lunedì 30 novembre 2020

30 NOVEMBRE - SANT'ANDREA APOSTOLO


Pare che sant'Andrea sia stato uno dei primi discepoli di Gesù. La storia narra che un giorno mentre si era avvicinato alle rive del fiume Giordano, forse per constatare di poter fare una più propizia pesca, infatti, con suo fratello Pietro, erano tutti e due pescatori e abitavano vicini al lago di Tiberiade, trovarono Giovanni Battista che battezzava nuovi fedeli e preannunciava la venuta del Messia, quando ad un tratto il Battista gridò indicandolo:

“ E lui l'agnello di Dio”.

Era infatti Gesù che comunque non si fermò ma si allontanò rapidamente, fu allora che Andrea iniziò a seguirlo accompagnato da Giovanni( il futuro evangelista) quando il Messia chiese loro cosa cercassero e Andrea allora rispose:

“ Dove abiti Maestro?”

Gesù rispose:

“ Seguitemi e vedrete”.

E da allora non si staccarono più da Lui e il giorno dopo persino il fratello di Andrea, Pietro si unì a loro e parteciparono a tutte le parabole e i miracoli del Messia, pare che fosse proprio Andre che trovò il ragazzo dei pesci che moltiplicati da Gesù sfamarono un popolo.

Dopo la Resurrezione, Andrea continuò a predicare a Patrasso in Grecia e qui arrivò a convertire la madre di un ufficiale romano e per questo fu crocefisso e legato a una croce a X per farlo agonizzare ancora di più.

E' da questo fatto che la croce a X viene denominata di Sant'Andrea e prima gli scozzesi, grandi devoti del santo, e poi nel Regno Unito, l'hanno raffigurata nella bandiera nazionale.

Una nota folkloristica, pare che nella notte del 30 novembre si possano trovare ingenti tesori o addirittura predire futuri avvenimenti.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Guarino F. - Crocifissione di Sant’Andrea

venerdì 27 novembre 2020

SERGIO TOFANO - IL SIGNOR BONAVENTURA




“Qui comincia l'avventura del signor Bonaventura....” quante volte da bambino rimanevo appassionato a leggere queste strisce di fumetto sul Corriere dei Piccoli, un giornalino pieno di risorse per ragazzi, tra cultura e giochi, tra serio e divertimento, e questo fumetto del grande e indimenticabile attore Sergio Tofano, di solito apriva le avventure del giornale.

Ma chi è “Bonaventura”?. E' uno dei personaggi famosi del fumetto italiano, nato dalla fantasia di un grande attore Sergio Tofano, conosciuto per il diminutivo con cui si firmava, STO, e nacque quasi per gioco intorno ai primi anni del 1900 e vide la sua prima pubblicazione sul Corriere, nel 1917. Il fumetto si articola con otto vignette dove ognuna ha una didascalia in cui racconta in poche rime e per lo più baciate, l'avventura di questo singolare signore, vestito con una marsina color rosso, un cappello a bombetta e dei bianchi e larghi pantaloni, accompagnato sempre da un fido cagnolino giallo di razza bassotto. Ogni storia inizia nel far vedere il Signor Bonaventura che essendo povero cerca di darsi da fare per sbarcare il lunario, per trovare un'occupazione per avere da sfamarsi, e in questo barcamenarsi incorre sempre in qualche miserevole e fortuito avvenimento dove la sua generosità e una serie di coincidenze fanno si che riesca sempre a togliere dai guai o addirittura salvare qualche benestante, il quale lo ricompensa in finale con un enorme foglio del valore di “un milione” che nel dopoguerra divenne “un miliardo”.

Storie e disegni semplici, ma che colpiscono proprio per la loro naturale semplicità, nell'animo e esprimono sempre quel senso di rispetto e di comprensione, di soccorso e di compenso che caratterizzano il principio di alcuni importanti valori della vita.


Roberto Busembai (errebi)


Immagini web “ Alcune pagine del Corriere dei Piccoli con il fumetto di STO “ Il signor Bonaventura”

martedì 24 novembre 2020

HUGO VAN DER GOES - TRITTICO PORTINARI


Manca più di un mese esatto al prossimo Natale, un Natale che certo ricorderemo per la parsimonia di eventi e partecipazioni, di addobbi e luci a sfavillare, un Natale che certo e purtroppo ricorderemo per la tragicità che da quasi un anno siamo tutti quanti colpiti e abbattuti, e comunque lo spirito di questa festa non è soltanto basata sull'esteriorità delle belle cose e dei divertimenti, ma l senso principale è l'amore e la pace, due parole che proprio per le cose suddette oggi sono ancor più marcate, e pace e amore tra popoli oggi deve essere la chiave per un futuro diverso e migliore.

Ma ritorniamo al proposito che avevo in mente, manca più di un mese al prossimo Natale e allora per questa pagina dedicata all'arte, da oggi illustrerò alcune famose Natività dei più illustri Maestri di pittura del passato, e inizio con un'opera fiamminga di Hugo van der Goes, un trittico visibile al museo Uffizi di Firenze e inizio con questo per un preciso motivo, perchè è stato uno dei più copiati e amati dai Maestri rinascimentali fiorentini, dal quale ognuno, se non proprio tutti, hanno trovato materia nuova e spunto per le loro poi successive opere, persino Leonardo da Vinci e il Ghirlandaio sono riconoscibili in questa opera.

Una fresca mattinata del 1483 i fiorentini furono svegliati da una notizia che li portò tutti a correre per le strade, un'opera pittorica maestosa era portata a mano da sedici uomini e si dirigevano verso la chiesa di Sant'Egidio nell'Ospedale di Santa Maria Nuova. Ma la notizia era ancora più succosa in quanto il committente dell'opera era stato il Portinari Tommaso, quel banchiere dei Medici allora capo di una filiale belga a Bruges, quel Portinari discendente del più famoso Folco, fondatore proprio dell'ospedale suddetto nel 1285 e padre di quella Beatrice che il divino Dante aveva tanto immortalato.

A dir del vero, quella maestosa opera (cm 235x141 i pannelli laterali e cm 253x304 il pannello centrale) una volta che fu appesa e mostrata, ai fiorentini non piacque affatto, abituati alle gentili forme del Botticelli, videro quelle figure dei santi e sacra famiglia “piuttosto bruttine”.

Ma la bellezza di questa opera ardimentosa, al di la delle figure e della prospettiva, era soprattutto nell'uso stupefacente dell'olio che i fiamminghi erano talmente abili da far rimanere a bocca aperta gli addetti ai lavori, olii che loro mescolavano con i minerali e sapevano così offrire una luminosità unica e particolare.



Il pannello centrale rappresenta l'Adorazione del Bambino con intorno i tradizionali personaggi, una Madonna inginocchiata e un San Giuseppe con le mani giunte ammantato da una veste completamente rossa, il Bambino, contrariamente a come i fiorentini erano abituati a vederlo nella culla o sul fieno, posato sulla nuda terra simboleggiando così il mondo che Lui salverà, tutto intorno angeli e pastori di un realismo da brividi, notare le loro umili vesti, i volti segnati dagli stenti e dalla fatica.

Vi sono poi numerose cose che hanno un valore simbolico importante, ad esempio in primo piano si notano un covone di frumento e due vasi di fiori, il covone simboleggia l'Eucarestia (il pane spezzato dal Cristo nell'Ultima Cena), i gigli rossi simboleggiano il sangue versato per la salvezza dell'umanità, gli iris bianchi la purezza e quelli purpurei i sette dolori di Maria mentre i garofani la Trinità e infine l'aquilegia, che è il fiore della malinconia, alludono alla sofferenza del Cristo sulla croce.



Nei pannelli laterali, che non sono altro che una continuazione del centrale, basti osservare il continuare dello sfondo, rappresentano sulla sinistra il committente Tommaso Portinari con i suoi due figli maschi Antonio e Pigello e dietro di loro ( figure che appaiono più grandi solo perchè gerarchicamente più importanti) i santi protettori, San Tommaso con la lancia e Sant'Antonio abate con la campana, per Pigello non vi era il santo che portasse il suo nome.




Sul pannello di destra viene raffigurata la moglie del Portinari, Maria di Francesco Baroncelli con la figlia Margherita con le rispettive sante Maria Maddalena con il vaso degli unguenti e Santa Margherita con il libro e il drago.


Roberto Busembai (errebi)


Immagini web: Hugo van der Goes – Trittico Portinari e dettagli ( Museo degli Uffizi di Firenze)

giovedì 19 novembre 2020

LETTERA A BABBO NATALE


Caro Babbo Natale,

avrei dovuto scriverti, come gli anni trascorsi, un'anticipato elenco a cui tu potessi scegliere e avverare, avrei dovuto scriverti per elogiarti nella tua impresa annuale scavalcando tetti, volando sopra terre innevate, sorvolando nuvole e tormente, scivolare dentro caminetti e silenziosamente arrivare nelle addormentate case dove vivono bambini, avrei dovuto dirti che anche se sono grandicello e di molto, sono ancora accorto a questo pensiero e forse in un angolo nascosto del cuore , io ti credo. Avrei dovuto dirti che presto è Natale e che non vedo l'ora di poterlo acclamare.

Avrei dovuto, ma incredibilmente non lo posso fare, perchè dietro a tutto questo mondo di cartone, dietro a tutto questa finta facciata di un set cinematografico, dietro alla fantasia sfrenata, dietro a un casolare ormai abbandonato e alla neve che non si degna più nemmeno di cadere, dietro a un caminetto ormai spento e case vuote per non ricordare, non esisterà quest'anno il Natale.

La morte e la paura si abbracciano ogni giorno in un frenetico ballare, una danza che non ha ritornello ma soltanto poche note, sempre le stesse e sempre uguali a fendere immancabilmente, la paura si è rivestita di bianco, e ha sul capo la corona del sopravvento, mentre la morte sua compagna fedele gli propina ogni giorno un vassoio pieno di vite da divorare. E' una scena apocalittica, è un vasto e assurdo vivere quotidiano, la vita pare leggera più di una piuma che vola trasportata dal vento, vento che pare tempesta e corre come vuole, senza freni e soste varie.

Avrei dovuto parlare di luci e di candele, di alberi decorati e di pacchi colorati, di cose da comprare e di futuri pranzi luculliani su tavole imbandite di rosso vivo, rosso Natale, avrei dovuto dirti che il bene si fa principale e vola dentro i cuori come sempre e devotamente in questo periodo è convenzionale, avrei dovuto dirti che c'è gente fuori a spalare dalla neve l'ingresso ai parenti o conoscenti e gente che dona apertamente ai poveri che del Natale sono gli unici che ne conoscono il valore. Avrei dovuto chiederti, come sempre, che oltre ai giochi e cibi, oltre a un trenino o una noce, avrei voluto tanta salute che mi fosse durata almeno un anno, che poi trascorso sarei di nuovo venuto a chiedere.

Oggi ti chiedo soltanto di non farti vedere se non hai un sacco pieno di amore e pace che possano inondare i cuori di ghiaccio che sono maturati in questo lungo anno penoso da passare, perchè nel bisogno l'uomo pare diventato senza senno, nel momento del coraggio l'uomo è diventato coniglio, con tutto il rispetto per l'animale, e avido e feroce come una leonessa che lei per natura protegge i suoi piccoli leoncini, la pioggia acida che cade è l'invidia che bagna ogni cosa e pensare, e abbevera col suo fare la morte a divertire. Oggi ti chiedo non farti vedere se non hai un sacco pieno di buon senso da seminare, perchè se gli uomini prima avevano già perso il senso vero del Natale, adesso non hanno nemmeno il diritto di pronunciare, perchè l'amore e la pace, l'aiutare e il sopportare, il doveroso rispetto delle norme a discapito delle controverse conseguenze, il rispetto della malattia e della stessa morte, si sono persi nei tetti che andavi a camminare, sopra le nuvole che sapevi sorvolare e portati via da quel vento di tempesta che sapevi affrontare.

Oggi ti chiedo amorevolmente e con il pianto dentro il cuore, Babbo Natale non venire se non hai niente che possa davvero cambiare, perchè l'uomo non è degno di festeggiare, di festeggiare il suo avido, consumistico, egoistico, assurdo, insensibile, acido e pretenzioso Natale.

Ci sono troppe vite perse in questo anno e ancora ce ne saranno, purtroppo, tante che se a ognuna si rappresentasse con una pallina colorata e piena di brillantini da addobbare l'albero, un bosco di abeti non sarebbe capace a contenerle.....

Non venire Babbo Natale se non hai quello di cui tutti abbiamo bisogno, l’amore.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web

martedì 17 novembre 2020

FILIPPO PALIZZI - MONELLI DI STRADA


Dei ragazzini stanno rincorrendo un piccolo ciuchino, incitati nel gioco da un piccolo cagnolino festoso, in una tipica straducola campagnola , liberi da ogni congettura, partecipi ognuno delle stesso divertimento senza predominio l'uno sull'altro e senza schernire chi, come in questa scena, è piccolo e rimane indietro o distrattamente è scivolato per terra.

E' un quadro di una forza particolare, che rispecchia la “libertà” innocente dei ragazzi nel fine ottocento, un dipinto del genere popolare tipico del periodo, ma un raccontare di vita senza cadere in una raffigurazione di critica sociale. Monelli di strada di Filippo Palizzi è la pura “fotografia” di un momento di vita della gioventù italiana dell'Ottocento.

Un gruppo di ragazzini, forse “incitati” dal più grande, si presume quello con i rami in mano a spaventare il povero ciuchino, che si divertono innocentemente a rincorrere un animale nella allora naturale campagna (napoletana) , dove il verde è dominante e dove l'unica struttura architettonica è un tipico rudere di casa che anche quello rappresenta in se la povertà delle cose e la non possibilità di poterle mantenere nel tempo. Tra i tanti ragazzini eccitati, uno piccoletto, meravigliato, li segue con l'occhio pur rimanendo indietro perchè è impossibile che possa emularli in velocità, e in questa velocità perciò c'è anche chi scivola e cade precipitosamente a terra, ma si rialzerà e nessuno, non come adesso, lo deriderà o lo considererà un “inetto”. Un piccolo cane nero abbaia per la confusione della scena a cui lui stesso vuole partecipare.

Palizzi riesce a immedesimare in coloro che osservano questa scena, l'animo e lo spirito di questi ragazzini, riesce a esprimere con i caldi colori e la raffigurazione movimentata, un'estate tipica e calda di quel periodo, estati libere dove il più puro e semplice divertimento era proprio quello di scarrozzare e vivere di ogni cosa proprio nei campi e nei boschi, anche sapendo che si poteva comunque incorrere in alcuni pericoli, come lo stesso cadere e magari sbucciarsi le ginocchia, ma dove nessuno avrebbe criticato le tue incertezze e difficoltà.

Colori verdi brillanti delle foglie e dei cespugli fanno da sfondo a colori sanguigni dominanti nei volti sudati dei ragazzini che corrono, e il tutto accentuato da una forte luce solare che colpisce la scena dalla sinistra, tale da produrre lunghe ombre.

La tela datata 1872 è visibile nella Pinacoteca di Palazzo Pitti a Firenze.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Filippo Palizzi – Monelli di strada ( Pinacoteca di Palazzo Pitti - Firenze)

martedì 10 novembre 2020

ENZO SICILIANO - VITA DI PASOLINI


In un ultima videodiscussione su Pier Paolo Pasolini che ho seguito è stato citato, tra i tanti, un bellissimo e dettagliatissimo libro sulla vita del Poeta Scrittore, un libro di Enzo Siciliano che scrisse dopo circa un anno dalla tragica scomparsa dell'amico e parente, appunto “ Vita di Pasolini”.

Tutti, chi poco e chi tanto, conosciamo Pasolini o comunque pensiamo di conoscerlo, c'è chi avrà letto certamente le sue profonde poesie, chi avrà letto i suoi romanzi, ricorderanno pure i suoi particolari e alcuni oso dire geniali film, ma a tutti nel sentire nominare Pasolini si apre nella mente un ostacolo duro che pone lo scrittore su un piano particolare e direi anche confuso. Nominare Pasolini è entrare con la mente in una sfera enigmatica cercando di spolverare ogni materia oscura sulla sua persona, sui suoi scritti e sulle sue opere cinematografiche per poter capire o comprendere liberamente chi era e cosa diceva. Purtroppo la sua stessa tragica fine ha messo un punto forte sulla sua persona, Pasolini ha sempre “disturbato” , la sua aperta cultura e intellettualità sovrastanti hanno fatto si che fossero la sua “rovina” personale. Nessuno riesce a esulare il Pasolini senza sentire quel peso sociale e controverso che gli è stato “purtroppo” volutamente imposto. Pochi anzi direi pochissimi conoscono e apprezzano Pasolini per quello che veramente era e è stato, sotto ogni forma sia culturale che di vita sua personale, c'è sempre stata troppa “leggerezza” nel giudicarlo e poca “ricercatezza” invece nel conoscerlo.

Vita di Pasolini di Siciliano è tutto quello che non è una biografia, ovvero non è la classica enumerazione delle opere dello scrittore amico e dei suoi scorsi di vita, è invece il limpido e fluido racconto di un un uomo e sottolineo la parola uomo, che si è prodigato per far conoscere e comprendere il periodo storico in cui viveva, è la storia semplice e anche complessa se vogliamo di un uomo che ha portato a conoscenza tutto ciò che non si voleva si conoscesse e si comprendesse, anche spaventando l'opinione pubblica e anche soffrendo e ribellandosi alle infinite controversie che gli affibbiavano. La Vita di Pasolini di Siciliano è un bellissimo libro che proporrei volentieri a chi di Pasolini non conosce nemmeno il nome, perchè sarei certo che arrivato in fondo alla lettura, lui solo avrebbe la possibilità di conoscere il “vero” poeta e scrittore senza alcuna scoria storica e sociale che purtroppo gli appartiene. Ma proporrei ugualmente la lettura a chi magari di Pasolini è invaso proprio da quelle scorie, e magari come solitamente accade di lui si conosce la sua travagliata vita sessuale e per essa si offusca la sua alta e nobile cultura e sapienza.

Vita di Pasolini di Siciliano è il libro giusto per comprendere un uomo, un poeta, uno scrittore e regista che purtroppo è soltanto menzionato ma non giustamente ricordato e studiato.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Copertina del libro

mercoledì 4 novembre 2020

GIOSUE' CARDUCCI - POESIE


Abbiamo, almeno noi della classe anni 50/60, un ricordo piuttosto peso e snervante del poeta Carducci, un ricordo che ci porta alle faticose e noiose tiritere delle sue poesie, abbiamo trascorso il periodo semplice, e forse troppo, dell'insegnamento della nostra letteratura, basti pensare alle risatine sotto banco nei confronti del solitario Leopardi o alla troppa fanciullesca narrazione delle “semplici” poesiole del Pascoli. Erano si altri tempi ma poi nella maturità degli eventi, nella voglia di sapere e di conoscere, si riscoprono i nostri grandi scrittori e in questo caso poeti e si intravede e si scopre che non erano quelle frivolezze e quelle poesiole imparate rigorosamente a memoria, ma avevano una valenza molto profonda da comprendere anche il perchè un Carducci sia stato pure premio Nobel per la letteratura nel 1906.Cultore del medioevo italiano e amante del romanticismo, un romanticismo che rientrava nel contesto storico in cui viveva, le belle poesie dedicate a Lina o a Annie per poi discendere nella disperazione familiare ( la morte del fratello e soprattutto quella del figlio Dante con il classico e profondo “Pianto antico”), ma anche battagliero e attivo politicamente e sensibile ai fatti storici del momento.

Oggi siamo nella trasformazione e disintegrazione di molti valori, leggere già è un peso se non un perditempo, ma io penso che rivolgere uno sguardo al passato e sottolineare quegli antichi valori per comprendere assolutamente il futuro non sia affatto deleterio, e il Carducci è anche se vogliamo uno dei più “facili” da comprendere e da “digerire”.


Riporto qui il componimento dedicato al figlio Dante.


“Pianto antico”


L'albero a cui tendevi

la pargoletta mano,

il verde melograno

da' bei vermigli fior,


nel muto orto solingo

rinverdi tutto or ora,

e giugno lo ristora

di luce e di calor.


Tu, fior de la mia pianta

percossa e inaridita,

tu de l'inutil vita

estremo unico fior,


sei ne la terra fredda,

sei ne la terra negra;

né il sol più ti rallegra,

né ti risveglia amor.


(Giosuè Carducci)



Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Copertina del libro

martedì 3 novembre 2020

ARTEMISIA GENTILESCHI - GIUDITTA CHE DECAPITA OLOFERNE


L'opera di oggi è una delle più importanti di una delle poche e famose pittrici donne, ovvero “Giuditta che decapita Oloferne” di Artemisia Gentileschi.

Per poter comprendere a fondo questa opera di una così forte violenza e timbro pittorico, bisogna risalire alla prima parte della vita della pittrice.

Artemisia Gentileschi, figlia del già noto pittore romano Orazio, all'età di diciotto anni subì violenza carnale da parte del socio del padre, il pittore livornese Agostino Tassi, che avendo instaurato una relazione con la giovane pittrice gli aveva anche promesso di sposarla, quando invece sarebbe stato impossibile in quanto lui già sposo in Toscana.

L'oltraggio, al tempo sarebbe passato quasi inosservato per la poca considerazione che le donne potevano avere, ma il padre Orazio riuscì con tutto il suo intento a portare a processo il Tassi e pure a farlo condannare all'esilio. L'onore della figlia era rimarginato e anzi durante il periodo del processo si dette pure da fare a far maritare Artemisia con uno dei testimoni, Pierantonio Stiattesi.

Le nozze furono celebrate in tutta fretta a Roma ma Artemisia chiese al padre di allontanarsi dalla città e questi inviò allora lettera di raccomandazione alla granduchessa di Toscana, dichiarandosi suddito e innalzando le grandi doti pittoriche della figlia.

Artemisia e consorte si trasferirono allora nel granducato Toscano sotto la guida di Cosimo II di Firenze.

Ed è proprio a Firenze che Artemisia mette in atto questa meravigliosa opera, in cui rappresenta tutta la sua voglia di vendetta e rabbia per la violenza subita e lo fa usando un passo dell'antico Testamento.

Il popolo ebraico,assediato dall'assiro Oloferne, era prossimo alla capitolazione a meno che non si fosse verificato un miracolo, fu così che una giovane vedova ebrea, Giuditta, si offerse per avvicinarsi nel campo del nemico. Con lei andò la fedele serva, mentre Giuditta si spogliò delle sue comuni vesti e si trasformò in una ricca donna, dalle vesti e dai gioielli appariscenti, e così addobbata si presentò davanti al generale ammaliandolo con l'intento di svelargli il punto debole degli ebrei. Oloferne fu incantato da quella bellissima presenza e in suo onore volle indire un banchetto, poi una volta satollo e ebbro di vino si coricò nella sua tenda con la bellissima Giuditta, ma appena questi si addormentò profondamente la donna lo decapitò con tutta la sua forza.

Artemisia in questa opera ha aggiunto la figura della serva che aiuta Giuditta, per dare più risalto e forza alla figura femminile che si riscatta sull'uomo violentatore, nel testo dell'antico testamento, Abra, la serva è fuori che aspetta con un bianco telo, che la padrona porti la testa del generale.

Infatti questa sarebbe stata la tradizione iconografica di questo fatto, ma Artemisia invece vuole rappresentare proprio il momento cruciale, dare forte risalto a quanta forza può scatenarsi da una donna se oltraggiata, Giuditta in un eccentrico costume giallo e con un fastoso bracciale d'oro non è altro che Artemisia, in quel poderoso gesto, in quello scaturirsi della grande forza fisica e della tenacia nel raggiungere l'obiettivo, c'è tutta la sua rabbia e riscatto insieme.

In una stanza buia, Oloferne è riverso sopra un letto sfatto, su di lui si scatenano due donne, Abra, la serva, con tutta la sua forza tiene fermo il corpo mentre Giuditta con fermezza e forte decisione recide con una scimitarra il capo del generale, Oloferne esala l'ultimo respiro. L'opera è firmata: EGO ARTEMITIA LOMI FEC.

E' stata una grande maestra della pittura del periodo, una delle più grandi da annoverare tra i grandi nomi “maschili” e fu l'unica donna che ebbe l'onore di poter essere ammessa all'Accademia del Disegno. Le sue opere sono tutte legate alla condizione femminile, come la casta Susanna che non cede ai vecchioni, o il suicidio di Lucrezia o di Cleopatra e altre.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Artemisia Gentileschi – Giuditta che decapita Oloferne