lunedì 22 aprile 2024

ORAZIO GENTILESCHI E GIOVANNI LANFRANCO - SANTA CECILIA E UN ANGELO


Difficilmente decido quale opera d’arte commentare, perché mi piace che la cosa nasca spontanea, d’impulso, che avvenga quando ne sento il desiderio, ed ecco spiegato il motivo non sempre sono continuativo su questa pagina, della quale colgo l’occasione per ringraziarvi tutti quanto per la fiducia e l’apprezzamento che mi offrite. Ed è proprio nata così la voglia di presentarvi questo dipinto che mi ha attirato particolarmente mentre sfogliavo il catalogo della National Gallery of Art di Washington, un dipinto che all’ammirarlo incute tanta dolcezza e musicalità d’animo.
Rappresenta la Santa Cecilia mentre sta suonando un organo portativo, e di per se questo quadro potrebbe apparire come una rappresentazione di una comune scena di vita quotidiana, ma è arricchito e rifinito dalla presenza del bellissimo angelo che sorregge uno spartito che fa così diventare la rappresentazione di carattere religioso.
Il quadro è di Orazio Gentileschi, del 1617, che lo eseguì in parte, in quanto fu richiamato a Genova, di sua maniera sono le teste e i busti e questa Santa Cecilia differisce da una sua omonima versione Perugina, in quanto non presenta l’attributo caratteristico della ghirlanda di rose sul capo.
Questa è rappresentata con un’accurata acconciatura che si rifà alla moda del tempo, ovvero con trecce riportate, mentre il volto è il tipico volto femminile amato dal Maestro che ritroviamo in molte delle sue opere, e in questo caso l’espressione ha una notevole forza di trasporto spirituale tendente proprio all’estasi.
Il delicato angelo, da memorie fanciullesche, è sicuramente un apporto di origine caravaggesca di cui il Gentileschi ne era affascinato come poi in seguito la più famosa figlia Artemisia, un angelo che sorregge lo spartito ammirando con aria delicata e innocente l’esecutrice.
La rappresentazione della Santa Cecilia è sempre stata accomunata a qualche simbolo musicale in quanto ritenuta protettrice di questa arte, e in questo caso il Maestro le ha conferito la capacità di suonare un organo portativo, mettendo in risalto le sue lunghe e affusolate dita che fin dai tempi del medioevo sono simbolo di spiritualità.
L’opera fu portata a termine alcuni anni dopo, precisamente nel 1621, da Giovanni Lanfranco.

Roberto Busembai (errebi)
Orazio Gentileschi e Giovanni Lanfranco – Santa Cecilia e un Angelo ( National Gallery of Art di Washington)

martedì 26 marzo 2024

LORENZO LOTTO - CRISTO PORTACROCE


E’ indubbio, sia per i credenti cristiani sia per i non, che l’anticipo della Pasqua abbia assunto sempre più un valore più umanistico che spirituale, c’è un forte bisogno di pace vera, sicura, certa, una pace sentita dal profondo di ogni animo, una pace che non conosca diversità o etnia, stato e/o addirittura politica, una grido unanime lanciato dall’uomo in generale, l’uomo quell’unico animale che in quanto possessore d’intelligenza, non riesca con questa ad usarla per un suo universale beneficio. Premesso tutto questo oggi voglio perciò proporvi questa opera, certamente con soggetto religioso, ma che comunque parla e urla anche a coloro che non lo sono, perché la rappresentazione tutta è volta a chiedere da parte di un Supremo, un aiuto non divino ma terreno, un aiuto per le sofferenze patite e per gli affronti subiti da chi, umano come noi spettatori ha osato senza pietà alcuna.

Era il 1980 quando una congregazione di un convento di suore in Provenza, per poter usufruire di un poco di moneta da usare anche per i poveri, decisero di fare “pulizia” di tutto quello che era ammassato e non usato negli anni precedenti, diciamo che fecero pulizia delle soffitte, e in questo “rinnovamento” c’era anche un quadro, di notevole bellezza, ma definito come tanti, una crosta.
Comunque riuscirono a ricavare qualche migliaio di Franchi  vendendo il tutto a un antiquario.
Quest’ultimo però nel ripulire la tela si accorse che era firmato e così lo portò all’allora storico d’arte  francese André Castel che riconobbe subito in questo un capolavoro dei Lorenzo Lotto ovvero il “Cristo portacroce” datato 1526.
Il quadro venne poi acquistato dal Louvre per la “modica” cifra di tre milioni e mezzo di Franchi, e le suore venute a conoscenza di ciò cercarono di rientrare in possesso di quel quadro “bistrattato” ma ogni causa contro il museo fu assolutamente invana.




Il quadro pare fosse realizzato per una destinazione privata, un evidente soggetto devozionale riguardante un preciso momento della Passione di Cristo, soprattutto per mettere volutamente in risalto la sofferenza del Cristo per poter così suscitare in chi lo avesse ammirato, una sorta di mistica meditazione, e per far si che tale processo avvenisse istantaneo e immediato, il Lotto ha usato di proposito le dimensioni ridotte e messo in assoluto primo piano il volto del Cristo, creando al contempo quel senso di peso che lo stesso Gesù prova nel trascinare quella croce al suo pulpito.
E’ un grido quel volto, è una supplica, è un aiuto che il Divino chiede all’umanità e se poi pensiamo che la rappresentazione è rivolta al momento in cui si parla nelle scritture, quando Cristo ormai allo stremo cade con la croce durante il trasporto verso il Calvario, e i suoi aguzzini mentre infieriscono colpendolo e tirandogli i capelli nel tentativo di spronarlo a rialzarsi, chiedono all’umano Simone di Cirene detto il Cireneo di addossarsi il peso della croce, in quanto c’è bisogno di accelerare il processo di crocifissione, bisogna porre fine a tutto questo il prima possibile.
Per il Lotto noi siamo il Cireneo, il Messia con tutta la sua umiltà terrena ci chiede di sostenere quella Croce, ci chiede di essere magnanimi e di comprendere.
Il dolore del Messia è intenso, le stesse copiose lacrime lo testimoniano, e le evidenti ferite causategli dalla corona di spine ne sono la profonda e dettagliata testimonianza , le mani del Cristo sono quasi diafane in contrapposizione a quelle dei suoi carnefici, scure e chiuse, che imprimono e testimoniano la violenza e la bruttura. 
E il Lotto sorprende ancora con la particolarità stessa della firma, a confermare la sua abitudine che pone sempre la firma in un determinato posto tale da essere parte integrante della rappresentazione stessa, qui la pone sul braccio della croce ma in senso inverso, ovvero chi guarda il quadro la vede rovesciata onde per cui per poterla vedere giustamente, si dovrebbe rovesciare il dipinto stesso. Ed è proprio questo voluto movimento che pone il Lotto e al contempo noi stessi in un atto di pietà, in quanto attraverso la sua firma a rovescio egli e noi di riflesso, siamo un poco come San Pietro che imitò il Cristo facendosi crocifiggere ma a testa in giù.
Un quadro da una forza esteriore potente e che arriva subito al cuore, un quadro che pur nella sua forte manifestazione di dolore e pena grida pace.
Buona Pasqua amici carissimi.

Roberto Busembai (errebi)

Immagine web: Lorenzo Lotto – Cristo portacroce e dettaglio dello stesso