lunedì 24 agosto 2020

MORETTO DA BRESCIA - CRISTO CON ANGELO

Mi è sacrificante, pure parlare d'arte, della purezza e della leggerezza, dell'amore e della precisione, della compita emozione e della devozionale religiosità, insomma in questo anno così tenebroso e cupo nello scorrere dei suoi fastidiosi giorni, mi è davvero pesante liberarmi nel descrivere o interiorizzarmi in una delle meravigliose e infinite opere d'arte. Ma non tutto arreca piacere e sollazzo, non tutto è beatificazione e innalzamento, ma ci sono anche opere che lasciano davvero pensare e che ci accomunano nel nostro amaro sentimento.

E' il caso del Maestro Moretto da Brescia che con la sua opera, da ritenersi una delle sue maggiori, Cristo e l'Angelo, ci induce a riflettere nella quale ci ritroviamo condivisi in tutta la rappresentazione e il sentimento ben costruito e elargito.

Un impianto scenico particolare e unico nel suo insieme, un Angelo piangente, in una smorfia di dolore e disperazione che solo noi, in questo particolare frangente, possiamo davvero interpretare e sentirsene partecipi, un dolore immane che non ha eguali che ci accomuna per l'intensità e il vuoto che esso/noi proviamo. Ha in mano la tunica bagnata del sangue del Cristo e quale atteggiamento di assoluto sconforto possiamo interpretare nel suo delicato ma accorato porgere/abbandonare.

Ma ancora più del pianto e lo strazio dell'Angelo, ci tocca e ci ferisce il Cristo abbandonato a se stesso sulla scala della Redenzione in un totale abbandono e rassegnazione al sacrificio quasi a interpretarne la nullità del farlo, un Cristo che oggi come oggi ci viene spesso di domandarci se davvero ci ha abbandonato. La Croce è dismessa in un angolo, quasi gettata, quasi senza più un valore, senza più una valenza, e la speranza di una purificazione che è soltanto rappresentata in quegli scalini, che la fatica e lo sconforto, fanno faticare il salirli.

La grandiosità di questa opera è anche nell'uso appropriato dei grigi e dei marroni, quasi e volutamente a dimenticare le tonalità colorate e gli splendori della pittura stessa.

Si pensa che l'opera fosse stata commissionata dalla Compagnia delle Santissime Croci, infatti in un primo periodo è stata dimorata nel Duomo vecchio e precisamente nella cappella della Santissima Croce d'Oro, poi intorno alla fine del seicento, primi del settecento, era esposta nella Sala del Consiglio del Palazzo della Loggia, ma circa a metà dell'ottocento fu trasferita nell'attuale sede, la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia.

Un'opera attualissima, quasi da divenire icona di questo anno 2020 che pare non debba mai cessare.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Moretto da Brescia - Cristo e l'Angelo

venerdì 21 agosto 2020

PEZZI DI CARTA

Definirla fiaba o favola forse non è molto appropriato, ma viene annoverata come tale ed è comunque un monito con tanto di morale profonda e veritiera, è una delle tante che si narrano, spesso verbalmente, ma che si annoverano tra il più grande favolista del mondo....l'Anonimo, ovvero colui o coloro senza identità che dal loro umile cuore e dalla loro industriosa mente sono scaturite novelle, fiabe, favole con una ben concisa e istruttiva morale.

Oggi ve ne propongo una di queste tante........


PEZZI DI CARTA


In un lontano paese viveva un vecchio, che indispettito e invidioso di un suo giovane vicino, tutti i giorni diffondeva nel vicinato e anche oltre ingiurie e maldicenze su quel ragazzo, tanto da farlo apparire come un ladro.

Come ben si sa, le voci hanno un potere enorme sul pensiero della gente, e infatti un giorno capitò che in una casa del quartiere avvenisse un grosso furto e così da parte di tutti partirono le accuse rivolte al giovane, tanto che la polizia su questi forti dubbi, dovette arrestarlo.

Ma dopo accurate indagini, il giovane venne scarcerato, su di lui non vi era nessuna prova che avesse compiuto il misfatto.

Ma il morale del ragazzo era stato abbattuto, la sua moralità non era più la stessa, si sentiva additato e malvisto nonostante la sua innocenza e sapeva che questo suo stato era dovuto soltanto per la cattiveria del vecchio bugiardo suo vicino.

Allora si presentò al giudice e porse denuncia – querela per essere stato accusato ingiustamente.

Il giudice chiamò il vecchio e gli chiese:

“ Per quale motivo e perchè propagava voci su quel ragazzo di essere un ladro?”

Il vecchio rispose:

“ Erano solo delle mie personali opinioni e non credo di aver fatto male a nessuno!”

Allora il giudice ci pensò un poco sopra e poi ingiunse al vecchio:

“ Scrivi su un foglio tutte le ingiurie e le cose che hai detto contro quel giovane, poi taglia quel foglio in piccoli pezzi e nel ritornare a casa spargi quei foglietti sulla strada. Domani ripresentati quei per la sentenza.”

Il vecchio fece come il giudice gli aveva detto e il giorno dopo si ripresentò per il giudizio.

“ Bene, prima che ti dia la sentenza” disse il giudice “ voglio che tu vada a raccogliere tutti quei pezzetti di carta che hai disseminato per la strada”

“ Ma è impossibile!” obiettò sorpreso il vecchio “ Il vento li avrà sparsi in ogni dove e non è più possibile ritrovarli!”

Allora il giudice:

“ La stessa cosa succede quando sparli di qualcuno, quando giudichi senza senno e senza prove con altre persone. Così facendo distruggi l'onore di quella persona e dopo, come quei pezzi di carta, è difficile tornare indietro.”

Il vecchio comprese il suo errore e chiese umilmente perdono al giovane ragazzo.


Mia libera trascrizione da una novella di “Anonimo”.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine ERREBI

lunedì 10 agosto 2020

CHIESA DI SAN SALVATORE IN OGNISSANTI - FIRENZE









Ora vi dico, se foste vicini ad una città che di opere d'arte eccelle e che, pur visitandola tra le numerosissime volte, non finireste mai di meravigliarvi e di scoprire cose nuove, appunto vi dico e vi domando da dove incomincereste a esporre da tanta cosa che vi viene incontro e da tanta sublimazione, da risentirne un filo di pazzia come Van Gogh ne era diventato per i colori immensi che la natura offriva, o come un Beethoven che pur sordo impazziva per una musica e un suono sempre diverso e sempre maggiore?

Ebbene ero partito per parlare di un'opera in particolare, ma quando si entra in una delle tante chiese di Firenze, non sai mai a quale opera avvicinarti per non far si che un'altra subito appresso, ne risenta del tuo momentaneo disinteresse.

Ebbene oggi perciò vi annoto di una chiesa intera nel centro di Firenze che non ha eguali, la Chiesa di Ognissanti che fu edificata nel 1251 dall'ordine conventuale degli Umiliati, poi sostituiti dai Francescani che la modificarono e l'ampliarono con la costruzione di due chiostri e nuovi altari.

L'esterno della chiesa si presenta alquanto scarno, come è sobrio l'ordine, una facciata in stile barocco ingentilita da una terracotta invetriata, rappresentante l'Incoronazione della Vergine attribuita a Benedetto Buglioni.

Ma al di là del carattere e del rigore dei francescani, l'interno è un'esplosione vera e propria di capolavori, uno dietro l'altro e il tutto tenuto e affascinato da un senso di vera e silenziosa pace.

Già appena entrati rimaniamo colpiti dagli stupendi affreschi sull'altare nella seconda navata a destra, la Cappella Vespucci, che tale nobile famiglia, che aveva anche rapporti con i Medici, commissionò a Domenico Ghirlandaio, la Pietà e la Madonna della Misericordia nella quale possiamo riconoscere il ritratto del più famoso Amerigo, sulla destra della Madonna, e per merito di questa nobile famiglia si ha un'altra commissione sempre allo stesso Ghirlandaio, San Girolamo nello studio, mentre un'altra al grande Sandro Botticelli con il Sant'Agostino nello studio.

I due affreschi in origine si trovavano ai due lati del tramezzo che divideva la zona dei fedeli, vicino all'ingresso, dalla zona destinata alle funzioni e cerimonie. Per opera del Vasari e il volere di Cosimo de Medici, i due affreschi furono salvati dalla distruzione per una disposizione venuta dall'alto della Chiesa, in quanto si doveva assolutamente demolire il transetto. Con un'opera di recupero, che al tempo fu ritenuta eccezionale, il Vasari riuscì a staccare l'affresco, asportando tutto il muro, che compromise l'opera soltanto per pochi e insignificanti detriti.

Adesso si trovano nella navata centrale, uno di fronte all'altro, quasi a confrontarsi e a determinare la diversità di approccio nel proporsi in un'opera sacra. Il Ghirlandaio con il suo particolarissimo e molto ben dettagliato San Girolamo ci offre un'opera serena e raccolta, meditativa e accurata, mentre il Sant'Agostino di Botticelli notiamo la folgorazione della luce divina che sorprende il santo dedito a scrivere nel suo studio. Per il Botticelli deve essere stata una sfida non irrilevante in quanto il Ghirlandaio era un abilissimo affrescatore e in quella tecnica era sorto e prodigato.

Restando a parlare del grande Botticelli, proprio in questa chiesa, vi sono deposte le sue spoglie, nella cappella di San Pietro d'Alcantara, una lapide con lo stemma della famiglia ricorda la sua sepoltura, la famiglia Filipepi (il vero cognome del Maestro).

E ancora meravigliamoci e tuffiamoci nello splendore e nell'incanto perchè un'altra grande opera ci aspetta proprio all'interno del transetto di sinistra, un bellissimo e prezioso Crocifisso del maestro Giotto, mentre un altra nobile Crocifissione è affrescata da un allievo di Giotto, Taddeo Gaddi.

Ma le sorprese non sono terminate, perchè attraversando il chiostro, devotamente e sorprendentemente affrescato da Jacopo Ligozzi e altri con Storie della Vita di San Francesco si arriva al refettorio dove un affresco rappresentante il Cenacolo del Ghirlandaio ci colpisce per al sua perfetta illusione ottica data al sistema architettonico creato di finta loggia e finestre ai lati, e per il minuzioso dettaglio e dai numerosi elementi simbolici narranti la passione e la resurrezione del Cristo.

Una simpatica nota: Nel libro di geometria alle spalle di Sant'Agostino, lo scherzoso e burlone del Botticelli vi ha aggiunto una battuta: “ Dov'è fra Martino? E' scappato. E dove è andato? E' fuori dalla Porta al Prato” riferendosi a un giovane frate (Martino) che spesso si dimenticava dei doveri religiosi e era facile a scappatelle fuori le mura.


Roberto Busembai (errebi)


Immagini web: Facciata della chiesa d'Ognissanti Firenze, Benedetto Buglioni – Incoronazione della Vergine, Domenico Ghirlandaio – Pietà e Madonna della Misericordia, Domenico Ghirlandaio – San Girolamo nello studio, Sandro Botticelli – Sant'Agostino nello studio, Giotto di Bondone – Crocifisso, Taddeo Gaddi – Crocifissione, Domenico Ghirlandaio – Cenacolo.

sabato 8 agosto 2020

ABBIAMO AVUTO UN'OCCASIONE

Certo che siamo davvero degli uomini strani, siamo degli esseri viventi unici e particolari, che ci lodiamo e ci prodighiamo con parole e canzoni, lettere e effusioni per un amore che ci consoli, che ci annoveri per il resto dei nostri giorni e per il nostro sopravvivere quotidiano e per esso ci dibattiamo, lottiamo spesso anche con impeto e con forza, siamo esseri che vogliamo sentirci accanto un sogno dolce da respirare, che piangiamo al sorriso di un nostro figlio appena nato, che sappiamo riconoscere del creato le sue splendide forme e naturali movimenti o espressioni, siamo quelli che per una donna o un uomo perdiamo il nostro senso di camminare e pensare, insomma siamo quegli esseri che dell'amore ne fanno la bandiera di un vivere perenne e essenziale, siamo una razza d'animale da amare.

Certo che siamo davvero degli esseri davvero strani, perchè subito dell'amore e del volere bene ce ne dimentichiamo immediatamente come se un alito di vento ce lo avesse tolto dalla mente e dal cuore, siamo quelli che alla prima occasione troviamo da dibattere, invidiamo e ingelositi sospiriamo ingiurie a gli altri, anche a scapito talvolta dei nostri propri amori prima tanto osannati, siamo i primi a innalzare la bandiera per fare una guerra, anche personale, una guerra magari anche senza armi, ma quella delle parole e del gesticolare, delle rabbie e delle calunnie, quella delle botte e delle violenze.

Abbiamo avuto un'occasione in cui avremmo dovuto ragionare, pensare a quanto siamo niente sotto questo cielo indifferente, avremmo dovuto meditare che il bene che spesso abbiamo negato e oltraggiato era davvero un bene perso e che avremmo dovuto riconquistare, abbiamo avuto l'occasione di ritrovarci accumunati, tutti quanti, senza ceto e colore, senza razza e discriminazione, perchè la natura sempre provvede e viene incontro, e a noi ci aveva dato questa opportunità grande di un virus che senza distinzione di età, genere, razza, o etnia colpiva come fa la cieca fortuna e il destino, colpendo a casaccio e fortemente su tutta la gente.

E noi, quelli che ci professiamo gli esseri intelligenti, quelli che hanno un cervello che li può aiutare, che li guida e li fa agire, dell'occasione abbiamo colto soltanto la faccia peggiore, siamo riusciti a disintegrare anche quell'ultimo respiro d'amore che ci era ancora addosso e siamo diventati cinici, pretenziosi, astiosi, litigiosi, invidiosi, menefreghisti, egoisti, ciarloni, indifferenti, ignoranti, qualunquisti e arroganti, siamo diventati la feccia dell'umano vivere dell'universo, la faccia nascosta della luna, siamo diventati incomprensibili e giudici di ogni cosa e ogni fare, ci crediamo alla pari dell'onnipotenza e con la scusa di questa vigiliamo e difendiamo la nostra pochezza quotidiana.

Certo che siamo una massa di nettezza e poco urbana, siamo sporchi dentro, siamo diventati pattumiera e raccogliamo tutto quello che di sporco nel mondo ci regala, certo che siamo davvero esseri intelligenti e che del cervello usiamo tutto quello che ci può far causare del male e del torto, siamo quelli che di un sorriso di un bambino ne facciamo scudo solo per farci credere innocenti.

Abbiamo avuto un'occasione offerta e l'abbiamo persa, anche quella.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Hans Vandekerckhove

giovedì 6 agosto 2020

GIOVANNI MELI - L'ASINO E LA VOLPE

Giovanni Meli, medico e ecclesiastico, possiamo annoverarlo come maggior poeta siciliano del Settecento, scrisse per lo più n dialetto, un dialetto letterario, un siciliano a sfondo palermitano stilizzato e vicino all'italiano e in parte anche al latino. Le sue opere a carattere idillico sono la Buccolica e le Odi e Canzunetti ma soprattutto le Favuli murali scritte tra la fine del settecento e i primi dell'ottocento. Sono scritti in versi ed io oggi voglio da questi rivederne una, tra le tante, e proporvela.


LA VOLPE E L'ASINO


Una volpi fuìa scantata tutta,

e si guardava davanti e darreri,

circannu pri ammucciarisi na grutta..........”

Una volpe, una bellissima volpe rossa e dal pelo fulvo, se ne fuggiva spaventata e atterrita, e nel farlo si guardava indietro e davanti al che nessuno la seguisse o l'anticipasse, lo scopo di questa corsa era il cercare riparo presso una grotta.

Un asino, che tranquillo pasceva al limite della strada, nel vedere questa volpe non potè non chiederle:

Chi t'insegue?”

Nessuno” le rispose la volpe

Allora hai commesso un'infrazione? Forse un delitto?”

Non ho la coscienza sporca se ti interessa.”

E allora per quale sconosciuto motivo scappi? Da cosa o da chi hai paura?”

La volpe allora si fermò vicina al somaro e riposandosi e prendendo fiato iniziò a raccontare:

Mi è stato riferito che un ordine della Corte è uscito questa mattina e intima di catturare un toro cornuto, che non so assolutamente a quale delitto sia imputato, ma è creduto reo di attentato.”

Il somaro era ancora più sbigottito e nel guardare interrogativamente la volpe gli chiese?

E, scusa, te che cosa hai in comune con questo toro o vacca?”.

Mio caro asino, proprio perchè asino ti posso comprendere, ma te non sai proprio niente! Basta che ti denuncii per suo amico o che invece dica di aver trovato qualche segno o impronta della tua zampa nei posti e luoghi che costui ha frequentato, o magari con altri pretesti raccattati, allora il giudice zelante o magari anche ambizioso, ti cerca e ti rifila in gattabuia. E così sono torture, verrai torchiato, interrogato e non avrai nessuno a dare in tuo favore, e dovrai darne conto a lui di ogni tuo fare e qualora fossi puramente innocente, se riesci ad uscirne vivo è un gran miracolo!”

E con questa ultima affermazione, se la svignò.

L'asino intanto ( benchè fosse asino) disse fra se:

La coscienza sporca genera timore, certamente ha dei peccati vecchi, io, invece, che non mi interesso per niente del mondo, pascolo sicuro e tranquillo seguo il mio cammino.”


Mio adattamento da “Favule murali” di Giovanni Meli


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web