mercoledì 29 aprile 2020

LEGGERE "FA MALE"

Adesso che la casa pare strapulita, luccicante e brillante, adesso che la cena è stata consumata, la televisione fortunatamente spenta, mi dedico un sottofondo musicale e mi lascio andare con le note, a leggere , finalmente, un libro, uno di quelli che sommessamente stavano ad aspettare, da tempo, che fosse aperto, ora che non ho fretta e ho un enormità di tempo, mi posso a lui dedicare, così mi siedo sul divano, metto gli occhiali e inizio a leggere questo romanzo o non so bene, certo già dalla copertina sono affascinata e per un poco, spero, dimentico questo virus che da giorni assale e come è fare del morbo, divora e uccide.”
Martina si era davvero lasciata andare, sotto una luce fioca ma suffieciente a farle leggere e fantasticare, immedesimarsi e volare e......ma improvvisamente il campanello di casa emetteva il classico suono, un suono che da tanti giorni sembrava quasi scomparso, per non averne più avuto da nessuno, il bisogno di usare.
Chi può mai essere a quest'ora tarda della sera, nessuno può uscire o vagare per le strade, o forse è la vicina che ha bisogno di un aiuto o magari l'anziano signor Giuseppe del piano di sopra, che si senta male?”
Così pensando Martina posa il libro cercando di non perdere il segno della pagina dove già si era immersa, gli occhiali sul tavolo vicino, e giunge alla porta e la apre.
Bonsoir è lei la signora Martina? Ma certo lo si vede dall'espressione, ho aderito alla sua richiesta e adesso eccomi qua a far la festa”
Un nobile signore, con la tuba in testa, fiocco nero e camicia ben stirata, bianca su un completo nero dai risvolti in seta lucida anche quelli di colore nero.
Ma......” furono le uniche parole che Martina seppe pronunciare che quel signore era già entrato e si era presentato...
Mi scusi madame” e con la maestria di un dongiovanni le prese la mano nella sua inguantata di bianco tessuto e se l'avvicinò alla bocca per un cenno di bacio poi “ Conte Arsenio Lupin per favorirla” e già era seduto sul divano accavallando pure una gamba sull'altra.
Non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi dalla inconsueta sorpresa che già si sentiva bussare alla porta, e Martina non ebbe che d'andare ad aprire a sua volta.
Buonasera Martina, non mi riconosce? Ma certo, come può una donna bella come lei dimenticarmi” e prendendola sotto braccio l'educato signore, in veste orientale, un manto dorato con disegni ricamati, un foulard arrotolato sulla testa e uno spadino tenuto da una parte con una cintola in corda di fili intrecciati e colorati stretta sulla vita, un grosso diamante smussato che gli scivolava sopra il petto quasi nudo per il largo scollo dell'abito, tenuto da un collare in maglia d'oro, si accinse ad entrare e mentre l'accompagnava nel salotto si ebbe a presentare:
Mia dolce signora, sono al vostro cospetto e ne sono lieto, ho accettato di petto il suo nobile invito, mi presento anche se non ce ne sarebbe di bisogno, Sandokan Re della Malesia.” e inchinandosi si sedette al lato opposto del primo ospite che con ragguardevole stupore e meraviglia, ebbe occhio al diamante e non riusciva a staccarsene dal guardare.
Martina non aveva parole e non riusciva nemmeno a parlare, ma ancora aveva la forza di pensare e si chiedeva se questo era un sogno e se lei dormiva, ma nonostante si sforzasse di svegliarsi capiva invece che era reale quello che le accadeva e tutto contro i rigori delle leggi e delle ordinanze, delle distanze e degli obblighi di mascherine e guanti e …...la porta era rimasta aperta ed ecco che sulla soglia una compita donna, mora, in un copioso abito lungo, ottocentesco, di colore scuro, sicuramente nero, dalle trine cadenti sulle spalle, un cappello a larghe tese, pure nero ma con due camelie rosa finte ad ammorbidire il nefasto colore, il volto bianco ma dolce insieme; entra con il solo rumore del vestito che struscia sul pavimento e davanti a Martina si presenta, sfoderando un sorriso brillante con labbra copiosamente colorate in un rosso vivace.
Carissima amica, è un piacere esserle a fianco, non potevo non accettare l'invito a questo conviviale, Emma, Emma Bovary”
Madame Bovary!” fu l'esclamazione del signor Lupin.
Ma le sorprese non erano terminate e in poco la casa era invasa dai più svariati personaggi della letteratura, veri o inventati, nobili o disgraziati, giovani o vecchi, avventurieri o screanzati; seduti sopra il letto adesso conversavano in gaia tranquillità Atticus Finch di Maycomb con Dean Moriarty, come se la moralità del primo fosse svanita nelle prodezze anche illegali dell'altro, in cucina tra un fornello e una pentola, tra una preghiera e un'esclamazione, tra un pomodoro rosso e un crocifisso tolto dalla parete, si dibattevano come sempre Don Camillo e Peppone tanto da far chiasso e rumore.
Il divano oltre ai già detti, vi sedevano stretti stretti, il bellissimo e romantico dottor Zivago con a fianco la nobile e intrigante signora Anna, la Karenina, anche lei con un ingombrante cappello nero sulla testa e un abito nero dalla scollatura evanescente coperta soltanto da un velo trasparente, e pure il bagno era occupato, appoggiato al lavabo, ammirandosi allo specchio, si specchiava un giovanotto dal funereo bianco volto, sguardo perso e scrutatore, Dorian Gray bello come il sole e etereo come la nebbia e nel tinello vagavano............
Il libro cadde dal divano, il rumore destò Martina che s'era addormentata, un primo assonnato sguardo intorno, la certezza di avere sognato e ritrovarsi nella casa vuota e silenziosa di sempre, quella di questi lunghissimi giorni, e giusto il tempo di pensare.... “Forse era meglio sognare......”

Roberto Busembai (errebi)

Immagine web: Friedrich Frotzei - The Old Bookcase

martedì 28 aprile 2020

I PAESAGGI DI ALESSANDRO TOFANELLI


Adesso lo definirei il pittore del periodo covid19, perchè le sue
immagini, le sue pitture sono vive di luoghi e di case, paesaggi, boschi e prati ma senza figure umane, luoghi di cui se ne intende e se ne assapora il vissuto ma non si vede.

Parlo delle opere dell'artista pittore, fotografo e video-documentarista, regista e sceneggiatore, Alessandro Tofanelli, toscano, viareggino che un giorno ha deciso di vivere nel grande parco di Migliarino a due passi dal mare e a fianco della foce del fiume Serchio. 




Un luogo ameno, solitario, ancora in parte selvaggio, tra pinete e boschi. Ed è in questo luogo che questo grande e famoso artista produce l'incanto delle sue “pulite” pitture, fondate su una visione particolare, quasi fiabesca, di cui ne estrae il calore e il colore del luogo, la luce, il silenzio, ma non sono riprese vuote o banali, sono calde di apporto umano, se ne intende il vivere quotidiano, Tofanelli non ha bisogno di dipingerci persone, bambini o anziani, chi osserva i suoi dipinti percepisce pure il bambino o la mamma sulla soglia, un anziano alla finestra, un vivere quotidiano fatto di cose semplici e di naturalità, che ancora esiste in questi luoghi e che noi abbiamo riscoperto dopo questo forzato periodo di quarantena. 


Ho voluto parlare di questo artista, perchè sono un suo silente ammiratore, godo e mi affascino nei suoi dipinti lasciandomi completamente andare, perchè un tuffo nei suoi paesaggi, nelle sue cascine, nei suoi platani, querce, lecci e pini mi ritrovo nella pace serena della vera natura di vita. Sono immagini eleganti offerte con una tecnica se vogliamo, rigorosa, la sua è una pittura che sfiora la metafisica, lui ritrae i suoi sogni, le percezioni, le sue emozioni, lui vive di questi luoghi e ne viene assorbito in toto. Sa giocare con gli effetti di luce con sensibilità non comune, le sue immagini a mio parere non sono soltanto pitture ma sono altamente poesia, una poesia che porta pure alla commozione.

Roberto Busembai (errebi)
Immagini web: Alcune opere dell'artista Alessandro Tofanelli

lunedì 27 aprile 2020

HO PAURA DEL 4 MAGGIO

Da umile cittadino che mi ritengo, da semplice uomo con una certa esperienza di vita e di vissuto, da normale lavoratore adesso quasi e dico “quasi” in pensione, nonostante la mia notevole invalidità, bene io credo che in nessun Stato, in nessun popolo, in nessun Paese, ci sia una così grande forza di abbattere e denigrare il “se stesso” che vi appartiene. Non c'è Stato o Paese che abbia così fortemente voglia di far apparire la propria Nazione come uno sfacelo, come lo stiamo facendo noi.
Io non capisco il popolo italiano, e forse premetto sono altamente ignorante da non poterlo capire, ma capisco che in una famiglia si tenga tutti a salvare i nostri appartenenti, nessuno, penso, cerca di far apparire un suo figlio, quello che non è o che vogliono sia o che comunque fosse anche un ladro, nessuna madre lo additerebbe per farlo accusare.
Ebbene la famiglia Italia invece che fa, denigra ogni sacrificio, si dimentica il male che la opprime, i morti sono già dimenticati, i medici e le infermiere diventano al loro comportamento degli untori, si dimentica la salvaguardia umana e si critica a destra e manca tanto per criticare, tanto per abbattere e creare scompiglio e paure, tanto per far vedere al mondo intero che siamo un popolo di pezzenti....si perchè così come ci comportiamo siamo un popolo di pezzenti.
Io ho paura del 4 maggio, una paura immensa, perchè ci saranno, e saranno tanti, quelli che faranno di tutto per ovviare e andare contro alle disposizioni, perchè quel qualcuno, si proprio quelli che litigano e fanno la voce grossa, non hanno niente da perdere se tutto va in malora, voi italiani, popolo di tutti i giorni, quelli che dovete faticare per andare avanti, quelli che dovete soffrire per mantenervi e mantenere i vostri cari, voi non avete ancora capito che chi fa la voce grossa il portafoglio l'ha già ben pieno e il coronavirus sa come combatterlo o almeno tenerselo lontano, e voi in trincea a lottare e a credere di essere immuni tornare a lavorare, a viaggiare, a fare le vacanze, a formare gruppi d'incontro...ecc....tanto e ripeto tanto a quelli che vi hanno incitato, che vi hanno inculcato le illusioni e le rabbie, i rancori e il disprezzo , bene, a quelli non importa proprio niente se un domani vi sentirete male o se meglio morirete, l'essenziale è avere creato paura e la paura serve per dominarvi, per comandarvi per robottizzarvi e per farsi, loro, più grandi e ricchi.
Ebbene io ho paura del 4 maggio perchè non so se questa Italia è pronta a sopportare con puro sacrificio e civiltà un rientro moderato alla normalità, una normalità che va sudata, cari italiani, e nessuno non pensa che ci siano persone che hanno difficoltà perchè non possono lavorare o non guadagnano perchè la cassa integrazione anche se l'hanno avuta chissà quando viene ecc., lo so bene che ci sono mutui, affitti, bollette e tasse da pagare, ma so anche che mal comune fa mezzo gaudio, ovvero non siamo i soli in questo marasma di cose, è l'intera Nazione e soltanto con l'unione e con la speranza, con la volontà e con la fiducia, attenti ho detto fiducia, si può costruire e ritornare a sorridere.
Una mattina improvvisamente, in un'Italia che fino a l'ieri era considerata un popolo di fannulloni e miscredenti, una mattina improvvisamente ci siamo trasformati tutti in grandi lavoratori e ricolmi di fede e partecipazione, ognuno ha adottato un cane e chi non lo ha potuto fare ha adottato un supermercato, questo siamo noi Italiani.......e intanto ci sono migliaia di morti (c'è chi ha avuto anche il coraggio di dire che sono un'invenzione) ci sono migliaia di persone in terapia intensiva, ci sono ancora positivi, ma noi ancora vogliamo il calcio da andare a vedere e la Santa Messa per devozione, come se la fede fosse soltanto quella di farsi vedere in chiesa, e non quella che ognuno nel silenzio e in solitudine prega se ci crede, e noi vogliamo il mare perchè le vacanze, nonostante si soffra la fame come dite, non si abbia sicurezza lavorativa, si tentenni per arrivare, quelle non si possono saltare.
Io ho paura del 4 maggio, perchè non vorrei ritornare indietro e se succedesse, allora si che non ci sarebbero misure di contenimento, di sostegno monetario, di aiuti da parte delle altre Nazioni, allora si che quelli che ora contestano saranno davvero contenti di potervi finalmente dominare.
Io ho paura del 4 maggio.

Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: photography by Mati Gelman @matigelman

giovedì 23 aprile 2020

FASE 2 - LE PROVE



Che eccitazione, non potete nemmeno immaginare, in casa si è improvvisamente realizzata quella speranza che tutti aspettavano, a mio parere esagerata, ma vedere la nonna che balla come con la musica sfrenata della Carrà e il nonno che con il bastone tiene il tempo, non me li sarei mai immaginati.
La fase 2, così chiamata è pronta a essere dichiarata, e già la mamma si appresta a lavare il vestito più bello perchè non può certo sfigurare quel fatidico giorno quando uscirà, con la mascherina ben curata, si, quella che tiene in serbo nel cassetto, e che ha detto la userà soltanto il primo giorno che potrà uscire liberamente, e devo dire che quel vestito è davvero bello, tutto fiori e colorato, un misto di prato primaverile acceso a un sole d'agosto, e Franco, il mio fratellino, ha già preparato una scatola da scarpe piena di pallini di carta, sapete già che è famoso nel tiro con la cerbottana, perchè ha detto che vuole vedere come saranno buffe le persone, quelle che verranno da lui colpite, che sbuffano e si lamentano dietro le loro mascherine celesti o bianche, e sentirle blaterare in un soffocato urlo straziato dal quell'impossibilitata libertà di urlare a piena voce.
La nonna, che dopo aver ballato la samba di un disco della Carrà, si posa sul divano e si rimette i capelli bianchi raccolti dietro, facendone “una cipolla” che ormai si sfoglia come si sfogliano le gocce di sudore che scivolano tra un solco e l'altro delle rughe, ma lei imperterrita e felice esclama: “ Anche stavolta glielo messo in.....a sto virus” e ci fa sopra una bella risata senza denti ma che lascia tutti con la bocca aperta, per quell'uscita un poco oscena e poco adatta a una donna, una che come lei era fino ad adesso, una che non sopportava assolutamente ogni esclamazione che avesse un minimo di indecoroso dire.
Il nonno ha posato il “legno”, il bastone come lui l'ha sempre chiamato, e si associa all'esclamazione della moglie dandogli persino corda e finendo la frase …...che io non sto a riportare.
E mia sorella, beh quella ancora ha il cellulare fisso tra le mani e le cuffie nelle orecchie, lei guarda e chissà cosa sentono quei timpani che difficilmente sanno arrivare al cervello, perchè una cosa è ascoltare e lasciarsi andare nelle sue note o nelle sue parole, fosse una canzone, lei ascolta ma la mente naviga nel sole e nelle nuvole intere, a rimembrare amori e carezze di ragazzi sconosciuti, o di ragazzi di cui parla con le amiche così da sognare insieme, diventando così un mercato quel pensare.
Lei guarda, e lo sguardo è rivolto al tutto e al niente e non si accorge nemmeno che adesso la nonna piange, così, improvvisamente.
Uno squillo, è un cellulare, è quello di mio padre che subito risponde:
Pronto?”
Buongiorno so Antonio, il ragioniere de sopra”
Ah, si mi dica”
E mia madre che fa gesti strani dalla cucina, gesticola, con l'intenzione di sapere chi è al telefono, e mio padre che annuisce e con la mano gesticola a modo di “nessuno, nessuno.....” e continua a parlare.
Dica, dica pure...”
No je volevo dì de stà carmi ….”
Calmi? Calmi di cosa?
No, me faccia di, de un fasse prenne dall'eforia, senno qua sta a venì fori 'na caciara, io je l' ho detto a tutti, che nun se pole uscì come se fossemo stati in galera, famo i civili, ce dovemo organizzà, mettese ognuno in fila, per famija, no? “
Ma...si si certo, ma ancora non sappiamo quando”
Appunto che la sto a chiamà, per organizzasse, dovemo fa le prove, ha capito? Bene stia pronto che me sto a procurà i tempi dell'artri e poi faccio, ce risentimo, così famo la prova generale, je va bene? Mo so tutto ingarzurito, a me sta cosa me eccita?.....Mi stia bene e saluti la signora, je faccio sapè”....e riattacca.
Allora chi era?” Mia madre subito preoccupata che assale mio padre
Il Ragionier Antonio, quello che sta sopra.....”
Chi? Il romano?” faccio io
E che voleva?” ancora mia madre
Non ho capito, dice che bisogna organizzarsi per uscire...noi tutti del palazzo....ma poi mi richiama.”
E la mamma sotto sotto si fa una bella risata, nonna intanto si è calmata e come solito, da ormai un mese e mezzo, si appoggia al davanzale della finestra e guarda fuori mentre il nonno ha acceso la televisione su un canale che trasmette documentari.....dice che gli pare di essere Indiana Jones.
Papà” gli chiedo “ ma quando usciamo possiamo andare dove ci pare?”
Mi guarda con uno sguardo perso nel vuoto, si volta verso mia madre e.....
Carla, è pronto in tavola?”.
Non so perchè, ma lo ribadisco, questa eccitazione d'uscire, mi pare esagerata!

Roberto Busembai (errebi)

Immagine web: Arnau Alemany

mercoledì 22 aprile 2020

ELIZABETH ABBOTT - STORIA DELLE ALTRE

E sempre donne sono state e sono, sempre donne si sono bene o male sacrificate, derise, denigrate, violentate, uccise e torturate, e sempre donne sono, anche se bistrattate da tutto e da tutti e spesso mal ricordate o comunque non bene pronunciate. E sempre sono state e sono, e sempre vengono accantonate, incomprese e criticate, deturpate e emarginate e mai comprese, aiutate, da tutto e da tutti, forse le più dissociate e tabuizzate, oltraggiate e sparlate.
Sono le donne che sono state e sono, dietro le quinte dei grandi uomini vissuti e viventi, quelle nei camerini, attrici senza applausi e fiori o complimenti, sono quelle donne che hanno valso il successo , gli onori e i bene accoglimenti dei grandi uomini, i potenti, che per loro e solamente per loro hanno sacrificato, donato, disperso, consumato, denigrato la loro stessa vita e per loro hanno pure dovuto sopperire il distacco peggiore che donna possa avere, la strazio di un figlio che le hanno tolto, strappato, quasi sempre per obbligo o per contratto, perchè essere il figlio dell'uomo celebre e osannato, spesso l'erede di un trono o di un casato.
Sono le concubine, le amanti , le mantenute, le amiche quelle che sono sempre state sulla bocca della gente, quelle che hanno cambiato il signore, il re, il principe, il capo di stato, quelle che hanno avuto soltanto la diceria delle “puttane” senza chiedersi mai il perchè e per cosa e come lo hanno fatto, soltanto meretrici sono state e sono considerate, quando talvolta e spesso sono dal mondo stesso obbligate.
Questo libro è un susseguirsi di descrizioni di tutte, o quasi, tutte le donne che hanno avuto un'impronta indelebile e spesso determinante sugli uomini di potere, donne che per loro si sono dedicate anima e corpo e spesso si sono ritrovate uccise, dimenticate, derise e oltraggiate, dimentiche da tutti e da tutti violentate soprattutto moralmente rIgettate nel putridume del niente.
Un libro interessante anche sotto l'aspetto di nozioni storiche, fatti e accadimenti dati per scontati ma che hanno avuto l'impronta dominante di queste donne.
E sempre donne sono state e sono!
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: copertina del libro

martedì 21 aprile 2020

22 APRILE - BEATO FRANCESCO DA FABRIANO (Francesco Venimbeni)

Francesco Venimbeni nasce a Fabriano il 2 settembre del 1251 da un medico, Compagno Venimbeni e da Margherita di Federico e già a 16 anni entrò a far parte dell'Ordine Francescano.
Caritatevole e devoto come era di sua natura, ebbe il permesso di recarsi ad Assisi per l'indulgenza della Porziuncola e qui ebbe l'incontro più importante della sua vita, Frate Leone, uno dei primi compagni di San Francesco, il quale ormai vecchio, difatti morì dopo tre anni dopo, nel 1271, ormai scettico contro tutto e tutti, ebbe però parvenza di fiducia in quel giovane che addirittura gli raccontò di ciò che il Fraticello gli aveva sempre raccontato di come aveva ottenuto l'indulgenza della Porziuncola da parte del Signore e da papa Onorio III, e gli lesse addirittura la Leggenda dei tre Compagni (probabilmente Frate Leone, Frate Angelo Tancredi e Frate Ruffino).
In seguito ritornò ad Assisi altre due volte, poi divenne superiore nel nuovo convento costruito dai fratelli a Fabriano, di cui egli stesso si era fatto promotore in quanto voleva realizzare il desiderio dello stesso San Francesco d'Assisi, che, in occasione della sua venuta a Fabriano ospite della vedova di Alberigo di Gentile, Donna Maria, ne palesò il desiderio.
Ebbe la fortuna, con l'ottenuta eredità paterna, di costruire una grande biblioteca divenendone poi il primo fondatore delle biblioteche dell'Ordine Francescano. Fu un abile scrittore di cui rimane un'importante memoria autobiografica, la Cronica Fabrianensis, dove il Venimbeni le più importanti notizie riguardanti la sua vita, della famiglia e del suo ingresso e sviluppo nell'Ordine Francescano.
La sua vita fu tutta dedicata ai poveri, agli emarginati e agli ammalati di cui si prendeva cura personalmente offrendo non soltanto un sostegno morale, ma anche e soprattutto fisico e materiale.
La sua beatificazione avvenne il 1 Aprile del 1775 su volontà di Papa Pio VI.
Purtroppo del convento e chiesa, San Francesco alle Logge, non ne rimane più niente, il suo disfacimento è dovuto in primis dalla soppressione napoleonica degli ordini monastici, che comportò cosi un cospicuo saccheggio della chiesa e poi la soppressione del Regno Italico nel 1861 portò alla totale demolizione del complesso e delle cui macerie e luogo entrò poi a far parte del bene comunale. Nella chiesa oltre a importantissime opere d'arte che sono esposte in vari muse internazionali, vi era stato traslato il corpo del beato Ranieri, il confessore di San Francesco d'Assisi, la cui pietra tombale è ben visibile su una parete del palazzo comunale e l'urna contenente il corpo imbalsamato del Beato Venimbeni, oggi è venerata nella Chiesa di Santa Caterina martire d'Alessandria, situata sotto l'altare di sinistra prima di salire al presbitero.



Roberto Busembai (errebi)

Immagine web

CLAUDE MANET - PERCORSO SULL'ISOLA DI SAINT MARTIN, VETHEUIL

Abbiamo tutti quanti un grande desiderio, un desiderio che pare diventato un sogno, tanto ci pare lontano ancora da realizzare, tanto ci pare lontano nel ricordare, eppure è un semplice e naturale desiderio di uscire e pure passeggiare tra fiori e erbe, tra alberi e prati, e della primavera gustare l'aria, il fascino e il sapore. Dobbiamo avere tanta speranza indossando tanta pazienza e nel contempo alleviarci con pensieri chiari e dare allegoria ai giorni anche con immagini se non con le sole parole. Ecco che meglio di ora possiamo apprezzare e perderci in questa opera di assoluta freschezza e vivacità, che dona alla mente se non proprio all'occhio quella sensazione da immedesimarsi in quel preciso luogo o se non altro sentirsi avvolgere da quel sottile venticello primaverile che pare muova delicatamente i pioppi e le erbe, lasciando trascinare lentamente le nuvole bianche a contornare.
Nel lontano 1879 Manet si traferì con tutta la famiglia nel famoso villaggio di Vétheuil sulla riva della Senna, e qui il Maestro, nei tre anni che vi rimase, fu influenzato dal paesaggio del luogo, dalle colline e dai prati, dalla stessa torre della chiesa del XII secolo che dominava su tutta la valle, insomma ha espresso con pennellate delicate e ritmiche l'impatto esteriore ma soprattutto quello interiore che ognuno può assorbire trovandosi in simile panorama. Ebbene non è difficile perciò entrare in questa libidine di effetti, in questo palpabile sentiero tra i campi, tanto da chinarsi e raccogliere un fiore di campo, tanto da godere quella gioviale e pura aria che soltanto passeggiando, nel vero, in un primo pomeriggio di maggio, noi sappiamo riconoscere e godere.

Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Claude Manet - Percorso sull'isola di Saint Martin, Vétheuil

sabato 18 aprile 2020

18 APRILE 1504 - MORTE DI FILIPPINO LIPPI


A soli quarantacinque anni, il 18 Aprile 1504, moriva a Firenze uno dei grandi pittori di sempre, Filippino Lippi.
Nacque a Prato, forse nel tempo che suo padre, Fra Filippo Lippi, stava dipingendo gli affreschi nel coro del Duomo, un padre che lo lasciò quando questi era ancora dodicenne e che con l'appoggio del suo primo maestro, Fra Diamante (amico e discepolo del padre), si trasferisce a Firenze.
Ma ben presto avrà un grande maestro a seguirlo e dal quale per un buon periodo ne seguirà le somiglianze nelle prime pitture, Sandro Botticelli, ma saprà anche ben volersi e apprezzarsi, tanto da avere la protezione dei principi di casa Medici, dove proprio per loro commissione ebbe a dipingere una sala nel Palazzo pubblico.
Giovanissimo ebbe un incarico importante e di grande prestigio, terminare gli affreschi della Cappella Brancacci al Carmine, che erano stati iniziati dal Masolino e poi meravigliosamente seguitati, ma non terminati, dal grande Masaccio. Filippino con sicura trepidazione, dipinse cinque soggetti, il più vasto e importante San Pietro e San Paolo accusati davanti al Tribunale di Nerone, e sotto le sembianze dei vari personaggi biblici ebbe la cura di rappresentare molte figure dei personaggi famosi contemporanei, come il Botticelli e il Granacci, lo storico Guicciardini e il poeta Luigi Pulci, Tommaso Sederini e altri, trascurando, come invece era in voga al tempo, di rappresentare se stesso.
Al contempo non mancava di lavorare a bottega e portare a termine varie commissioni tra cui la celebre Visione di San Bernardo conservata alla Badia di Firenze, un dipinto che segna la maturità artistica del pittore nonostante ancora qualche accenno del maestro Botticelli.
Come quasi tutti i pittori ormai famosi, del Quattrocento, anche Filippino fu chiamato a Roma con l'incarico da parte del Cardinale Carafa, che diverrà poi il famoso inquisitore Papa Paolo IV, di decorare con affreschi una cappella in S. Maria sopra Minerva, l'antica chiesa dove era sepolto Fra Angelico.
Il Lippi accettò ben volentieri la richiesta di quell'importante lavoro, ma al contempo sapeva anche che il viaggio era abbastanza rischioso, sia per le strade sconnesse del tempo e sia per i pericoli che si potevano incontrare ( come essere assaliti da briganti o simili) per cui, prima di partire, fece un vero testamento, dove lasciava a sua madre, l'ex suora Lucrezia Buti, le case che possedeva a Prato e il resto del suo patrimonio all'Ospizio di S. Maria Nuova con il patto che venisse passato annualmente alla madre, una cospicua provvista di grano, olio, vino, legna e carne salata.
Durante il viaggio si fermò a Spoleto per visitare la tomba del padre e disegnare il monumento in marmo che Lorenzo de' Medici aveva dato ordine di erigere in memoria di Fra Filippo.



Roma per Filippino fu l'apoteosi della crescita artistica, d'allora la sua arte ebbe un risveglio favoloso, ne rimane prova assoluta l'opera, che al suo ritorno a Firenze, eseguì nella Cappella Strozzi a Santa Maria Novella, un vero capolavoro che il banchiere Filippo Strozzi gli commissionò , dove il Maestro scelse per soggetto dei suoi affreschi la Resurrezione di Drusiana per S. Giovanni Evangelista e San Filippo nel tempio di Marte.


A circa quarant'anni si sposò con Maddalena dei Monti ed ebbe tre figli, ma dopo pochi anni, a sorpresa, mentre stava dipingendo il suo ultimo quadro, la Deposizione, fu colto da malore e perì. Il quadro fu poi terminato dal Perugino.

Roberto Busembai (errebi)

Immagini web: Affreschi di Filippino Lippi nella Cappella Strozzi in Santa Maria Novella (FI) e autoritratto nell'affresco Disputa di Simon Mago e Crocifissione di San Pietro

venerdì 17 aprile 2020

MASCHERINA D'ORO

Una mattina ci alzammo, ognuno con la sua preoccupazione di sempre, ognuno verso il destino comune, chi per intraprendere il solito lavoro, chi a scuola per imparare, chi a casa per i doveri familiari, chi altro ancora per sopperire a una salute precaria dovuta a una senilità invasiva, e altri e altri ancora verso i più disparati motivi, una mattina ci alzammo e tutti quanti fummo proiettati nel baratro impensabile, a tutti fu tassativamente proibito di uscire perchè un morbo, un virus letale invadeva le nostre strade, i nostri uffici, le nostre aule, le nostre fabbriche e tutto quanto esisteva per procurarci del vivere sociale.
Una mattina ci proibirono di uscire e furono mesi di sofferenza e paure, l'esserne probabili infetti e poterlo essere da altri, all'insaputa, e intanto moriva gente, tanta gente, e oltre al forte disagio di non uscire sussegue quello del panico e dell'abbandono, del sentirsi un nulla in una società che avevamo sempre creduto eterna e infrangibile, e ci proibirono di accarezzarsi, baciarsi, toccarsi, abbracciarsi e a stare a dovuta distanza, un metro, meglio due, l'uno dagli altri e si iniziò a conoscere la solitudine quella insita nella nostra pur solitaria vita, la solitudine dei tanti di non poter condividere più i sentimenti con i gesti più affettuosi che uomo mai conosca.
Una mattina poi venne l'ordinanza che si poteva uscire solo per esigenza, come la spesa alimentare o farmacia ma dovevamo indossare la mascherina, quell'indumento rettangolare che apposto a difesa del morbo, in tessuto particolare, a coprire naso e bocca e togliere così completamente ogni visione e percezione di un sentimento, che sia stato dolore o solo anche divertimento.
E come pesava quel pezzetto insignificante, come pesava guardarsi nello specchio, vedere la gente e non saperla riconoscere assolutamente, ci sentivamo stranieri in un mondo infetto, si percepiva in quel momento come eravamo caduti nel baratro più profondo, quell'insolito pezzetto di tessuto particolare che ti cambiava totalmente il mondo.
Poi piano piano si cominciò a tornare ai nostri lavori, alle fabbriche, negli uffici e pure nelle scuole ma solamente e tassativamente con le mascherine fisse sul nostro viso a denotare ancora e marcatamente che il mondo che avevamo lasciato tanto tempo prima, ormai se n'era andato, dovevamo sopportare questa nuova forma di vivere in comune e ci pesava, quanto ci pesava.
Ma come in tutte le cose, i giovani, i ragazzi, trovano sempre un modo e un'inventiva per sdrammatizzare, ed ecco che nelle scuole alcune ragazzine, che avevano perso il fascino per farsi notare, iniziarono a disegnare sopra quella mascherina, chi un fiore, chi una rondine, chi un'icona "smile", chi un pensiero, chi una nuvoletta e i ragazzi venivano attratti da queste innovazioni e tra di loro giudicavano le migliori, le più carine. E come in tutte le cose, dai giovani, si passò a una vera moda giovanile, sorsero le prime mascherine con ricami a fiori, quelle con tre o più colori e quelle per ragazzi distinte da quelle per ragazze, le case di fabbricazione iniziarono a fare mascherine con impresso un super eroe, o un personaggio dei cartoons di romantica espressione.
Ma l'industria e il commercio non potevano rimanere a guardare e videro in questo mercato una fonte di guadagno magistrale, e sorsero così le mascherine per tutti, per adulti e per i lavoratori, addirittura le fabbriche o le imprese fecero stampare il loro logo e ogni loro dipendente da quel giorno indossava quella alla ditta appartenente. E allora nelle strade, nei parchi, sulle spiagge, nei tram o negli uffici, nelle fabbriche e nelle aziende dominavano i colori, si vedevano mascherine di ogni tipo e genere, disegni e fatturazioni particolari, il mercato aveva vinto, negli ipermercati a ogni “tot” di spesa di assegnavano punti, che una volta raggiunto un determinato quantitativo, si vinceva una mascherina particolare direttamente firmata dallo stilista che l'aveva inventata, e, subito, sorsero nei negozi di abbigliamento, mascherine alla moda, quelle per le occasioni particolari, quelle in colore jeans per il casual e quelle abbinate alla cravatta e per le signore con le stoffe e i colori uguali a gli abiti che avrebbero comprato per indossare. Nacquero ditte apposite per la fabbricazione e per il particolare design, stilisti di ogni parte del mondo si prodigano per inventarne di nuove e particolari, e tra la gente comune era uso dire : “Come ti sta bene quella mascherina”....oppure....”ma che bella mascherina dove l'hai comprata?”.....o anche....”ma sai che il tizio ( nome dello stilista) ha fatto davvero un bel disegno, e che stile!”.
Poi un giorno uno stilista non di fama mondiale, ma un comune sarto di una piccola azienda tessile ad andamento familiare ebbe un'idea originale e particolare, lanciò sul mercato, con l'aiuto del sindaco del paese e dell'appoggio di tutta la giunta comunale, una mascherina di colore espressamente e totalmente bianca. Niente di originale, apparentemente, ma l'idea era nel motivo stesso del perchè quel colore.
Vorrei che questa mascherina bianca fosse indossata da tutto il personale che lavora per la salvaguardia della salute, dai medici a gli infermieri, dagli operai sanitari agli stessi lavoranti o badanti degli anziani. Bianca, per commemorare le migliaia di morti che questa categoria ha subito, donando se stessi e essere a repentaglio per salvare altre vite.”
Fu un'apoteosi tale, che non solo fu insignito di una medaglia da parte dell'allora Presidente dello Stato ma ricevette pure una “ Mascherina d'oro” donatagli dalla confederazione internazionale degli stilisti e delle sartorie.
Sorse così il premio, “Mascherina d'oro” che ogni anno venne assegnato a colui o colei che avesse inventato una mascherina particolare e originale.
Poi piano piano, la mascherine cominciarono ad essere dimenticate, si poteva circolare anche senza, si poteva di nuovo respirare e dialogare senza alcuna protezione e quelle “pezze” rettangolari furono totalmente dimenticate.
C'è chi ne ha alcune in serbo dentro ad un cassetto e c'è qualche anziano che ogni tanto, le guarda e le ammira pensando: “ Che giorni erano quelli, bei miei tempi!”.

Roberto Busembai (errebi)

Immagine web: Victor Pierre LeBlanc 

mercoledì 15 aprile 2020

E STIAMO A GUARDARE LE STELLE

Lui guarda dal terrazzo quelle luci sfavillanti che il cielo sa donare, nelle notti chiare, e si domanda quando mai avrebbe potuto ammirare così tanta bellezza, che ora dopo un mese e più di assoluta ristrettezza d'inquinare, espande tutta la sua vera lucentezza, si emoziona anche a questa assurda incongruenza di un virus che per oltre è maligno e arreca invece tanta tristezza.
Lei guarda dal terrazzo quelle luci sfavillanti che emanano le stelle, sono luci belle e carezzevoli, che danno quel senso di piacere e di tenerezza, ora che di pace e d'amore c'è n'è tanto di bisogno a colorare questi giorni che di luce se ne intravede poca e quella che appare è ancora ricoperta da un velo di possente nebbia da non trasparire.
Loro guardano dal terrazzo quelle luci sfavillanti e la mente vaga a quei momenti che le avevano notate, in una di quelle notti passate sulle strade a camminare o sopra ponti di fiumi ad attraversare, in città semi deserte ma con la cognizione certa, che tanti erano in casa solo per la volontà di andare a dormire e perchè l'ora era tarda, oppure viste sulla riva del mare a chiacchierare sul cosa fare nel giorno a venire, sentire che altri come loro erano distanti ma presenti a rimirare, quel cielo pieno di stelle a sfavillare.
Io guardo loro dal terrazzo dirimpetto, e penso per quanto ancora avremmo da sognare questo cielo aperto sopra un mondo vuoto che anche le stelle forse ci stanno a guardare e pensano che un giorno,
dimenticate e perse, si spegneranno insieme perchè nessuno gli dona il dovuto sguardo e gli lancia un sogno da realizzare.
E tutti stiamo a guardare quelle luci sfavillanti che non si spegneranno come ho pensato ma che nel cuore nostro già, forse, hanno cominciato a farlo o lo vorrebbero ma glielo impediamo di poterlo esaudire, questa volta siamo noi a gestire il sogno e non farselo dalle stelle frantumare.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: By Pascal Campion

lunedì 13 aprile 2020

LUNEDI' DI PASQUETTA

Ci siamo svegliati all'alba, e già questa cosa a me pareva esagerata, ma mio padre dice che bisogna partire presto se si vuole godere di tutta la giornata. I vestiti, lo stile casual è il più appropriato per questa Pasquetta “fuori casa”, l'abituale scampagnata del dopo Pasqua, è da anni che la sento nominare e da anni sempre la stessa, a volte certi gesti e pure certe parole subiscono un dèjà - vu, anzi un dèjà sentito......i vestiti, dicevo sono pronti sulla sedia, la mamma li ha accuratamente stirati ieri sera mentre lacrimava per quel film strappacuore che a me faceva davvero tanto ridere, ma a lei basta che si parli d'amore e gli si scalda il cuore più del ferro da stiro che fumava per il vapore immenso che sopportava. Già sento il nonno brontolare, si perchè lui deve essere sempre il primo a raggiungere il bagno e se lo trova occupato inizia la sua tiritera fatta di leggeri impropri ma soprattutto di mal sopportazione, specie se dentro ci fosse mia sorella, perchè lui sa che per quella, il bagno è luogo dove poter “salottare”, dedicarsi alle chiacchiere con il cellulare per promuovere una nuova crema o spettegolare con le amiche, che immagino anche loro dentro un bagno similare, magari sedute sul bidè o addirittura sul water a ridere a crepapelle.
Ero sicuro che quest'anno la pasquetta fosse andata in fumo, e anzi nel cuor mio lo speravo, non tutto il male viene per nuocere, e allora questa quarantena mi avrebbe risparmiato il pranzo sull'erba fatto di formiche e insetti vari, liberazioni di uccelli canterini e pulviscolo di polline di pioppo che inizia a invadere la campagna, mi avrebbe risparmiato il sapore della mortadella nel classico panino, “ che non si può mica sacrificare sempre tua madre a fare il pranzo!”.
E invece eccoci qua in coda, tutti quanti sul corridoio per entrare dentro il bagno, già mi sembra di essere in autostrada all'uscita di un casello, o all'entrata che poi fa lo stesso. Nonno ha conquistato l'ingresso e mia sorella esce incavolata, forse qualche cosa è andata storta, o forse il suo bello l'ha già dimenticata, o a volte basta una parola storta detta per invidia da qualche “cara” amica e il gioco è fatto. Franchino, mio fratello più piccolo, è già con la cerbottana sulla bocca e “impallina” tutto e tutti con maestria diabolica, tanto che è riuscito, e qui merita la mia solidale approvazione, a colpire l'inquilino del palazzo dirimpetto al nostro, quello che sta sempre sul terrazzo a criticare questo e quello, e l'ha colpito proprio.....beh non vi dico dove ma l'avete capito....e tra le grida e gli urli e imprecazioni non ha potuto sapere donde venisse l'artefice del misfatto e così gli impropri se li sono assorbiti tutti quelli del palazzo e anche oltre ahahahah.
Il nonno esce tutto profumato, i pochi capelli bianchi che gli son restati hanno una parvenza lucida da impressionare, è ancora usare quel gel tipico, che mi pare si chiamasse brillantina, e ha un sorriso a non so quanti denti, ha messo la dentiera che tiene in un bicchiere, nella notte, su un ripiano del mobiletto del bagno, quasi fosse un pesce rosso nella boccia, un pesce rosso esemplare.
A seguitare tutti gli altri, me compreso, ognuno con il suo fare, chi fa svelto e chi magari si intrattiene, ma tanto non credo che ci sia da correre per il tempo, da molto il tempo sembra non funzionare, passa a volte lentamente a volte pare esagerare, ma non ha nessuna importanza se sono le sette di mattina o le otto di sera, tutto è parallelamente uguale che si potrebbe pranzare a mezzanotte e fare colazione a mezzogiorno che nessuno se accorgerebbe.
La mamma è sempre bella anche se non si trucca e non si mette quell'abito speciale, perchè la mamma anche con il coronavirus non ha perso il suo splendore e il suo charme femminile, eccola qua in cucina, tutta indaffarata a "incellofanare" i panini preparati, le bibite nella borsa frigo, l'acqua naturale per il nonno e la gassata per mio padre, con naturalmente un'altra bottiglia di vino, che non può mancare, la coca per me ( che pensiero gentile) e il succo per mio fratello, a mia sorella basta che sia acqua, lei non ha richieste particolari, lei vive in un mondo diverso dal reale, e potrebbe bere qualsiasi cosa senza nemmeno accorgersi di farlo. E poi non può certo mancare l'avanzo di colomba pasquale, le fetta di dolce fatto in casa, un poco bruciacchiato, si perchè nel tempo che aspettava che cuocesse, era indaffarata a brontolare mio fratello che si era sporto troppo dal balcone per guardare la polizia di sotto che aveva fermato delle persone in un'auto e quelle stavano a brontolare che avevano l'autocertificazione, e quelli, i poliziotti, a spiegare che non è che si deve per questo uscire in cinque e poi che i supermercati erano chiusi e non c'era altra motivazione, visto che erano tutti in salute e stavano anche troppo bene......e così il dolce, tra un brontolare e un esigere la calma e rispetto, il dolce andava quasi in fumo e mio fratello si prendeva un bello scapaccione per essere stato un poco incosciente.
Ancora non ho capito dove mai vogliamo andare, se non vogliamo rischiare tutti quanti di essere multati e arrestati, così da trascorrere il nostro tempo in una cella di prigione almeno fino al prossimo Natale. Io mi vesto come sempre, jeans, maglietta e sopra un altro maglione, che questa primavera è piuttosto anomala, un attimo fa caldo quasi estivo, dopo poche ore si alza un vento freddo quasi glaciale, scarpe comode per correre e camminare, uno sguardo allo specchio e dirmi che sono “figo” ( beh un poco di autostima non fa mai male) e.......
Appuntamento sul terrazzo condominiale, quello sopra, quello che fa da tetto, siamo in tanti a distanza certificata, un metro e passa, tutti con la mascherina e i guanti a protezione, e tutti con le famiglie appresso, le borse frigo, un plaid a quadri in lana da stendere sulla pavimentazione e poi tutti, in assoluto sincronismo, seduti a guardare il cielo azzurro con un sole caldo e particolare, ognuno con la speranza dentro il cuore di potere ancora ritornare a correre davvero in quei prati delle solite “pasquette” e vi giuro per un momento, anche io, ho avuto un forte rammarico dentro il cuore: “ Mi mancano tanto le formiche!” mentre mangiavo il panino e mia madre mi sorrideva, sotto la mascherina, ma lo percepivo dagli occhi, quegli occhi sempre belli e lucenti che soltanto una madre può avere.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

sabato 11 aprile 2020

RESURREZIONE

  • Passato il sabato, al sorgere del primo giorno della settimana, venne Maria Maddalena con l'altra Maria a far visita al sepolcro.
  • Ed ecco, vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore....(Mt.28, 1 – 2)

Una scossa che soltanto coloro che erano preoccupati della sorte del Signore, la percepirono , la terra aveva tremato per l'urto del messaggero celeste, come un evento d'una potenza della natura. L'angelo del Signore ( come lo chiama Matteo) è un angelo splendente come un raggio di sole e bianco come la neve, è smagliante di luce e di candore, una vera visione celeste. Egli è venuto a far notare ai fedeli che il sepolcro è vuoto e il Signore ne è sfuggito, e infatti al suo arrivo il tremare della terra fa saltare i sigilli e rotolare la grossa pietra del sepolcro, un evento innaturale che spaventa gli uomini, le tre o quattro guardie che erano a controllare, al punto, dopo il primo sbigottimento, di farli fuggire.
L'angelo rassicura le donne e con fare familiare disse loro:

  • Non temete, voi! So che cercate Gesù crocifisso, non è qui: è risorto, come aveva detto......Ed ora andate e dite ai suoi discepoli che egli è risorto dai morti....(Mt.28, 5 – 7)

Le donne corrono a portare la notizia agli uomini anche se hanno il terrore d'illudersi e/o quello ancora più atroce, di non essere credute, ma sono sicure e ricolme di gioia perchè prevale in loro il pensiero che l'angelo ha detto una cosa vera.
Mentre corrono per la strada hanno un'apparizione, il Cristo è gli si presenta in tutta la sua semplicità, davanti.

  • Ed ecco: Gesù andò loro incontro dicendo: “Rallegratevi!” (Mt.28, 9)

Gesù è la, non si può non riconoscerlo, ma è anche molto sconvolgente saperlo morto e ritrovarselo davanti vivo, c'è come un contrasto tra loro e Lui, Egli si presenta con il più naturale e semplice atteggiamento, non possiede maestosità e solennità, ma loro non possono invece che usarne e si prostrano davanti a Lui empie di adorazione.
Egli le prega di non perdere tempo, di non attardarsi, ma di andare a dire a quei “fratelli” ( come amorevolmente e affettuosamente Lui nomina gli apostoli), che li aspetta in Galilea.

  • E mentre quelle andavano, alcuni dei soldati della guardia vennero in città ad annunziare ai gran Sacerdoti l'accaduto. E questi, radunatisi con gli Anziani e tenuto consiglio diedero ai soldati molti denari, dicendo: “ Voi direte: “ I suoi discepoli sono venuti di notte a rubarlo mentre noi dormivamo.” E se la cosa sarà risaputa dal governatore, noi lo calmeremo e vi libereremo da molestie”. Ricevuti i denari, essi fecero come era loro stato detto, e così questa diceria s'è sparsa tra i Giudei fino al dì d'oggi. (Mt.28, 11-15)

Quanto è immensa la scrittura di Matteo, quanto è quasi profetica la sua parola, quanto di vero e di attuale c'è in questo ultimo passo che ho riportato, quanto porta a riflettere e pensare a quest'uomo venduto e rivenduto, sia le sue parole, sia le sue opere, sia il suo corpo e pure il suo spirito per secoli e secoli senza mai avere avuto rilievo e comprensione, accettazione e prostrazione, ringraziamento e acclamazione al suo dono incondizionato della resurrezione, all'averci ridato la luce.
“ Voi direte che il suo corpo era stato rubato e non che è risorto e tutto questo per il lurido, sporco, avido bisogno di potere e di denaro, nei secoli e secoli amen”.

Roberto Busembai (errebi)

Immagine web: Santi di Tito - Resurrezione (ca.1574) - Basilica di Santa Croce (Firenze)





venerdì 10 aprile 2020

SETTIMANA DI PASSIONE - " ELI' ELI' LEMA' SABACHTANI"


Venne il tempo che non ci furono più parole, non ci furono più preghiere e suppliche, non ci furono più invocazioni e misericordie, e venne pure il tempo che non ci furono più sanzioni e più riappacificazione, perchè così era scritto e dovuto, voluto e sottoscritto. Ma venne il tempo del sacrificio, del dolore e delle rinunce, e venne il tempo del doversi sottomettere e accettare, soffrire e lasciarsi abbandonare, e venne il tempo della Croce sul Golgota del mondo, del Cristo a lui uguale e del suo essere lui nel tempo a noi ugualmente medesimo.
Nell'orto dei Getsemani, tra secolari ulivi e prati in erbe verdi, nella natura antica e vergine insieme, Lui si prostrò in ginocchio e in Lui si liberò il mistero del divino e fu allora che entrò nell'animo e nella mente nel doloroso sacrificio di essere davvero e unicamente uomo, e conobbe il dolore del frutto che il suo divino Padre aveva da tempo generato, e conobbe la solitudine che reca dentro per non saper strappare quel male insito dal peccato originale, la solitudine di non avere che la preghiera per potersi liberare e sperare, e sentì la noia, quella che svuota l'animo perchè non ha più niente da dare e donare, che nessuno sa ascoltare e non vuole. Sulla Croce ritrova lo stesso dolore, empio da quello fisico dei chiodi piantati negli arti e della corona in spine che trafigge il capo, il sacrificio voluto per il riscatto di quello stesso peccato che argina nell'uomo creato, e di quell'uomo, Lui in quanto tale, sacrifica il suo corpo senza nessuna più concezione del risorgere o di non davvero morire, la stessa paura e solitudine immensa nel dovere abbandonare la terra, che nonostante, l'aveva visto nascere, credere e santificare, miracolare e profetizzare, e da quella stessa odiare e bistrattare, e infine mettere in Croce per castigare.
E sotto quella croce, la madre a piangere con amici e conoscenti, lo strazio sublime dei presenti e le calunnie dei soldati, su quella Croce, l'uomo che cede tutto se stesso e nella solitudine del momento non può che reclamare e invocare il Padre che crede l'abbia abbandonato.
E venne il tempo che tutti eravamo davvero su quella Croce, di essa pativamo i tormenti del sapere di dovere morire per volontà dall'alto e per esso sacrificare ogni nostro momento di vita che ci faceva respirare, e sulla Croce il grido violento di coloro che in un letto d'ospedale hanno gridato dietro una mascherina in tessuto o in un incubazione, un grido che dalle braccia ferme da aghi, come chiodi e spine, hanno cercato il volto o il sorriso, la stretta di mano che non era concessa, e solitudine incontro al Padre che li aveva, nella forte certezza, abbandonati.
E sotto la Croce, mariti o mogli, figli o fratelli e sorelle, amici, parenti nello strazio sublime di non poter fare niente e restare a guardare che ogni stilla di sangue persa dal Cristo sospeso sul supplizio, ricadesse nelle loro teste a santificare l'abbandono e perdonasse loro che male, come il Gesù stesso, non avevano fatto. E sulla Croce, ancora, i presenti ad aspettare!
46 - Verso l' ora nona, Gesù gridò, con gran voce:
Elì, Elì, lemà sabachtanì?”
Cioè:
Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?”
47 – Or alcuni degli astanti, udendo ciò, dicevano:
Senti, chiama Elia”.
48 – E subito uno di essi corse a prendere una spugna e inzuppatala d'aceto e infilatala ad una canna, gli dava da bere.
49 – Gli altri poi dicevano: “Vediamo un po' se viene Elia a liberarlo”.
50 – E Gesù dopo aver di nuovo gridato con voce forte, SPIRO'. ( MT.27, 46 – 50)

Roberto Busembai (errebi)

Immagine: William-Adolphe_Bouguereau_(1825-1905)_-_Compassion_(1897)

giovedì 9 aprile 2020

SETTIMANA DI PASSIONE - ULTIMA CENA (Seconda parte)

E la stanza divenne ricolma di genti e persone, d'ogni luogo e regione, d'ogni stato e si unirono tutte le razze, e le pelli erano diverse soltanto al colore, e si unirono alla tavola immensa che aveva riposto per loro il Signore.
Ogni astante aveva il suo posto, qui nessuno era primo e ultimo ad approfittare del desco, ogni uomo o donna o bambino, ogni giovane o vecchio, qui nessuno era vicino e lontano, tutti quanti davanti al cospetto del vino e del pane, che la cena per loro era questo.
E il Messia sovrastava nel centro e di tutti aveva un pensiero, uno sguardo, un dolce e sentito sentimento e di ognuno pativa il dolore, il tormento dell'essere uomo in quello stesso momento non soltanto nel corpo ma nel cuore e nell'anima che pian piano abbandonava il mistero e per tutti diventava un sacrificio vero.
Poi tra il vociare di tutti, tra sorprese, saluti, conforti e colori, Lui richiese il silenzio e con voce suadente e lo sguardo nel cielo :


Prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo:
Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. (Mt.26, 26-28)
E si fece davvero silenzio, ogni uomo o donna o bambino, ogni giovane o vecchio, di quel pane si fece ragione e ne prese un bel pezzo, a nessuno era dato di rimanere digiuno, a nessuno era detto di farne la dieta, a nessuno era imposta di stare a guardare, ognuno di quel pane ne fece sapienza, chi una briciola, chi invece un bel pezzo, altri ancora solo fette normali, ma erano giorni di festa pasquali e bisognava abbuffare, qualcuno disse: “ a me il pane non piace” e ne prese soltanto l'assaggio, e difficile riusciva a ingoiare, altri invece: “ questo è quello che si intende per mangiare” e forse ne abbuffò forse troppo quasi da sentirsene male e poi , forse, domani lo avrebbe per sempre rifiutato per averne troppo abusato.
Poi mangiato quel pane il Signore ancora con gli occhi rivolti a quel cielo che tutti sovrasta....
Preso quindi un calice, rese grazie, lo porse loro; e tutti ne bevvero, e disse loro:
Questo è il mio sangue, il sangue del Patto che è sparso per molti”. (Mc. 14, 22-24)
Tutti quanti, nello stesso momento, una turbe di volti e di occhi, un immenso voltarsi e guardarsi stupiti, perchè tutti avevano dentro quel peccato che li aveva scoperti, perchè tutti intorno a quella tavola adorna si sentirono spersi e nel tempo ugualmente, bevendo quel poco di vino, anche solo una goccia, che fa male ai bambini, sollevavano l'animo e guardavano adesso, anche loro, quel cielo, ma non tutti riuscirono a berne davvero, tanti rifiutarono il nettare rosso perchè si profetizzavano astemi, altri ripudiavano per il solo sapore di uva, tanti invece si bagnarono persino le orecchie per superstiziosa fortuna, e del vino fu fatta una grande bevuta per coloro che in esso ritrovavano il piacere di essere liberi adesso, e non avere paura.

Nel trambusto di questo momento, in un lato della tavola, quello ancora più lontano e discosto, si alzarono insieme con gentile ipocresia nel volto, gli avidi e gli egoisti, i mercenari e traditori, i qualunquisti e gli imbonitori, i falsi e gli usurpatori, i miti di animo e i forti di rabbia, i gelosi e gli infami, i semplici essere umani che d'umano hanno soltanto il bisogno di guadagnare sopra ogni cosa, e lasciando la mensa in silenzio, ma osservati dal Signore e da lui avuto il silenzioso assenzo, andarono presto lontano a vendere l'uomo e il santo, il Signore e Messia, e per quello che avrebbe a loro procurato, i trenta solidi denari d'argento , incoscienti, il cappio sul collo che li avrebbe impiccati.
...E, intinto un pezzetto di pane, lo diede a Giuda di Simone Iscariote. E dopo quel boccone Satana entrò in lui; e Gesù gli disse:
Quello che fai, fallo presto.”
Ma nessuno dei commensali comprese perchè egli avesse così parlato.
Difatti alcuni pensavano che tenendo Giuda la borsa, gli avesse detto:
Compra quanto ci occorre per la festa o che desse qualche cosa ai poveri”.
Ma Giuda, preso il boccone, partì subito. Ed era notte. (Giov. 13, 27 -30)
Roberto Busembai (errebi)
Immagini web: Joos van Cleve - Altare della deposizione (Detail dell'Ultima Cena)