venerdì 17 aprile 2020

MASCHERINA D'ORO

Una mattina ci alzammo, ognuno con la sua preoccupazione di sempre, ognuno verso il destino comune, chi per intraprendere il solito lavoro, chi a scuola per imparare, chi a casa per i doveri familiari, chi altro ancora per sopperire a una salute precaria dovuta a una senilità invasiva, e altri e altri ancora verso i più disparati motivi, una mattina ci alzammo e tutti quanti fummo proiettati nel baratro impensabile, a tutti fu tassativamente proibito di uscire perchè un morbo, un virus letale invadeva le nostre strade, i nostri uffici, le nostre aule, le nostre fabbriche e tutto quanto esisteva per procurarci del vivere sociale.
Una mattina ci proibirono di uscire e furono mesi di sofferenza e paure, l'esserne probabili infetti e poterlo essere da altri, all'insaputa, e intanto moriva gente, tanta gente, e oltre al forte disagio di non uscire sussegue quello del panico e dell'abbandono, del sentirsi un nulla in una società che avevamo sempre creduto eterna e infrangibile, e ci proibirono di accarezzarsi, baciarsi, toccarsi, abbracciarsi e a stare a dovuta distanza, un metro, meglio due, l'uno dagli altri e si iniziò a conoscere la solitudine quella insita nella nostra pur solitaria vita, la solitudine dei tanti di non poter condividere più i sentimenti con i gesti più affettuosi che uomo mai conosca.
Una mattina poi venne l'ordinanza che si poteva uscire solo per esigenza, come la spesa alimentare o farmacia ma dovevamo indossare la mascherina, quell'indumento rettangolare che apposto a difesa del morbo, in tessuto particolare, a coprire naso e bocca e togliere così completamente ogni visione e percezione di un sentimento, che sia stato dolore o solo anche divertimento.
E come pesava quel pezzetto insignificante, come pesava guardarsi nello specchio, vedere la gente e non saperla riconoscere assolutamente, ci sentivamo stranieri in un mondo infetto, si percepiva in quel momento come eravamo caduti nel baratro più profondo, quell'insolito pezzetto di tessuto particolare che ti cambiava totalmente il mondo.
Poi piano piano si cominciò a tornare ai nostri lavori, alle fabbriche, negli uffici e pure nelle scuole ma solamente e tassativamente con le mascherine fisse sul nostro viso a denotare ancora e marcatamente che il mondo che avevamo lasciato tanto tempo prima, ormai se n'era andato, dovevamo sopportare questa nuova forma di vivere in comune e ci pesava, quanto ci pesava.
Ma come in tutte le cose, i giovani, i ragazzi, trovano sempre un modo e un'inventiva per sdrammatizzare, ed ecco che nelle scuole alcune ragazzine, che avevano perso il fascino per farsi notare, iniziarono a disegnare sopra quella mascherina, chi un fiore, chi una rondine, chi un'icona "smile", chi un pensiero, chi una nuvoletta e i ragazzi venivano attratti da queste innovazioni e tra di loro giudicavano le migliori, le più carine. E come in tutte le cose, dai giovani, si passò a una vera moda giovanile, sorsero le prime mascherine con ricami a fiori, quelle con tre o più colori e quelle per ragazzi distinte da quelle per ragazze, le case di fabbricazione iniziarono a fare mascherine con impresso un super eroe, o un personaggio dei cartoons di romantica espressione.
Ma l'industria e il commercio non potevano rimanere a guardare e videro in questo mercato una fonte di guadagno magistrale, e sorsero così le mascherine per tutti, per adulti e per i lavoratori, addirittura le fabbriche o le imprese fecero stampare il loro logo e ogni loro dipendente da quel giorno indossava quella alla ditta appartenente. E allora nelle strade, nei parchi, sulle spiagge, nei tram o negli uffici, nelle fabbriche e nelle aziende dominavano i colori, si vedevano mascherine di ogni tipo e genere, disegni e fatturazioni particolari, il mercato aveva vinto, negli ipermercati a ogni “tot” di spesa di assegnavano punti, che una volta raggiunto un determinato quantitativo, si vinceva una mascherina particolare direttamente firmata dallo stilista che l'aveva inventata, e, subito, sorsero nei negozi di abbigliamento, mascherine alla moda, quelle per le occasioni particolari, quelle in colore jeans per il casual e quelle abbinate alla cravatta e per le signore con le stoffe e i colori uguali a gli abiti che avrebbero comprato per indossare. Nacquero ditte apposite per la fabbricazione e per il particolare design, stilisti di ogni parte del mondo si prodigano per inventarne di nuove e particolari, e tra la gente comune era uso dire : “Come ti sta bene quella mascherina”....oppure....”ma che bella mascherina dove l'hai comprata?”.....o anche....”ma sai che il tizio ( nome dello stilista) ha fatto davvero un bel disegno, e che stile!”.
Poi un giorno uno stilista non di fama mondiale, ma un comune sarto di una piccola azienda tessile ad andamento familiare ebbe un'idea originale e particolare, lanciò sul mercato, con l'aiuto del sindaco del paese e dell'appoggio di tutta la giunta comunale, una mascherina di colore espressamente e totalmente bianca. Niente di originale, apparentemente, ma l'idea era nel motivo stesso del perchè quel colore.
Vorrei che questa mascherina bianca fosse indossata da tutto il personale che lavora per la salvaguardia della salute, dai medici a gli infermieri, dagli operai sanitari agli stessi lavoranti o badanti degli anziani. Bianca, per commemorare le migliaia di morti che questa categoria ha subito, donando se stessi e essere a repentaglio per salvare altre vite.”
Fu un'apoteosi tale, che non solo fu insignito di una medaglia da parte dell'allora Presidente dello Stato ma ricevette pure una “ Mascherina d'oro” donatagli dalla confederazione internazionale degli stilisti e delle sartorie.
Sorse così il premio, “Mascherina d'oro” che ogni anno venne assegnato a colui o colei che avesse inventato una mascherina particolare e originale.
Poi piano piano, la mascherine cominciarono ad essere dimenticate, si poteva circolare anche senza, si poteva di nuovo respirare e dialogare senza alcuna protezione e quelle “pezze” rettangolari furono totalmente dimenticate.
C'è chi ne ha alcune in serbo dentro ad un cassetto e c'è qualche anziano che ogni tanto, le guarda e le ammira pensando: “ Che giorni erano quelli, bei miei tempi!”.

Roberto Busembai (errebi)

Immagine web: Victor Pierre LeBlanc 

Nessun commento:

Posta un commento