venerdì 30 ottobre 2020

IL PIU' POTENTE


C'era una volta nella lontana India, un grande e famoso mago al quale niente era negato e di tutto lui disponeva e tramutava. Un giorno passeggiando e meditando per una strada di campagna, si vide piombare addosso una piccola topolina, sicuramente una preda perduta dagli artigli di qualche volatile rapace, ed era così tanto carina e graziosa che pensò subito di trasformala in una bellissima giovane. Detto fatto, subito la topolina divenne una bellissima e stupenda fanciulla che il mago contento del suo fare si mise subito all'opera per farla sposare al più potente del mondo.

Interpellò allora il sole credendolo il più potente ma questi gli rispose:

“ Non vedi mio grande mago? Un nuvolone sta avvicinandosi e sicuramente mi coprirà, egli è più potente di me!”

Il mago subito interpellò il nuvolone ma anche questi rispose:

“ Ma non ti rendi conto, grande e onorato mago, che sta arrivando il vento e questi mi travolgerà e disperderà nel cielo, esso è il più potente!”

Ancora non si era perso d'animo, e interpellò il vento, ma anche questo gli rispose:

“ Egregio mago, ma ben saprai qual'è la mia fine, non vedi che la mia sorte è quella di infrangermi verso quel grande monte e io non potrò fare niente per evitarlo, lui è il più potente”

Era sull'orlo della pazzia, ognuno che credeva potente gli smentiva il suo pensare, ma stavolta con il monte era sicuro che non ci sarebbero state divergenze.

Il mago interpellò il monte sicuro di avere risposta positiva ma questi gli rispose:

“ Amatissimo e rispettabilissimo mago, ma non vedi quanti buchi ci sono ai miei fianchi, e sai chi me li ha fatti? Il topo e senza che io possa avere possibilità di oppormi. Il topo è più potente di me!”

Stavolta il mago aveva raggiunto il limite della sopportazione, si grattò la testa pelata, stette un poco sulle sue, si guardò intorno e......ritrasformò la fanciulla in una topolina e la dette in sposa al topo, il più potente che esisteva.


Mio adattamento di una novella indiana


Roberto Busembai (errebi)


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martedì 27 ottobre 2020

RENE LALIQUE - PER MAISON LALIQUE BOTTIGLIA DI PROFUMO "FOUGERES" (FERNS)

Essere un poco venali, a volte non guasta......sto scherzando ma comunque questa “opera d'arte” perchè di opera d'arte si tratta questa piccola bottiglia di profumo non può che indurre a pensare al valore intrinseco in se stesso.
Rene Lalique per Maison Lalique nel 1910 creò questo flacone per il profumo “Fougeres” (Ferns), in vetro trasparente compreso il tappo, con motivi di felce in colore patinato blu/verde, un colore marino, le due facce della bottiglia sono modellate con rientranza dove posano due gioielli rivestiti in lamina d'oro 24 carati modellati con immagini femminili in stile art del periodo, art nouveau, che traspaiono la luce. Una raffinatezza artistica non irrilevante.
Roberto Busembai (errebi)
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venerdì 23 ottobre 2020

COVID A ORE?


Io non so se ancora nessuno si è posto la domanda, lecita, ma questo virus, che di virus sicuramente si tratta e non lo nego, ma è a ore? E per lo più è anche deleterio per alcune particolari categorie e in particolari momenti? Perchè queste domande? Ho notato che c'è un forte accanimento a porre divieti soprattutto e particolarmente nelle ore serali, con la “scusante” che si creano più assembramenti e consumo di alcolici che sono portatori di riunioni giovanili, con la “scusante” che nelle ore serali ci potrebbero essere troppi spettacoli teatrali o cinematografici che inducono persone a raggrupparsi, con la “scusante” che per le strade ci sarebbero troppe persone, che vista anche questa stagione confortevole, si soffermerebbero troppo a respirare, “con la dovuta mascherina” un poco di aria nelle ore fuori lavoro (quello che c'è rimasto).

Ma durante la mattina e nel pomeriggio queste accurate ricerche di sopperire assembramenti per tutelare la sicurezza del cittadino non esistono, evidentemente il virus è un dormiglione....lo dicevano i nostri vecchi...”la sera leone e la mattina c.....ne”...i supermercati creano assembramenti inverosimili, per un etto di prosciutto davanti al banco della gastronomia si creano addirittura “mercati”, la scuola, quella tanto osannata e criticata, quella che i tanti genitori hanno difeso a spada tratta per la tutela dei loro figli, e poi tutti fuori all'attesa dell'uscita del loro “eroe” figlio, tutti ammassati, come se il loro figlio non sapesse nemmeno camminare o in che mondo vive, tutti fuori con e spesso tanti senza neppure la mascherina e senza alcun controllo, perchè a quell'ora, diurna, non scattano le ordinanze di piazze chiuse e strade deserte, il coprifuoco è notturno!. Per non parlare delle code a qualsiasi ufficio statale o privato a cui siamo obbligati a dover intervenire per pratiche diverse che la nostra pesante burocrazia ci richiede, e anche qui comunque sono assembramenti “non pericolosi” sono diurni. E avrei ancora tanti da elencare, ma quello che più salta evidente di questo virus è la sua viralità intellettuale, ovvero colpisce soprattutto nella sfera culturale, si guardi a come cinema, teatri, biblioteche, soffrano e siano sulla definitiva chiusura, colpisce poi soprattutto sul contatto umano e di scambio d'opinioni, perchè non ci possiamo più trattenere “la sera e la notte” che sono le ore in cui saremmo liberi da impegni, a scambiarci pensieri, vedute e commentare o criticare, proporre o ideare , il distanziamento è assolutamente urgente per queste cose soprattutto. E allora si rimane a casa, bene ne siamo coscienti e doverosi, e a casa se non vogliamo proprio stare fissi al pc, potremmo guardare la televisione ed ecco che la potenza “virus” è valsa a propinarci spettacoli spazzatura che incutono paura e terrore misto a un'eccessiva e deleteria psicologicamente invasione di spot pubblicitari, eh si “loro” lo sanno che siamo a casa, “loro” quelli dello share lo sanno che sei “obbligato” a guardare e perciò ….come diceva un vecchio proverbio.... “pancia mia fatti capanna”......Il virus è a ore e a soggetto, soprattutto deleterio per chi ha ancora un poco di cervello e mortale a chi tenta di ragionare.


Roberto Busembai (errebi)


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martedì 20 ottobre 2020

RAFFAELLO SANZIO - LA SACRA FAMIGLIA DELL' AGNELLO


Un'antica famiglia, in riposo da un lungo viaggio, si diletta a divertire e accudire il loro bambino prossimo a camminare, sostenendolo fisicamente (la madre) e moralmente con lo sguardo (dal padre putativo) mentre cavalca un nobile e bianco agnello, un divertimento unico per un bambino.

E' questa scena comune, tra i mortali, che il grande maestro Raffaello ci propina un'altra spettacolare opera a carattere religioso, una Sacra Famiglia, diversa dall'iconiche e rigorose sembianze e rappresentazioni imposte dal trecento in poi, è un movimento di corpi e di situazioni che Raffaello, noto dei precedenti di Leonardo, si diverte a cambiare, a rinnovare e lo fa con la sua tipica delicatezza di colori e di capacità espressiva dei soggetti tale da intenerire e commuovere tanto riesce a rendere vicini e “umani” i personaggi sacri rappresentati.

La Sacra Famiglia dell'agnello, è un'opera su tavola che si presume sia stata eseguita nel periodo che il Maestro era a Firenze, tra il 1504 e il 1508, e purtroppo non se ne conosce ne il committente e nemmeno dove fosse destinata, forse per un altare o per una privata collezione basata su fondo cristiano e devoto. Si ritrova nel '700 a Roma e poi non si sa per quale vie, è giunta all'Escorial e poi , dove tutt'ora è in mostra, al museo del Prado a Madrid.

La Sacra Famiglia viene qui colta in un momento di svago, dove il bambino sotto la protezione dei genitori, si diverte a cavalcare un agnello, e lo fa non perdendo di vista coloro che lo amano, è una pura scena domestica dove però non mancano i segni identificatori del destino e dell'importanza delle figure. L'agnello, quella creatura pura e candida, colui che viene offerto in sacrificio dagli ebrei durante il periodo della Pasqua, non può che rammentare il sacrificio di Gesù, che Giovanni nominò Agnello di Dio, colui che porterà su di se i peccati del mondo e si sacrificherà sull'altare.

La collana di corallo che il bambino ha intorno al collo, oltre all'usanza del popolo di allora che veniva considerata come amuleto in grado di curare ogni malattia dei bambini, è qui allusiva del sangue del sacrificio eucaristico.

A decoro di tutto un classico sfondo, quasi Leonardesco, ma diverso per la sua emanazione di purezza, per la calma rappresentata, per quel senso di pace e delicatezza che soltanto Raffaello sapeva esprimere, e quei colori così bene miscelati delle vesti e quelli sguardi che parlano da soli, quello scambio tra i genitori e il bambino è pieno di parole, un'altra raffinata opera del grande Raffaello.

Una NOTA: Sull'orlo dorato dello scollo dell'abito della Vergine si legge: “RAPHAEL URBINAS MDVII” la firma del Maestro e la datazione.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Raffaello Sanzio – Sacra famiglia dell'agnello.

giovedì 8 ottobre 2020

MICHELE PLACIDO - 7 MINUTI


Una vecchia azienda tessile, per mantenere la fabbrica vuol vendere le sue azioni a una multinazionale straniera, la quale per accettare richiede alle donne operaie di quella fabbrica di rinunciare a “soli” 7 minuti della loro pausa pranzo.

Cosa sono “soli” 7 minuti? Su questa domanda si sviluppa uno dei più bei film a mio parere sulla condizione del lavoratore odierno, sulle sue possibili rinunce delle “vecchie” conquiste dei diritti umani che un operaio deve assolutamente esigere. E per dare risposta a questi nuovi padroni, una rappresentanza di giovani operaie, capeggiate da una “anziana” della vecchia azienda, che a nome di tutta la fabbrica, dovranno decidere e rispondere. Ma la cosa non è assolutamente così semplice come appare, e il film si sviluppa appunto presentando le 11 diverse figure femminili che si spoglieranno nelle loro affermazioni per presentare ognuna una sua difficoltà personale e ogni suo pensiero in proposito. E' un film dove vengono presentate le più diverse entità sociali e di ognuna.

Sarà una lotta, un prendersi pure per i capelli, un odiarsi quasi reciprocamente, e tramite la ferrea moderazione dell'anziana, si svilupperanno tutte quelle controversie e tutte quelle differenze che la rinuncia o meno ai “soli” 7 minuti può portare.

Undici emblematiche e contorte figure femminili raffigurate da altrettante undici indiscutibili e sorprendenti interpreti, partendo dalla più combattiva, democratica anziana (Ottavia Piccolo) a quella dal forte carattere e decisionalità nascondendo così una forte fragilità di Ambra Angiolini, e alla giudiziosa e comunque comunicativa e battagliera Fiorella Mannoia, per non dimenticare l'invalida di lavoro Violante Placido, la giovane incinta del primo figlio e moglie di un pakistano venditore ambulante, Cristiana Capotondi, l'estracomunitaria Balkissa Maiga, la prorompente Maria Nazionale e tutte le altre. Undici figure distinte e ben interpretate, un cast davvero eccezionale e un film da vedere per la forza combattiva, per il coraggio di queste donne, per il mettersi a confronto con le loro reali e vere problematiche sociali e di famiglia. Quanto è rilevante il mantenimento o la rinuncia a “soli” sette minuti sulla condizione personale e sul diritto di lavoro e di mantenimento della famiglia? Domande che questo film ti pone e fa davvero riflettere, ma riflettere fino in fondo, analizzando ogni più piccola crepa si possa generare, da riflettere ancora di più adesso, in questo nostro vivere quotidiano dove un virus fa da padrone o il padrone si avvale del virus. Domande solo domande, ma l'essenziale è porsele quelle domande, e non accettare subitamente un “SI” alla rinuncia senza valutarne le positività e le negatività e metterle ognuna sulla propria bilancia di vita. Quanto è distruttivo o difensivo, oggi portare la mascherina, sulla libertà emozionale e sentimentale di ogni essere umano?


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Locandina del film

martedì 6 ottobre 2020

GIOVANNI BELLINI - CRISTO MORTO CON QUATTRO ANGELI


Ci sono stati artisti che ritrovavano nella loro contemporaneità la capacità d'espressione, il massimo della loro manualità e percezione artistica, parlo dei vari Maestri pittori appunto del Rinascimento, che ci hanno donato opere assolutamente ineguagliabili e impensabili, ma c'è un'opera che potremmo definire addirittura eccelsa e innovativa, anzi proprio di anticipazione a quello che sarebbe venuto dopo, ed è questo “Cristo morto con quattro angeli” di Giovanni Bellini, una tela del 1475 commissionatagli dal Raineiro di Ludovico Migliorati, consigliere di Pandolfo IV Malatesta in Rimini. Se pensiamo che Botticelli non aveva ancora dipinto la Venere o la Primavera, che il grande Leonardo era ancora a gli ordini del Verrocchio, che Raffaello non era ancora nato e Michelangelo addirittura nasceva in quel periodo, guardando questa meravigliosa opera non possiamo che meravigliarci e riscontrare ogni forma tipica del successivo e grande Rinascimento pittorico. E' una rappresentazione che supera ogni canone del periodo, il Cristo in forma di “pietas” non veniva rappresentato a mezzo busto, in tale forma era più consono il classico “Ecce Homo” dove a mezzo busto il Cristo veniva raffigurato con la corona di spine al posto di una corona d'oro, con una canna al posto dello scettro e ammantato da un manto rosso a sottolineare il potere.

L'immagine ci porta invece un Cristo un attimo prima di essere deposto e adagiato nella sua tomba, un Cristo uomo ormai senza nessuna proprietà divina che lo possa aiutare, un Cristo che non fa certo presagire la Sua resurrezione, un corpo assolutamente morto e abbandonato, dove quattro angeli, gli unici elementi divini, che lo sorreggono e si danno da fare per ricomporlo in giusta maniera da essere poi deposto amorevolmente addirittura un angelo dietro alle sue spalle, che è intento a torcere il busto perchè possa entrare nel sepolcro con la rispettosa cautela. Gli altri angeli non sono disperati ma nel loro quasi distaccato atteggiamento c'è tanta rassegnazione e comprensione del fatto avvenuto.

Guardandolo oggi questo quadro ha una forza ancora maggiore, ci da un esiguo istinto di rammarico e di dolore, stiamo trascorrendo un periodo particolare e difficile, tutto il mondo ne è purtroppo partecipe e succube, e potremmo allora definirci proprio in questo Cristo, assolutamente morto senza alcuna speranza, ma ci sono quattro angeli, ci sono entità che non conosciamo, misteriose, lontane, che non percepiamo, che ci stanno sostenendo e ci aiutano nel dolore a comprendere e ad avere la giusta rassegnazione con la speranza, che solo loro sanno, possa tutto cambiare.

Un angelo guarda la ferita sulla mano quasi con la consapevolezza che non poteva essere diversamente, un altro stringe tra le dita un chiodo con la coscienza del dolore causato, e quel Cristo dal volto rassegnato e lontano, quel corpo quasi leggero, quel disegno morbido, quei colori accentuati che potrebbe far pensare a una conoscenza dell'arte fiamminga, e la minuziosità di alcuni particolari grafici che fanno anche pensare ci sia stata la collaborazione del suo cognato , Mantegna.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Giovanni Bellini – Cristo morto con quattro angeli