce, ma a noi interessa soltanto la sua magistrale facilità di rilasciarci emozionalità.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web – Leonardo da Vinci – La Scapigliata e foto di Errebi dalla Galleria Nazionale di Parma.

lunedì 10 ottobre 2022

11 OTTOBRE - SAN PAPA GIOVANNI XXIII


Non occorrono parole per descrivere la bontà e l'amore che erano insite e fuoriuscivano come zampilli verso il mondo, quelle di Papa Giovanni XXIII o meglio conosciuto come “il Papa buono”.

Doveva essere un papa di transizione, primo perchè già di età molto avanzata, secondo perchè nel veloce conclave non c'era stata nessuna disponibilità comune per un nome altisonante e decisivo per lo sviluppo della Chiesa, era un nome sorto così quasi a posticcio tra due forti posizioni, e non avrebbero mai immaginato invece, che si fu una papato di transizione ma soltanto per il breve periodo (soltanto cinque anni) ma talmente intenso e fortemente decisivo tale da dare una spinta, anzi uno vero e proprio spintone, con la dichiarazione dell'apertura del Concilio Ecumenico del Vaticano.

Al suo primo Natale come Papa, si recò a visitare i malati degli ospedali romani S.Spirito e del Bambin Gesù portando una carezza e un sorriso a tutti, mentre il giorno dopo si recò al carcere di Regina Coeli mischiandosi tra i detenuti e.....

“Dunque, eccoci; sono venuto , m'avete visto.Io ho fissato i miei occhi nei vostri, ho messo il cuor mio vicino al vostro cuore...”

E racconta pure, per avvicinarsi ancora di più alla loro emarginazione, che anche un suo parente, un giorno, per non sa quale briganteria, era finito in prigione, perciò anche Lui, indirettamente era “uno di loro”.

Fu il Papa della gente comune, del popolo vero della chiesa, fu il suo sorriso, la sua bonarietà, il suo goffo aspetto, la sua disponibilità, il suo semplice parlare e esprimere che conquistarono il mondo, fu il Papa soprattutto della Pace, non dimentichiamo la sua famosa enciclica Mater et Magistra del 1961, che non è rivolta soltanto alla Chiesa ma a “tutti gli uomini di buona volontà”, un vero e incisivo messaggio di giustizia e vera pace nel mondo.

Fu colui che rifiutò ( se il termine può essere appropriato) ogni prudenza con la politica, si avvicinò persino alla Cina di Mao e invitò al suo cospetto un giornalista russo, che altro non era che genero dell'allora capo supremo Kruscev. Era il periodo della guerra fredda, se non addirittura gelida, allora (come adesso) il terzo conflitto mondiale era alle porte, e Papa Giovanni XXIII si rimboccò davvero le maniche e si fece tramite i due manipolatori mondiali, Russia e America, inducendoli alla comprensione e alla risoluzione con la pace. Quando avvennero i fatti di Cuba, il Papa scrisse direttamente a Kruscev un monito personale e assolutamente non politico concludendo con queste testuali parole:
“ Se avrete il coraggio di richiamare le navi portamissili proverete il vostro amore del prossimo non solo per la vostra nazione, ma verso l'intera famiglia umana. Passerete alla storia come uno dei pionieri di una rivoluzione di valori basata sull'amore. Potete sostenere di non essere religioso, ma la religione non è un insieme di precetti, bensì l'impegno all'azione nell'amore di tutta l'umanità che quando è autentico si unisce all'amore di Dio, per cui anche se non se ne pronuncia il nome si è religiosi!”. E ottenne il ritiro delle armi!!!

La data scelta per la sua ricorrenza, altro non è che il giorno in cui fu aperto il Concilio ovvero l'11 ottobre del 1962 e la sua canonizzazione è avvenuta il 5 Luglio del 2013 con la firma di Papa Francesco

Chi non ricorda, io ero bambino e ne ho ancora impresse la cadenza e la voce, il monito rivolto alle persone presenti in Piazza San Pietro per la fiaccolata serale dell'apertura del concilio, il famoso discorso della luna, rivolto umanamente a tutti i presenti e non, un discorso semplice ma toccante che terminò con queste immense parole:

“ Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: Questa è la carezza del papa. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e della amarezza”.

Morì il 3 Giugno ( Il giorno dopo la Pentecoste) del 1963 e le sue ultime parole rivolte ai medici furono : “ Non preoccupatevi per me, Le valigie sono fatte e son pronto a partire.”

Angelo Giuseppe Roncalli (Papa Giovanni XXIII) era nato a Sotto il Monte in provincia di Bergamo nel 1881 e fu eletto Papa il 28 Ottobre del 1958.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Photo Papa Giovanni XXIII

GUSTAV KLIMT - MORTE E VITA


“Morte e vita” è una delle opere pittoriche del grande e eclettico artista austriaco , Gustav Klimt, che io sinceramente amo di più, sarà per la grandezza della tela (178 × 198 cm), sarà perchè ho avuto l'occasione di poterla ammirare dal vivo, sarà sopratutto per quei colori e quella forte incisività del ciclo della vita che lo stesso Maestro ha sempre voluto presente nelle sue “particolari” opere.

In questo dipinto, è ben visibile la dualità strutturale delle figure, da una parte (la sinistra) una tetra figura, uno scheletro che indossa una veste blu dai disegni particolari, mentre dall'altra (la destra) a dovuta distanza, un gruppo di persone avvolte in un contesto colorato e variopinto, avvolte e avvolgenti tra loro stesse.

E' bene evidente che nella prima figura sia rappresentata iconograficamente con il teschio, la Morte, ovvero colei che guardinga e nascosta vige su ognuno di noi, una figura che sa bene nascondersi nel buio della notte e nel freddo blu profondo consono alla sua veste dai motivi di croci e cerchi, una figura tesa e sempre allerta che pare stia per avvicinarsi a qualcuno per eseguire il suo perfido scopo. La sua sarà sicuramente una scelta casuale ma vittoriosa.

Il gruppo riunito in un vortice di tasselli colorati (quasi un mosaico) dove predominano i colori caldi e vivi, è tutto impegnato a che la vita scorra amorevolmente, amichevolmente e dovutamente in perfetta e naturale armonia, consono o no, del suo destino, ma tenace nel difendere il suo appropriato momento vivente. Tra queste figure invase dai colori si notano una madre con un bambino, monito del proseguo della vita stessa, una donna anziana a dimostrare il lungo viaggio della vita e due innamorati che altro non sono che il frutto e l'essenza della vita stessa ovvero l'amore.

Klimt in questa opera ha voluto raffigurare l'effettiva coesistenza della felicità e gioia con il dolore e morte. Nel 1911 la tela vinse un premio a Roma durante la International Art Exhibition.

Morte e vita sottolinea ancora una volta di quanto l'una non possa esistere senza l'altra, le gioie della vita sono rese possibili grazie alla “presenza” della morte, il dolore che deriva dalla morte non è altro che lo stesso che vige e vive dentro di noi vivendo.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Gustav Klimt – Morte e Vita (Leopold Museum - Vienna)

lunedì 3 ottobre 2022

NEL SILENZIO, SAN FRANCESCO


Quando il silenzio invade questa stanza vuota, mi sento decisamente persa nel vuoto del momento, come una meteora che non trova la sua orbita e vaga come pazza tra le stelle e i pianeti. E nel silenzio odo pure il movimento lieve che il sole incespica tra le tende e le persiane, un raggio che traluce solo per il suo potere di ergersi nel tutto ma conscio, sono sicura, di non scaldare come dovrebbe anche se la stagione non lo vorrebbe più a sognare. E nel silenzio, che non mi spaventa affatto, ma mi tormenta dentro il pensiero e vago e non ho freno, perchè non riesco a capacitarmi della nullità dei tempi e delle stagioni, degli anni e dei passati che tristemente orami pare non servano più a niente. Quando ero ragazzina, mi verrebbe da dire secoli fa tanto le cose sono cambiate così rapidamente e quantitativamente, avevo la percezione esatta di quello che la mia esistenza, quella di tutti insieme, avesse su questa terra, avevo la sicura certezza che l'uomo in genere avesse nonostante tutto e tutti, nonostante l'enorme animalità incisiva, nonostante la forza d'istinto, un animo e un'intelligenza tali da poterlo fare ragionare e emozionare. In questi giorni, che non importa sottolineare, ma che tutti andiamo a riscontrare, ritengo che il San Francesco che pure la chiesa stessa tende ad osannare, non è altro che un'icona da guardare come una moda ormai sorpassata, è come uno “smile” che fa bene averlo sul telefonino oggi che ricorre il suo giorno, ma del valore del suo fare e del suo magistrale dire e agire non resta che uno stupido bisogno di sentirselo solo nominare ma difficile da intendere e assorbire, capire e emulare.

Un grande e buono santo padre, Giovanni XXIII nel suo breviario riportava queste parole in riguardo alla commemorazione di San Francesco, parole che oggi sembrano davvero straniere e lontane ma che avrebbero invece più incisività di allora, e se non altro anche allora (primi anni 60) incidevano su un mondo traballante e avido di violenza e ricchezza materiale:

“ ...molti sognano o desiderano la ricchezza materiale, il denaro, e San Francesco insegna a tutti, di ogni condizione, a combattere contro la – concupiscenza degli occhi – che è grande inganno, una grande vanità.....” e termina “.....Se vogliamo trovare anche sulla terra un poco di gioia interiore bisogna seguire l'esempio di San Francesco, che compì miracoli pur di aiutare gli affamati.”

E allora, in questo silenzio del tutto e del vecchio, è così difficile vedere che la nostra esistenza non è altro che un passaggio e che basterebbe soltanto un sentimento insito e nascosto, seppellito e camuffato dentro un possibile cuore, un sentimento che si chiama amore e che nessuno ormai ne conosce il senso e il valore.....è soltanto un cuoricino apposto come riconoscimento a un messaggio sms o un post su un qualsiasi “social” che di “socializzare” non ha proprio niente.


Zia Molly


Immagine web

GIOTTO DI BONDONE - RINUNCIA DEGLI AVERI


Per la ricorrenza particolare di oggi, 4 ottobre San Francesco d'Assisi, non potevo che parlare di uno dei più emblematici affreschi dedicati al Santo, e in particolare la quinta scena, delle ventotto che il grande Maestro Giotto ha dipinto nella Basilica superiore di Assisi, ovvero il momento in cui il Santo rinuncia ai beni terreni o Rinuncia degli averi.

La scena rappresentata si svolse nella piazza del Vescovado di Assisi, ed è volutamente suddivisa in due precise e nette rappresentazioni, a sinistra vediamo in risalto con una veste gialla (simbolo di ricchezza) il padre di Francesco, Pietro di Bernardone , con le vesti del figlio in un braccio mentre l'altro braccio a pugno chiuso pare voglia infierire verso lo sciagurato che ha osato diffamarlo in pubblica piazza, ma fortunatamente fermato nel gesto da uno dei tanti altri signori presenti, quasi divertiti del fatto. Alle loro spalle una costruzione che ha soltanto lo scopo di scenografia ma che risalta ancora la posizione sociale dei sottostanti, infatti assomiglia più a una torre che a una normale abitazione, e le torri nel medioevo erano simbolo di dominio e ricchezza.

A destra, il Santo che ormai denudato dona la sua anima e il suo corpo nelle mani di un Dio, del quale Giotto lo rappresenta con una mano che esce dal cielo e si protrae verso Francesco, dietro il Santo la rappresentanza religiosa, il vescovo cerca di nasconderne alla meglio le oscenità, e sopra di loro la solita scenografia di una costruzione che a prima vista non è più una torre ma che riporta simbolicamente la memoria a abitazioni ecclesiastiche se non addirittura ad una chiesa.

La potenzialità di questo affresco ( come del resto di tutti gli altri) è la novità pittorica che il Giotto ha impresso da ora in poi, è l'uso dei chiari e scuri, delle lumeggiature che donano la tridimensionalità, la muscolatura e soprattutto l'imprimere nei volti, per la prima volta, una caratterizzazione emotiva.

La conoscenza di San Francesco all'epoca era molto diffusa e viva , erano trascorsi poco più di sessant'anni dalla morte, da quando Giotto ne ha iniziato i lavori e la rappresentazione altresì non era che il primo e più importante motivo di diffusione e conoscenza popolare.

Non si può rimanere freddi alla spettacolare maturità e innovativa artistica nel guardare il solo San Francesco che è descritto con una precisa muscolatura e espressione estasiata . Un San Francesco che rispetta l'iconografia di umile e devoto, un San Francesco che dona tutto se stesso e non soltanto i suoi beni e abiti, un donarsi al mondo intero e al Dio sovrano, un donare l'umiltà e la carità a tutti coloro che ne vorranno bere e mangiare, come il Cristo donava prima del suo sacrificio sulla Croce , nell'ultima cena.

Giotto, colui che “inventò” la modernità pittorica e fu la spinta iniziale di un Rinascimento che avrebbe poi trovato la sua maggiore esposizione.

San Francesco che fu nel mondo l'esempio del bene terreno e dette prova di quanto fosse possibile poterlo dimostrare e donare al di sopra di tutto e di tutti, senza curarsi delle risa e degli ammiccamenti, dei voltafaccia e dei dinieghi, ma al tempo stesso continuare e perdonare pure quelli.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: GIOTTO DI BONDONE – RINUNCIA DEGLI AVERI ( Basilica superiore di San Francesco ad Assisi)