mercoledì 29 settembre 2021

LA FOGLIA E IMITAZIONE



L'autunno è praticamente iniziato, anche se le giornate si prolungano calde e tendenzialmente afose, ma lungo i fossi, lungo i viali e nella campagna, si trovano già foglie caduche che hanno perso il verde colore, tutto è ormai volto ad un colore ambrato, rosso e giallo aranciato, insomma in questa atmosfera degna di malinconia che porta al pensare e a un velo di assoluta nostalgia, non posso che citare una poesia del grande Leopardi che non fu altro che una sua “personale” traduzione di un'altra poesia del francese Antoine-Vincent Arnault. Arnault fu un politico, poeta e drammaturgo francese che fu legato a Napoleone Bonaparte che lo incaricò all'organizzazione amministrativa delle Isole Ionie e di cui seguì il Corso anche nella campagna d'Egitto. Fu nominato membro dell'Institut nel 1799 con un posto al ministero dell'Interno ma durante la seconda Restaurazione, proprio per essere stato un ministro, fu condannato all'esilio nel 1816 fino poi ad essere richiamato in patria intorno al 1819 e eletto segretario perpetuo nel 1829. Ma fu proprio nel periodo dell'esilio che scrisse LA FOGLIA.

Il grande Leopardi nella sua personale traduzione, dove l'Arnault esprimeva il rammarico per la propria vicenda d'esiliato, intravede invece nella foglia la sorte di ogni uomo, che ignorando il perchè del suo destino, conosce invece il suo errare da un luogo ad un altro per poi giungere alla morte, una morte che si prende tutto, pure la bellezza e la gioia (cit.”ove la foglia di rosa e la foglia di alloro”9) E' si una triste poesia, ma al contempo è una intelligente consapevolezza della vita, dove il nostro passaggio ha il suo estremo e importante valore e qualsiasi esso sia stato, grande o minore, ricco o povero, riconosce la giustizia del destino che è uguale per tutti indifferentemente e indipendentemente. Una realtà viva e non una morte compianta. Una visione del Leopardi non solitamente triste, come spesso è identificato, ma un Leopardi attivo e cosciente, amante assoluto della vita e portato a conoscerne fino in fondo il suo estremo valore per apprezzarla. Almeno questa la mia personale lettura.


LA FOGLIA di Antoine-Vincent Arnault


 Staccata dal fusto,

povera foglia secca,

dove vai tu? - Non lo so.

La tempesta ha spezzato la quercia

che solo era il mio sostegno.

Col suo soffio incostante

lo Zeffiro o l'Aquilone

da quel giorno mi spinge

dalla foresta alla pianura,

dalla montagna alla valle.

lo vado ove il vento mi mena

senza compatirmi o spaventarmi,

vado ove va ogni cosa,

ove va la foglia di rosa

e la foglia d'alloro.


IMITAZIONE di Giacomo Leopardi


Lungi dal proprio ramo

Povera foglia frale

Dove vai tu?-dal faggio

Là dov’io nacqui,mi divise il vento

Esso, tornando a volo

Dal bosco alla campagna

Dalla valle mi porta alla montagna.

Seco perpetuamente

Vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro.

Vo dove ogni altra cosa,

Dove naturalmente

Va la foglia di rosa,

E la foglia d’alloro



Roberto Busembai (errebi)


Immagini web: Antoine-Vincent Arnault e Giacomo Leopardi

lunedì 20 settembre 2021

PIERO DELLA FRANCESCA - RESURREZIONE


In una mia recente visita alla cittadina di San Sepolcro, provenendo da un'altrettanto famoso borgo, quello di Anghiari, ho finalmente visitato e direi “goduto” il prodigioso affresco della Resurrezione di Piero della Francesca nel Museo Civico del piccolo centro.

In una grande e vuota sala, posto al centro di una delle quattro pareti, spicca con tutta la sua forza pittorica e emotiva, il grande affresco che Piero della Francesca eseguì tra il 1460 e il 1463, periodo in cui il maestro si trovava ad Arezzo per completare le “Storie della Vera croce” nel duomo della città, con una “cornice” assolutamente geniale, tale da sembrare sia ambientato in un'apertura immaginaria al cui confine, da ambo le parti, si innalzano due antiche colonne.

L'emozione di vedere questo affresco è tanta, ma non posso lasciarmi andare troppo, perchè voglio davvero imprimere nel mio ricordo questo volto particolare e deciso del Cristo, un Cristo terreno, una figura dominante e che domina, colui che nessuna sofferenza e patimento, (la croce) ha scalfito la sua presenza, Lui è stato e Lui è e sarà sempre e su questo mondo sarà sempre Lui a vigilare e “comandare” il ciclo della vita. Una rappresentazione possente, decisa, diversamente concepita da l'usuale resurrezione del periodo in cui un Cristo “trasparente” vagava tra gli astanti. Piero della Francesca ha collocato la figura del Cristo in una particolare posizione, la gamba che poggia con forza e decisione sul freddo sepolcro di marmo e una mano che regge l'asta con il vessillo dei crociati, quasi a simboleggiarne uno scettro. “Ecco sono qui” pare dica il Cristo, “a vostra disposizione! Fotografatemi pure, ma ricordate che niente mi distoglierà e mi tapperà la voce e la mente!”.

Un volto serio, compito, ma guardingo e sveglio, i capelli tirati indietro, bagnati, forse dal sudore nello stare al chiuso del sepolcro, e sotto di Lui i soldati addormentati, “comuni” uomini sicuri dell'avvenuta morte, certi di essersi sbarazzati del pericolo, restano abbandonati ai loro “comuni” sogni ormai certi che il peggio è passato.

Si fa menzione, non assolutamente certa, che il soldato sulla sinistra, con il capo inclinato appoggiato nella parte finale dell'asta del vessillo e con gli occhi chiusi, sia l'autoritratto di Piero della Francesca, se ciò fosse vorrebbe quasi significare un collegamento quasi d'ispirazione tra Dio e l'artista.

Un Cristo assolutamente regale, quasi Michelangiolesco nelle fattezze, un Cristo che ha vinto il mondo perchè neppure la morte ha avuto la meglio, un Cristo che ad oggi, per quello che viviamo, è un monito di speranza e di coraggio, Lui non ci abbandonerà mai anche se pare che la morte sia davvero vicina.


Roberto Busembai (errebi)


Photo Errebi – Piero della Francesca – Resurrezione - Museo Civico di Sansepolcro (AR)

domenica 5 settembre 2021

CARTOLINE DA FIRENZE NELL'800 - PIAZZA MERCATO VECCHIO


Piazza Mercato Vecchio era la più antica e centrale piazza di Firenze, che intorno agl anni 1881 e 1890 fu totalmente demolita e trasformata, oggi Piazza della Repubblica. La colonna che si innalzava tra i banchi dei commercianti e che tutt'ora si eleva da una parte della “nuova “ piazza, ah al suo culmine un statua allegorica della Dovizia, scolpita dal Foggini nei primi anni del '700 e che andò a sostituire un'altra più antica del Donatello. In un lato della piazza sorgeva “La loggia del Pesce” che fu architettata da Giorgio Vasari nel 1568, che durante le prime demolizioni fu presa in esame e considerata, ma in seguito per una miglioria urbanistica fu completamente abbattuta. In prossimità (precisamente piazza Sant'Andrea)a questa notevole piazza esisteva anche la sede de “l'Arte dei Linaiuoli” che al tempo commissionarono un tabernacolo esterno che li identificasse, al Beato Angelico per la pittura e a Lorenzo Ghiberti per la scultura marmorea e che tutt'oggi si trova, totalmente restaurato, in mostra al Museo di San Marco.


Roberto Busembai (errebi)


Disegno Errebi