martedì 31 marzo 2020

VARESE LIGURE (SP)




 Nell'Alta val di Vara, nella Liguria spezzina si trova un borgo fantastico che deve la sua origine, tra il XIII e XIV secolo, a una potente famiglia genovese, i Fiaschi col motto incitatore e rassicurante “ facendo ordine che a tutti coloro a' quali piacesse il venirvi ad habitare, sarebbe dato luogo da fabricarsi una casa”, anche se poi era tanto per dire perchè la popolazione del tempo non aveva certo da permettersi di possedere una seconda casa, quando spesso non ne possedevano neppure una. Ma si da il caso che questa zona si trovasse in uno strategico punto di incrocio tra le strade che collegavano la costa ligure con la pianura padana, tanto che Varese Ligure diventò un buon centro di scambio e di commercio e ben arroccata e difesa con le sue case strette e compatte, a darne, poi, maggiore protezione , c'era un fossato e una murata che ormai non sono più presenti.


Ma non solo, le case, per un progetto edilizio impostogli, dovettero essere edificate tutte uguali e tutte in un posto assegnatoli e murate, ovvero senza legnami o graticci, a rispettare la caratteristica forma circolare (Il borgo Rotondo) dei vicini borghi come Brugnato , Bozzolo, Groppo.


A testimonianza del dominio dei signori Fiaschi rimane il possente castello che domina sull'ingresso del borgo, dove però la torre più alta sorse per volontà del nuovo dominatore, il Piccinino e l'ulteriore torre circolare per merito dei Landi  diPiacenza che divennero i nuovi proprietari.  

     
Nella prossima vicinanza si illumina la bellissima facciata settecentesca della chiesa dei Santi Filippo Neri e Teresa d'Avila, dietro la quale si apre una delle vie principali, Via Garibaldi, nel cosiddetto Borgo Nuovo, dove palazzi e case signorili del XVI fino al XIX secolo, evocano i palazzi nobiliari genovesi con i loro portali in pietra arenaria, loggiati e pavimentazioni a mosaico.


E poi sopraggiungere al cinquecentesco ponte sul torrente Crovana , il ponte Grecino caratteristico emblema di tutto il borgo.

Nelle vicinanze di questo borgo c'è il Passo Centocroci che collega Varese con la Val di Taro in Emilia Romagna. Una leggenda narra che un tempo gli abitanti delle due zone suddette ebbero ad accordarsi per costruirvi un ospizio in prossimità del Passo che li univa, ma ebbero la sfortuna di farlo dirigere ad un perfido monaco che depredò e uccise molti viaggiatori. La cosa venne alla luce quando un cane scoprì i cadaveri dei pellegrini in un pozzo vicino. Smascherato il monaco si dette alla fuga rifugiandosi in una tana, ma fu sbranato dai lupi che al tempo erano i dominatori di quelle montagne. Per le tante croci deposte in ricordo dei viandanti uccisi dal freddo, dai lupi, dai briganti e da quel monaco, il Passo prese il nome che tutt'ora è conosciuto, Centocroci.
Roberto Busembai (errebi)
Immagini web: Il borgo di Varese Ligure

31 MARZO - SAN GUIDO DI POMPOSA

Guido di Pomposa fu un Abate di agiata famiglia ravennate alias Guido degli Strambiati, che divenne pellegrino ed eremita e successe all'Abate Martino nella famosa abbazia di Pomposa di cui lui stesso fu l'artefice da renderla tale, un periodo che sotto la sua guida fece dell'abbazia un centro di grande sviluppo, infatti vide una nuova riconsacrazione, un notevole ingrandimento per ospitare i tanti e nuovi monaci, e un campanile dalla particolare struttura che la distingue.
Con Guido,( il cui nome di derivazione tedesca significa "istruito") l'Abbazia divenne un centro di vita sia culturale, sia spirituale e religiosa e tra i suoi più importanti adepti vanno citati San Pier Damiani e l'altro monaco illustre Guido d'Arezzo, colui che inventò il pentagramma e dette il nome alle note musicali, che altro non erano che le prime sillabe dei versi in latino dell'Inno a San Giovanni.
Guido ormai conosciutissimo e apprezzatissimo fu addirittura chiamato a Consiglio a Piacenza dall'allora Imperatore Enrico III, ma questo incarico non trovò mai riscontro perchè durante il viaggio, precisamente il 31 Marzo del 1046, il monaco morì e fu sepolto nella località di San Donnino vicino Parma.
Riporto l'Inno di San Giovanni risaltando tra parentesi e in caratteri maiuscoli le sillabe che divennero poi le iniziali delle note musicali.
(UT) queant Laxis (RE)sonare fibris (MI)ra gestorum (FA)muli tuorum (SOL)ve polluti (LA)bii reatum (S)ancte (I)ohannes.
"Affinchè possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue azioni, i tuoi servi, cancella il peccato del loro labbro contaminato o San Giovanni"


Immagini web: San Guido in un affresco giottesco riminese nel refettorio dell'Abbazia di Pomposa e Codigoro - Abbazia di Pomposa.

lunedì 30 marzo 2020

LORENZO LOTTO - DEPOSIZIONE DI JESI

Il Maestro veneto, morto poi a Loreto, ci ha lasciato in una delle sue prime opere un bellissimo e disperato monito, attraverso le mute grida di disperazione della madre Maria, nel dipinto a olio su tela intitolata Deposizione di Jesi, località dove tutt'ora è visibile, e della quale pochi anni or sono ha avuto un'accurato restauro, riguardante il complesso ligneo che fa da supporto.
Sotto l'aspetto tecnico e visivo, la tela riporta a una più famosa deposizione, quella di Raffaello, che si trova alla Galleria Borghese, ma questa associazione è soltanto formale in quanto il Lotto ha una netta e diversa interpretazione proprio nel movimento e nell'espressione degli astanti, risalta in questa opera la totale drammaticità del momento, esaltata proprio dal gesto d'alzata di braccia e dal quasi urlo della Vergine al cospetto del corpo morto del Figlio. Un urlo che oggi, guardandolo attentamente, ne proviamo il dolore e la forza, è un urlo che ci appartiene, muto ma forte insieme, un'esclamazione di liberazione e di sconforto che tratteniamo ma che sapremmo bene rappresentare, come questa donna, madre, ha nei confronti del figlio morto. Da non sottovalutare poi la gestualità delle altre persone, una scena sepolcrale altamente drammatica, caotica e agitata non per niente diversa da quelle che siamo abituati in questo nostro attraversamento di vita odierna, una deposizione dei nostri cari in un marasma di situazioni e di angoscianti dolori da doverli trattenere, e soltanto un muto alzare di braccia ha accompagnato, e accompagna i nostri morti perchè diversamente altro non si può fare.
Per tornare ai richiami stilistici di questo dipinto, non si può non notare il passaggio armonico a Fra 'Bartolomeo, di cui il Lotto fu un grande estimatore, negli alberini esili e piumosi sul paesaggio nello sfondo, e non si può certo non rimarcare una netta citazione artistica alla già citata Deposizione di Raffaello guardando il panorama, sulla destra, dove appare il Golgota con il profilo scheletrico delle croci e delle scale a memoria di un sacrificio che si è appena compiuto, che ne fa un' analoga interpretazione e raffigurazione.
La presenza della firma del maestro, in questa tela, denota la sua totale sottomissione e adesione al destino che si compie, anche noi abbiamo messo la nostra firma a eguagliare l'artista in questi giorni funesti e difficili da superare.

Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Lorenzo Lotto - Deposizione di Jesi

domenica 29 marzo 2020

SIGNORE TAZZINE

Siamo tutte presenti e molto eccitate, sapersi fotografate per un post su un gruppo, che poi quel gruppo è di quasi tutte signore, ci rende ancora più compiaciute tanto da sentirsi dive. E' vero tra di noi c'è un maschietto, il bicchierino in vetro trasparente, lui è un tipo molto riservato, di poche parole, è quello che da la sveglia a ogni momento, sbrigativo, deciso, non si lascia trasportare, lui del caffè conosce solo il calore, bollente, e non lo fa gustare. Tra le signore che sto per elencare, c'è la mamma di tutte, la tazza che tiene compagnia ai bambini, quella che insegna già da quell'età come si fa una buona colazione, con latte caldo, biscotti o fette biscottate, poi nel crescere tanti mantengono questa abitudine e lei non viene per niente accantonata, lei dona calore e affetto, con lei bisogna avere tempo e lasciarsi andare. Chi invece di tempo ne lascia meno è la signorina, la tazzina, quella per le occasioni d'incontro ma un incontro di convenevoli approcci, di momenti brevi di pensieri, lei è quella che al bar usi parlando e talvolta e spesso anche di lavoro e nemmeno viene degnata per il suo coloro o fattezza, eppure lei è quella che in ogni ora tu la cerchi è sempre presente. Insieme alla signorina di solito si alterna la famosa tazza grande, quella che tiene in se molta più sostanza ma che al parere di tanti è anche la più smorfiosa, solo perchè è nominata grande non è detto che lo sia veramente, in effetti è quella che del caffè fa un'eresia, ne fa un cappuccino che di monacale non ha proprio niente a che fare. La tazza invece a cui bisogna portare rispetto, che poi in fondo è come una zia, è quella che ci da sollievo con le sue tisane, quella che ci addolcisce l'anima e anche il cuore, compagna delle sere quando siamo stanche o delle notti quando abbiamo apprensione, è quella che ci conforta per un amore perso o forse anche per averci litigato, una zia in tutto sempre presente. Se poi vogliamo fare un poco di sofisticato, sentirsi leggermente altolocati e magari stare in compagnia con la gente, o con le amiche a una determinata ora, c'è la principessa, quella che ti offre il the in ogni aroma, e che inebria e solletica gli incontri da portare spesso la a fare chiacchiericcio, ma solo per parlare della gente. Infine dobbiamo rendere onori e inchini alla regina di noi tutte signore, colei che nel tempo non ha mai perso lo splendore, colei che nelle cerimonie, nelle sere importanti, quando ci sono ospiti speciali, o quando è una di quelle feste maggiori, come il Natale, si presenta con tutto il suo sfarzo e fa del caffè un vero signore, sua Maestà la tazzina decorata, di nobile casata di Boemia, leggera come piuma e quasi trasparente, veste quasi sempre in bianco con disegni di fiori a risaltare, rose e petali con rifiniture assolutamente d'oro. Eccoci qua ci siamo proprio tutte e allora Buongiorno Gruppo di quasi tutte signore!
Immagine ERREBI

venerdì 27 marzo 2020

ELZIE CRISLER SEGAR - BRACCIO DI FERRO

Forse ci vorrebbe un super eroe, un invincibile, un possente uomo o donna galattici, dai lunghi mantelli e dai costumi sfarzosi e lucenti, dai loro posseduti grandi poteri, dalle tele di ragno ai voli di pipistrello alle armi disintegranti, insomma ci vorrebbe forse un mostro di bontà d'animo e di forza sovrumana a debellare questo virus? No, se proprio vogliamo entrare nella fantasia, adoperiamo qualcosa ce chi appartiene e che ci torna più vicino alle nostre sembianza, io avrei pensato a Braccio di Ferro, si quel simpatico marinaio tutto muscoli e secco come un chiodo, minuto e quasi impacciato, uno di noi, che però, per dargli un tocco di “super”, basta una scatoletta di spinaci e diventa eroico e magistralmente portentoso. Braccio di Ferro, penso ve lo ricordiate, quel buffo uomo con la pipa in bocca che nelle sue traversie e avventure è sempre impegnato a combattere il cattivo per dare pace a ogni cosa, quello che stravede per la sua eterna compagna la gracile fisicamente ma forte e decisa nell'agire, Olivia, colei che non si fa certo sottomettere dal suo uomo, tanto da tirargli persino forti sganascioni se questi si attenta, e spesso, a guardare altre appariscenti donzelle. Tipico personaggio che li affianca è Poldo, un serafico e pingue ometto, eterno conquistatore della suddetta eroina, quando Braccio di Ferro è distante, un accanito affamato e divoratore di tutto, basta sia compreso tra due fette di pane, ( non per nulla il suo vero nome americano è J. Wellington Wimpy, omonimo di una famosissima catena di snack bar e di tavole calde disseminate per tutta l'America).


Abbiamo bisogno di un Braccio di Ferro, l'uomo buono e leale, colui che è sempre alla caccia dei barbuti omaccioni e prepotenti energumeni, colui che è incapace di menzogne e di brutte azioni, colui che un giorno trovando una cassa al suo portone, aprendola vi trovò un simpatico bambino , Pisellino, e che lo accettò come un figlio e forse anche di più.
Popeye, il vero nome in Americano, deve essere in tutti noi, e i nostri spinaci siano la volontà e la forza di reagire, il sentimento del bene e non solo di criticare.
Questo fantastico personaggio fu creato dal mirabile disegnatore, Elzie Crisler Segar, che costruì Popeye quasi come sua personale caricatura, anche lui aveva fatto mille lavori, era stato per molto tempo operatore cinematografico e per questo sul suo braccio si fece tatuare le parole M.P.O. (Motion Picture Operator) e già questo la dice lunga sulla somiglianza del suo fumetto. Era poi un accanito amatore di Charlie Chaplin e i suoi personaggi e le sue storie non differiscono poi molto dai primi film comici del famoso regista. Una nota simpatica, alla fine della sua magistrale carriera di disegnatore, Segar si ritirò in una splendida villa a Santa Monica, dove coltivò non spinaci ma ravanelli e in una delle ultime foto ce lo mostrano con un cappello da marinaio in testa e una pipa di legno in bocca.

Roberto Busembai (errebi)
Immagini web

LA SIGNORA FRANCA

La signora Franca è una anziana donna, di ceto medio, ma molto curata ed elegante nel vestire e nel portamento, ha da poco festeggiato i suoi ambiti 80 anni e, pur con qualche minimo acciacco, che è di prassi per una persona di età avanzata, non li da a dimostrare. E' una donna che nella vita ha avuto sempre da lottare e mai si è tirata indietro o si è adagiata al destino, combattente e attiva si è sempre prodigata per trovare una soluzione o un modo diverso di vedere le cose. Era ancora una quindicenne che decise di andarsene dal suo paese montano, non che stesse male con i suoi cari genitori, assolutamente, loro erano due bravi contadini che si davano daffare per la campagna e con il pascolo delle poche mucche che possedevano, ma Franca voleva conoscere il mondo, sapeva che oltre quelle vette e quelle valli c'era sicuramente qualche cosa di bello e di ancora più importante da conoscere. Partì una mattina, era d'inverno, che nevicava forte, salì sulla corriera che la portava alla città più vicina, mentre dalla finestra la madre non sapeva se trattenere le lacrime perchè non procurasse dolore alla figlia, o piangere a dirotto per farle capire quanto le dispiaceva quell'allontanamento, il padre seduto affranto sopra una sedia, si scaldava al caminetto acceso, fumava incessantemente la pipa, e tratteneva il dolore per non dare adito a chiacchiere sul suo comportamento quasi femminile, se avesse pianto, ma.....qualche alito di fumo dal caminetto gli procurava irritazione a gli occhi da "bagnarli".
Da quel giorno Franca non fece più ritorno al paese, i suoi quando raggiunsero l'età del riposo, si ritirarono in città in un appartamento vicino alla figlia, che già da tempo si era sposata, aveva dato loro due bei nipotini e conduceva un lavoro estenuante, faceva l'infermiera presso un centro ospedaliero privato. Poi ci fu l'anno delle disgrazie, prima il padre, a seguire, subito dopo qualche mese, la madre, perirono per complicazioni e certo per anzianità, ma la cosa ancora più grave avvenne alla fine di quel disastroso anno, quando un suo figlio, quello più piccolo, al tempo aveva 10 anni, fu colto da quel male oscuro che in un baleno se lo portò via.
Cambiarono le cose in quella famiglia, ma anche Franca cambiò molto, se prima era dedita interamente a tutti e a tutto, adesso aveva anche capito che era giunto il momento di dedicarsi anche a se stessa, e oltre il lavoro iniziò a frequentare una palestra per fare movimento e soprattutto amicizie, poi fu presa dalla voglia di ballare e in questo convinse anche il marito, Simone, e in poco tempo, divennero la coppia più famosa delle balere e dei ritrovi, il liscio era il loro amore e volteggiavano sulla pista da tenere gli astanti ad ammirare a bocca aperta.
Gli anni passavano, il figlio maggiore si accompagnò con una ragazza e uscì di casa che aveva solo 21 anni, poi quando sembrava che lo stare insieme fosse una grande meraviglia, il marito per una complicazione di una “stupida” operazione chirurgica, morì tra le sue braccia e fu allora che la vita sembrò chiudersi al suo futuro.
Ma come un baco presto diventò farfalla, si iscrisse a un corso di teatro, il giorno andava ad aiutare un centro per anziani, volontariato e opere di bene, spesso girava per le librerie, aveva capito che leggere gli faceva scorrere la vita, e ritornò a ballare, senza il suo bel cavaliere, ma un uomo per fare quattro salti lo si trovava sempre......
Ed ecco che ora si trova a dover badare di non uscire perchè c'è un nemico forte, dicono, che ci vuole male, e lei che aveva sempre combattuto non riusciva proprio a cedere a questo maledetto essere ignobile e ingordo. Franca di stare in casa, sola, con una cagnetta appresso, era come averle tolto il respiro e pure la mente.
Un giorno, presa da un impeto di rabbia e di solitudine, fece un bel bagno, si profumò di fresca lavanda, mise l'abito più appariscente e più colorato che avesse, e di quel genere ne aveva tanti, un paio di scarpe col tacco, rosse e di pelle lucida, indossò pure un paio di occhiali a riflesso a specchio, prese il guinzaglio e chiamò la sua piccola e fedele cagnetta:
“ Peggy adesso noi andiamo a fare una bella passeggiata”
Scese le scale che pareva una regina, il profumo lasciava la sua scia che anche per alcuni minuti si sarebbe capito che era passata, senza neppure averla veduta, arrivarono al portone, fuori era completamente silenzio e non si vedevano persone e nemmeno auto, il mondo era sparito, scomparso, svuotato.
Fece i primi passi con disinvoltura finchè arrivata al primo lampione, all'angolo del condominio incontrò un vigile con una maschera bianca sulla bocca che gli fece cenno di fermarsi e gli disse:
“ Signora dove crede di andare? Ritorni immediatamente in casa!”
Lei stizzita, ma cortesemente gli rispose:
“ Ho ottanta anni e nessuno mi ferma, ne lei, ne il virus, ne il governo!”
“Signora se fa un passo la devo multare, se ne ritorni in casa che è meglio”
Allora Franca ebbe un pensiero, ritornò sui suoi passi, entrò di nuovo nel condominio, ma non salì le scale, entrò nell'atrio e aprì una porta che dava al giardino, un giardino che aveva in fondo al vialetto un cancellino chiuso, che dava su un'altra strada. Lo scavalcò come una gazzella, la cagnetta dietro, tirata dal guinzaglio, intraprese la strada che arrivava al fiume, nessuno in vista, era libera di andare.
Arrivata che fu al ponte che portava dall'altra parte della riva, si chinò, carezzò Peggy e le disse:
“ Ora ti lego a questo palo, te devi stare buona, la tua padrona deve allontanarsi, però mi raccomando a chi ti trova non devi abbaiare, vedrai che ti troverai sicuramente bene.”
E così fece e cercando di non sentire i latrati della povera bestiola, arrivò a metà del ponte, si tolse gli occhiali e li posò sul muretto di sicurezza, si guardò bene in giro e vide che non c'era proprio nessuno, un ultimo saluto a Peggy e poi con una canzone nella testa, quel tango che ballava con il suo Simone, si lasciò cadere nelle fredde acque di un fiume in piena per la tanta pioggia che era caduta il giorno prima. In quel momento un vigile da lontano fischiava a più non posso, ma vide una moltitudine di colori librarsi nell'aria e poi scivolare in acqua senza che ormai potesse fare niente.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: by Crucita Gutierrez

giovedì 26 marzo 2020

CONDOMINIO COVID19


In un condominio di cinque piani, sono tanti gli appartamenti e tanti sono quelli che vi stanno ad abitare, sono giovani, anziani, bambini e pure tanti gatti e tanti cani, ma quest'ultimi non hanno da restare obbligati nelle stanze, i gatti riescono ad evadere quando meno te lo aspetti, per i cani è un poco più diverso, ma c'è rispetto e si portano fuori a “pisciare”.
Per i condomini, in questa fase di quarantena obbligata, di virus letale, di anomalia mondiale che intacca la salute fino alla morte, per tanti, la cosa si fa davvero snervante, dolorosa e stressante, ma la paura, dice un vecchio detto, fa novanta, ovvero bisogna reprimerla nel profondo e dare un senso ad ogni giorno.
Per esempio c'è la signorina dell'ultimo piano, si quella bionda, assai carina, la segretaria del commendatore, quello siciliano, quello che ha case e ville da ogni parte, beh lei ogni tanto la sua uscita la deve fare...sul balcone, altrimenti non può vivere senza che almeno una volta al giorno, qualcuno gli dica “ quanto sei bella” e così spera che dal condominio che ha di fronte, un giovane e pure anche un vecchio, tanto l'occhio non fa male e non disturba niente, la adocchi e ci faccia sopra il suo pensare.
Mi viene invece da pensare alla signora Franca, quella del quarto piano, che da poco è rimasta vedova, il suo uomo se n'è andato per colpa di un banale incidente stradale, e pensare che era sempre stato molto attento nel guidare, rispettava i segnali e i limiti di velocità, ma certo non poteva pensare che un tir guidato da un alcolizzato lo investisse in pieno, quel pomeriggio mentre ritornava dal lavoro, l'unica volta che aveva preso l'autostrada per farne un piccolo tratto, visto l'eccessivo traffico sulla statale che faceva abitualmente. Lei ancora non si è ripresa, e la penso e l'ho anche vista, giorni or sono, sempre seduta sul letto con lo sguardo fisso e assente, rivolto alla finestra, con la speranza dentro di poter sentire il clacson dell'auto che suo marito suonava al suo arrivo.
Il Ragionier Paolini non trova nessun cambiamento in questo stare in casa obbligato, per lui essere all'ufficio o stare nel suo appartamento, è assolutamente indifferente, al lavoro ha il computer per sbrigare le pratiche, fare ordinazioni, compilare moduli ecc. per la ditta cui è dipendente, che pure a casa con il personal computer, agisce ugualmente e forse anche con più celia e tranquillità, anzi ora si è scelto un posto anche vicino alla luce, cosa che in ufficio è relegato in un angusto loco, dove l'unica luce è un accecante neon degli anni 70.
Paolo e Maria sono fratelli, scapolo lui, celibe lei, non hanno mai avuto relazioni o innamoramenti, per molto erano dediti alla famiglia, ma sia il padre che la madre da alcuni anni sono morti, e loro non hanno mai trovato il coraggio o forse la volontà di crearsi un nido personale, una vita propria. Insieme attraversano questo periodo distanti come sempre, si perchè nonostante continuino a convivere, tra di loro c'è un forte distacco, non è rabbia o rancore, odio o chissà cosa, soltanto non hanno niente da scambiarsi, parole poche, solo le necessarie, poi ognuno con se e con il suo chiuso mondo di solitudine perenne. Odiano persino i mezzi di comunicazione, non hanno televisore e radio e non amano affatto il computer, a volte mi domando se hanno il telefonino, ma sono sicuro che non hanno nemmeno quello. E allora in questi giorni li vedo intorno a un tavolo, lei a leggere un libro , stento a saperne il genere, lui un giornale, tanto per sapere qualche notizia, sempre che la cosa sia di suo interesse.
La giovane signorina Amelia de Nittis, che pare sia di nobile casata, ma se lo fosse così tanto nobile non abiterebbe in questo condominio, comunque abita a piano terra, e per lei la vita scorre sempre uguale, con la felicità smorzata sulle labbra da trasparire comunque un poco di dolore, è sola, ovvero, spesso in compagnia, vive sola, e sempre, come credo anche adesso, attende alla finestra una qualche grossa cilindrata che parcheggi sotto casa, perchè da quell'auto sicuramente arriva qualche bel giovane interessante, anche fisicamente, ma soprattutto economicamente, che la venga a farle visita.....così saltuariamente!
I coniugi Carli, lui impiegato alle poste centrali della città, lei professoressa d'italiano alle scuole medie, sono anche loro obbligati a starsene in casa, lui comunque è in casa per turno settimanale, perchè il servizio deve essere garantito, è una di quelle poche attività che rimangono aperte, mentre la signora è costretta a non insegnare, le scuole sono sprangate. Ci sarebbe la possibilità di comunicare con gli allievi, tramite la tecnologia, ma non ne parliamo, è già tanto se lei agisce con il telefonino, recupererà al nuovo rientro, quando e come non si sa, ma ci penserà al momento. Nel frattempo si legge un bel libro, forse Dante visto che in questi giorno è festeggiato, mentre lui si avvicina alla finestra e guarda pensando che non vede l'ora che finisca questa settimana, per uscire fuori e andare a lavorare, resistere con la moglie letterata è dura, molto dura.
Angela e Filippo sono una coppia di anziani gentili e socievoli, due persone cosiddette perbene, sono sempre solari, anche quando si sentono poco bene non danno mai cenno del loro silente dolore. Sono rimasti soli, i figli sono tutti e due sposati e abitano fuori comune. Li immagino, queste due persone, sedute accanto sopra il letto, tenendosi per mano, che pensano ai loro nipotini che non possono vedere causa la quarantena, e sentono anche se non se lo danno a vedere la paura di questo virus letale, che dice attacca soprattuto le persone anziane. E' quasi un lasciarsi andare, il loro, ad un gramo destino, inermi e incapaci di poter lottare, non resta che sperare e lo fanno pensando ai loro figli e al loro vivere migliore.
Al terzo piano abitano i coniugi Giannelli, Giovanni e Alba, una giovane coppia che forse è la più conosciuta, anzi chiacchierata, del condominio, perchè la loro unione è scandita da forti litigate, da rumori di cose gettate e rotte, da grida da ambo le parti. Qualcuno aveva pensato che lui fosse un violento e che lei avesse bisogno di essere aiutata, ma alle prime avvisaglie di un qualcuno che si era prodigato di parlare con la signora Alba, aveva ricevuto invece che ringraziamenti, un sonoro alterco nei suoi riguardi, che da quel giorno vige una frase sola tra i condomini....” Ma che si ammazzino pure”. E io li immagino ora, rinchiusi come due fiere in gabbia, che litigiosi se ne stanno, lei stesa sul letto con le spalle rivolte verso lui, che seduto sul bordo, si abbandona al niente, percè non ha più niente da urlare e sbraitare e guarda verso la finestra, che si trova vicina, nella speranza presto di uscire.
In ultimo rimangono Gabriele e Mirella, ma loro hanno preso questa quarantena come un gioco, naturalmente con le dovute precauzioni e con il pensiero sempre fisso a chi davvero sta male e sta morendo, ma è bello anche stare in casa, magari affacciarsi qualche volta al balcone o scendere al portone per prendersi un poco d'aria e di sole, in casa ci sono tante cose da fare, tanto da leggere, tanto da cucinare, scrivere, dipingere, inventare qualche piccolo lavoretto faidate, e poi com'è bello potere stare insieme così per tanto tempo, che soltanto nel periodo delle ferie è consentito, e quello dura poco.....questo non si sa per quanto e allora vogliamoci bene e speriamo sempre per il meglio.
Il condominio è interamente tuffato nel silenzio, ognuno con il suo pensare, ognuno con il suo sperare, e io non voglio certo far rumore, sarebbe come distoglierli dal niente e forse fargli anche male.
Vado in garage e chiudo il portone piano piano, vado a vedere l'auto che, assurdo ma lo devo dire, mi manca tanto guidare...ma tanto tanto da morire!
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Dipinti di Edward Hopper

SAN LUDGERO DI MUNSTER

I metodi di Carlo Magno per portare a convertire i pagani germanici al cristianesimo non erano certo molto eloquenti e di carattere prettamente cristiano, infatti a chi rifiutava il battesimo o violasse anche l'obbligo del digiuno nel periodo della quaresima, era garantita la pena di morte. E' chiaro che in questo regime di terrore il popolo vedesse di brutto auspicio ogni missionario o devoto che si prodigava nel far conoscere questa dottrina. Il famoso monaco Alcuino di York ebbe molto da farsi e sopperire alle più svariate accuse e minacce, ma la fede lo proteggeva e in lui ebbe a credere il vescovo di Frisia , Ludgero di Munster, che fece della missione cristiana il suo modo operandi di vita, e non furono rose ma tante spine, perchè come detto, il popolo di questo cristianesimo non voleva nemmeno sentirlo nominare, tanto era portatore di male e di morte. 

Ma la devozione e la pazienza, l'amore e la fede valicano i confini più alti e più minacciosi e il vescovo Ludgero riuscì in quel clima minaccioso, a fondare in Sassonia, a Munster, un monastero, ma sorsero anche scuole per sacerdoti, nuove parrocchie e anche un altro monastero, quello benedettino di Werden dove tutt'ora si trovano le spoglie del devoto vescovo Ludgero, che perì il 26 marzo 809.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: San Ludgero di Munster e Abazia di Werden

martedì 24 marzo 2020

DA CHE PARTE DOVREMMO STARE

Ma da che parte dovremmo stare, da quella solare che esalta alla speranza o da quella che critica e evidenza i pericoli ancora immensi che ci circondano e quello che, ancora più disastroso, ci aspetta il ritorno? Ma da che parte dovremmo stare, da quella dove tutti siamo nella stessa brace e ci avviciniamo nel bene e nel male, o da quella che propone, da ogni parte, la critica, e evidenzia che ogni qualsiasi forma sia stata attuata non è altro che un motivo per dare un colpo a questa Nazione che manca di tutto, e scusate se aggiungo, ma manca anche e soprattutto del bene.
Da che parte dovremmo stare per continuare a sopravvivere questi giorni, fatti d'immenso dolore a chi possiede un minimo di cuore, a questi giorni fatti di tutto e di niente, costretti in casa a inventarsi la vita, quella che potrebbe anche venire a mancare, così improvvisamente, come un alito forte di vento che spazza tutto e tutto ha da spazzare. Da che parte dovremmo stare se vogliamo ancora rimanere vivi dentro, e non morire dalle continue e massacranti notizie che ci vengono, purtroppo, annunciate da ogni social, notiziario e altri genere d'informazione, e poi noi nonostante dovremmo anche sperare, magari guardando i nostri anziani genitori raccolti su una poltrona, coscienti di quello che a loro potrebbe accadere più facilmente, guardare i nostri figli che riescono a vivere del social e del virtuale come cosa normale, ma che a noi rimane a cuore aperto non sapere quello che il futuro a loro è assicurato.
Da che parte dovremmo stare, se dobbiamo rimanere a inventarsi un sogno, rinnegare un ricordo per non stare ancora più male, dimenticarsi il cielo e il prato, il mare e la montagna, le passeggiate e gli abbracci, i baci e le strette di mano, gli affetti e i bisogni di sentirsi amati e reciprocamente donarci, da che parte dovremmo stare, se una parte deve esserci in questo diverso camminare tra un urlo di dolore e un grido di protesta, tra un pianto di un figlio per il genitore perso e un sorriso nonostante la fatica da chi invece lotta per mantenere vivo quel genitore e pure anche il figlio.
Stare in casa è l'appellativo, ma almeno donateci anche un attimo di sollievo, dateci un sogno ancora da sperare, con i vostri social, i vostri spettacoli e notiziari, con i vostri mezzi di comunicazione, dateci almeno un attimo di divertimento anche se solo è parte d'illusione, levateci gli spot sempre più massacranti e continui perchè il commercio deve andare avanti e perchè il saperci tutti a casa, c'è il maledetto share che la visione è garantita, e allora auto, medicinali, paste pronte, alimentari, e tante altre cose a riempirci queste nostre tristi e dolorose giornate.
Stare in casa, ma forse dovremmo metterci davvero seduti su un divano o una sedia e aspettare che un uomo vestito da marziano in tuta gialla e con la maschera galattica suoni al nostro portone?
Da che parte dovremmo stare, non sappiamo nemmeno essere solidali nel condominio, che lo pretendiamo dal nostro popolo e dai nostri governanti, tutti, tutti quanti; da che parte dovremmo stare, io penso che dovremmo stare dalla parte del cuore e dell'amore, ma e sottolineo e marco il MA in maiuscolo per darne importanza, ma ho una parte che mi rode dentro e mi fa davvero stare male, che questo immenso virus che ci ha colpito e reso deboli e fragili, non ha portato quel senso che avrebbe dovuto, del sentirsi tutti uguali e di ripararci ognuno verso l'altro, a noi ci ha prevalso l'odio, l'invidia e il disprezzo, la critica e l'amore esagerato verso lo star bene senza niente dare e sempre e solo ottenere, il virus più grande che noi abbiamo ormai nel nostro corpo e nella nostra anima si chiama Denaro e con quello non abbiamo neppure da porsi la domanda iniziale....
Da che parte dovremmo stare?
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Ben Howe - "Tectonica"

MICHELANGELO MERISI DETTO CARAVAGGIO - CENA DI EMMAUS

E' una delle tante opere acclamate e riconosciute tali del grande Michelangelo Merisi detto Caravaggio, e l'ho scelta non tanto per esporla, in quanto descrivere il Caravaggio ci vuole tanta cultura d'arte che potrei sicuramente dire delle cose insulse, ma per il significato e il valore intrinseco che al momento, adesso, in questi giorni essa può significare.
La rappresentazione si rifà a un passo del Vangelo, quando due apostoli, Cleopla e presumibilmente San Giacomo Maggiore, incontrano per la loro strada un viandante e presi dalla commozione lo invitano a cenare con loro presso una locanda. Si accorgeranno poi che il viandante altri non è che il Cristo Risorto.
Infatti una volta seduti il Cristo benedice il vino e il pane, e quei gesti sono quelli che i commensali hanno a riconoscere nei gesti del loro Signore nell'Ultima cena prima di essere crocifisso, e Caravaggio esperto realista, raffigura con grande descrizione d'espressione il gesto sorpreso di Cleopla che da tanto stupore quasi sta per alzarsi, dal San Giacomo Maggiore che allarga persino le braccia nell'estasi del momento e nella quasi incoscienza a crederci, e in contrapposizione a tutto quanto, la sbigottita curiosità nel volto del custode che sta per servire,
che forse è ignaro dell'importanza di quel pellegrino.
Ebbene in questi giorni non possiamo certo portare pellegrini in casa, non dobbiamo relazionare, ma sicuramente possiamo portare dentro la speranza, perchè non occorre ritrovarsi in Cristo se non si ha fede, ma basta ritrovarsi nell'animo della vita e nel suo immenso porgerla ogni giorno.
Siamo i Cleopla che ci stupiremo talmente di come la nostra fiducia e il nostro sacrificio ci compenserà e allargheremo pure le braccia per potere di nuovo accogliere nel nostro corpo un nostro simile, e sarà la speranza allora che riconosceremo negli abituali gesti di sempre, sarà la fede per chi la possiede, sarà la luce della vita che spezzerà di nuovo quel pane e benedirà quel vino.
E tutta questa potenza di cose, Caravaggio l'ha fermata in uno spazio minimo, in un angolo di osteria, in una piccola stanza, una stanza che noi oggi viviamo ogni attimo del nostro respiro e nella quale dobbiamo ancora sperare di respirare, ma non ne ha fatta una scena buia e in ombra, ma ha acceso una luce stupenda e donato un illuminante colore, perchè anche la nostra stanza deve essere tale, di luce profusa e di colore immenso e forte quasi da accecare.
Ed ecco che il Cristo e la Luce sono la stessa cosa, la Fede e la Speranza, il Credere o essere Reale, il Mistico o il Laico, insomma tutto ha fine …..ricordatelo...anche il male.


Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Michelangelo Merisi detto Caravaggio - Cena di Emmaus

mercoledì 18 marzo 2020

AVEVA UN SOGNO

Aveva un sogno, come tanti del resto, ma a lui non importava degli altri, lui aveva un sogno ed era quello di volare. Perchè sapeva riconoscere negli uccelli il valore che possedevano nelle loro ali, quasi invidiava il loro avvicinarsi al sole e poterlo anche baciare, piangeva nel saperli potersi cullare sulle nuvole e si tormentava al saperli trascinati dai venti. Aveva un sogno, quello di volare, librare sopra nel cielo e vedere il mondo sotto il suo corpo leggero, scoprire i boschi e potere vedere l'immenso mare, sfiorare le vette più alte dei monti per sentire delle nevi il brivido e occhiare il loro brillare, posarsi sui tetti delle case ed ascoltare le voci dei suoi simili che non sapevano volare, potersi tenere in equilibrio sopra un filo della luce e rimanere folgorato dall'ebrezza del sentirsi vicino al precipitare.
Aveva un sogno ma era anche cosciente che non l'avrebbe potuto realizzare, e allora si prodigava in quegli esercizi o sport che lo avvicinavano a quel mistero, guardava i trapezisti, nei circhi dei paesi che sapeva si esibissero, i loro giochi nell'aria cullati da un'altalena che sembrava attaccata al cielo, andava a gli aeroporti per vedere decollare quei mostri d'acciaio che nonostante la loro pesantezza, sapevano rimanere in aria come gabbiani, si meravigliava dei paracadutisti che prima di aprire la loro protezione si dedicavano ai giochi svariati di capriole e volteggi, abbandonati nell'aria, si divertiva a guardare i bambini che immaginavano nel quasi loro reale, con un oggetto in mano, di scavalcare montagne e confini e volare senza limiti e ostacoli alcuni.
Aveva un sogno e voleva realizzarlo e con questa mania fissa nella mente, ne parlava alla gente, a tutte le persone che incontrava, ma difficilmente la gente lo ascoltava, ognuno aveva le sue cose da fare, ognuno aveva altre problematiche da risolvere e gestire, forse anche loro avrebbero avuto quello stesso desiderio ma non era mai il momento giusto per poterlo pensare.
Poi un avvenimento diverso dall'abituale costrinse ogni persona a dovere fermare il loro continuo camminare, lavorare, correre e gestire, improvvisamente un diversivo colorato di rosso come lo è sempre ogni male, invase tutto il mondo e la gente dovette fermarsi, restare in casa ad aspettare, meditare, sperare e allora anche a loro nacque il desiderio di potere volare.
Aveva un sogno e ora sapeva che non era solo ad averlo a pensare, e fu che l'ingegno della mente quando è lasciata a lavorare, a pensare per necessità e per potere almeno dare un senso a quei momenti che non si poteva e non si doveva fare, ecco che avvenne che qualcuno ebbe l'idea di prendere un libro che stava su quel tavolo, come soprammobile, da tanto tempo, e si mise a leggerlo, prima quasi sbadatamente, sfogliando velocemente per trovare alcune immagini che lo distogliessero dal pensare, poi non trovandole iniziò a leggere le parole...poi le frasi....e poi come per una magia e per un qualche cosa di strano, non si rendeva conto , ma stava per volare.
Aveva un sogno, e allora imparò a leggere anche lui come non aveva mai fatto, ogni cosa che contenesse parole, frasi, narrazioni o soltanto figure con parole, e se era un racconto era un volo leggero e vicino che con la mente magari arrivava sulla piazza del paese, quella che ora era vuota, ancora, per quel qualche cosa di rosso che era un male, se era un romanzo allora era un viaggio lungo quello che faceva e sapeva che sarebbe arrivato fino al sole, avrebbe visto le città e avrebbe anche sentito il brivido freddo della neve.
Aveva un sogno, e si ritrovò nel cielo con tanti altri come lui, a volare, uno stormo immenso che si scambiava parole fatte di nuvole e stelle, piogge e soffi di vento, e tanti impararono anche a leggere a chi non lo poteva fare, e allora era bello vedere i malati, gli invalidi, i poveri, gli analfabeti, che si libravano con un sorriso vero e sincero dentro gli occhi.
Aveva un sogno nel cuore e lo aveva realizzato, anche un angelo con le ali ora volava nel cielo insieme a tanti, ma un angelo non sapeva già volare?
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Marc Chagall, The Angel and the Reader, c. 1930

martedì 17 marzo 2020

ROBERTO FERRI - LIBERACI DAL MALE

Ho scelto quest'opera per il valore mediatico che ora può assumere il titolo dell'opera stessa “Liberaci dal Male” dell'artista Roberto Ferri. La mia personale interpretazione in questo momento assume certo un peso e una diversa lettura da quella che il grande Maestro vuole esprimere in questo ennesimo quadro dalla potente decisione espressiva e figurativa, si riconoscono in lui le doti dei grandi Maestri nella perfezione del disegno e nell'accurata e dotata forma di perfezione nell'esporre il soggetto, figura e corpo da “toccare” per quanto arrivi alla “quasi” realtà della visione, e il mio quasi tra virgolette è perchè in questa opera, come in altre, si arriva davvero al reale. Certo il concetto dell'opera è sicuramente da ricercare nella storia biblica, dove fu un angelo che uccise il serpente malefico che indusse Eva a trasgredire e peccare nel giardino dell'Eden, un angelo qui ben rappresentato proprio in figura femminile con attorcigliato nel braccio un lunghissimo serpente e noi oggi, proprio da un serpente, come si è sentito spesso dire anche se non ancora accertato, pare derivi la nostra pandemia, il virus letale che non occorre che chiami per nome, che sta affliggendo morte e dolore in tutto il mondo. E allora io vedo nella figura femminile quell'angelo che sono i nostri operatori ospedalieri, tutti quanti coloro che lavorano per la salvezza delle nostre vite, sono loro gli angeli su questa terra che combattono anche senza spada e senza ali, perchè quel serpente non si aggrovigli ancora di più con le sue spire potenti.
Questa opera di Roberto Ferri debba essere per noi l'icona delle persone, ripeto tutte quante, che davvero stanno lottando e che hanno in mano la forza di questa donna alata, la forza di far morire e cessare il divincolarsi di una biscia che non ha timore e coscienza nel fare male. Il male viene sempre sconfitto. SEMPRE......E INSIEME CE LA FAREMO! LIBERACI DAL MALE.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Roberto Ferri - Liberaci dal male

E' UNA NUOVA MATTINA

E' una nuova mattina, anche oggi vedo il sole all'orizzonte, forse qualche nuvola leggera lo vuole disturbare, ma nel proseguo sono sicuro che sarà lui a vincere la visuale, in casa vige il più assoluto silenzio dovuto al mio anticipato risveglio, gli altri dormiranno ancora per aspettare il sole alto nel cielo, ma io sono sempre stato mattiniero e quando mi trovo a casa, ora forzatamente, adoro vedere l'alba, un'alba che riesco a immaginare da questo mio appartamento al settimo piano di un palazzo di dieci, ma che davanti ho la fortuna di non avere altre costruzioni più alte della mia notevole altezza, e allora ho la possibilità di vedere il rosa, il viola e altri colori che si allargano nel cielo, dietro le colline, anticipando la forte luce giornaliera.
E' una nuova mattina e guardo sotto, guardo nella strada, questo è un quartiere moderno, se vogliamo dichiararlo tale un gruppo di case costruito negli anni '80, un quartiere che non è periferia perchè si trova a un passo dall'ingresso della città adiacente, dal così detto centro storico, questa è l'evoluzione demografica di una città antica e medievale, che per mantenere saldi i suoi ricordi, i suoi valori architettonici, non ha trovato espansione che oltre e nelle prossime vicinanze.
Siamo un borgo sorto per necessità comune e oltre, dalla parte opposta alla città, sono sorte i centri commerciali, i supermercati, gli iper così chiamati, iper alimentari, iper sport, iper abbigliamento, iper faidate, iper multisale e è sorto sotto casa, in quella strada che sto guardando l'iper traffico e l'iper rumore con il conseguente iper inquinamento. Il viale che attraversa questo quartiere è un'arteria tra le più importanti che sfocia e porta agli ingressi autostradali e comunica con altre strade per diverse località importanti, e allora sono sorti negozi di ogni genere, bar a non finire, gelaterie, alimentari, fiorai, un'edicola di giornali, tabacchi e poi i servizi e le banche e le agenzie immobiliari, le poste e le farmacie, e la città si è prolungata come una lava di un vulcano che nel freddarsi diventa masso e non si può più togliere e modificare.
E' una nuova mattina, e guardo sotto, nella strada e adesso intravedo un gatto che molto scettico e quasi spaurito cammina piano piano, sul marciapiede rasente il muro dei palazzi, a volte si ferma e guarda alla sua sinistra come chiedersi del perchè non sente rumori e non trova nessuno che lo scaccia, poi incredulo ma curioso, come del resto sono tutti i gatti, si prodiga a scendere dal marciapiede, entra nella strada e sta per attraversare, piano con passo felpato, ma avanza e arriva quasi nel mezzo del viale e qui si ferma, siede con le zampe davanti dritte a sostenere il corpo e il muso che ora, tipico di questi animali, gira quasi su se stesso a scrutare il vuoto che lo meraviglia, è sorpreso e nonostante ancora titubante, ma poi con il classico menefreghismo che gli appartiene, si rialza sulle quattro zampe e, ora sicuro, si avvia verso l'ignoto camminando in mezzo alla strada.
Dall'angolo opposto di un abitato, spunta il muso di un cane, forse randagio, o forse abbandonato, o forse scappato, dalla mia altezza non riesco a vedere se possiede un collare, avanza anche lui con tutta la calma che possiede, fiuta ogni cosa ma non trova il solito odore, l'odore di gente che è abituato da sempre a sentire, il suo fiutare è quasi snervante, cerca annaspa con il naso ma non riesce a trovare quel suo amico di sempre, che è l'uomo, anche se a volte questo amico gli procura del male, lo scaccia o lo lascia a morire, ma lui ha bisogno di quell'odore e insiste mentre, con una fretta ansimante, inizia a camminare e percorrere la strada lasciandomi alla sua vista nel girare, su un'altra strada, facendo l'opposto angolo del mio palazzo.
Ecco atterrano in un muovere rumoroso di ali, due piccioni, atterrano sull'asfalto in mezzo al viale e tubano un gutturale suono, quasi a chiedersi perchè non ci sono persone auto e clacson a farli spaventare, non ci sono bambini a donargli un chicco di granturco, non ci sono briciole da beccare, resti di un panino, briciole che si trovavano sicure presso un panificio, non ci sono voci a urlare, o granate a spazzarli perchè ritornino a volare. Tubano un gutturale suono, che a me pare lamento e pianto, poi come sono arrivati, riprendono il volo e spariscono dietro i tetti delle case che sotto di me riesco a vedere.
E' una nuova mattina, fatti di silenzi opprimenti e di vuoti massacranti dove ora riesco ad apprezzare pure il fastidioso canto martellante di due tortore che sono appollaiate sopra un filo della luce, il loro tututu che mi è sempre parso assordante, adesso è il suono celestiale che mi da il coraggio di continuare a svegliarmi in questa nuova mattina surreale, o forse sogno e ancora mi devo svegliare?
Un frastuono mi desta seriamente, allora non sto dormendo, è il camion della nettezza urbana, qualche cosa vive ancora, eccolo si ferma vicino al mio portone, si apre la portiera dalla parte del guidatore, e esce.....un marziano sicuramente, tuta gialla goffamente indossata, una maschera strana sul volto a proteggere, due guanti in plastica dura e un camminare goffo per quell'armatura che ostruisce i naturali movimenti.
E' una nuova mattina fatta di silenzi e “marziani” veri.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Piero della Francesca - Città ideale (detail)

domenica 15 marzo 2020

HO DECISO, ESCO!

Stamani aprendo la finestra, oltre al silenzio immane che mi ha invaso subito, abituato agli assordanti rumori di sempre, c'è anche un bel sole che splende quasi a sottolineare che la primavera si sta avvicinando e mi sono detto: “ Io ancora un giorno chiuso in casa non ci resisto, io esco!”
Mi sono vestito con una tuta, per essere libero nei movimenti, un paio di scarpe comode, quelle per le grandi camminate, un berretto sulla testa, che anche se non sono un ventenne, a me piace farmi notare, e non potrei uscire senza, un piccolo zainetto dove ho messo un libro, quello che attualmente sto rileggendo, Cecità di Saramago, mi capitasse di fermarmi in qualche panchina, gli occhiali, che col c..... che leggo, una merendina come i bambini, più mi sto descrivendo capisco che la vecchiaia ci fa ritornare davvero indietro e ci fra anche rincitrullire....ma questo è un altro discorso. Bene posso anche uscire, forse qualcuno me lo vieta? Oddio il divieto c'è , eccome, ma io sapete che vi dico, a quest'età non posso sopportare di sentirmi ostruire la libertà, quella che forse è l'ultima che mi posso godere, mi dispiace ma non ci sto a questo e vado a respirare. ESCO!
Le scale sono ultimamente la mia difficoltà maggiore, ma questo è un'ostacolo che so con pazienza superare, mi pare di essere una chiocciola che si porta appresso la sua casetta, io ho lo zaino, e lentamente, un piede dopo l'altro, uno scalino dopo l'altro, afferrato al passamano con la paura di ruzzolare altrimenti ….non ci voglio pensare. Scendendo sento le voci negli altri appartamenti degli inquilini costretti nelle case per quel morbo che ci vorrebbe tutti far morire, e sento musiche e canti che escono certamente da radio o televisioni, sento gli ultimi aggiornamenti dei morti e contagiati, sento i commenti e alcuni anche disperati, sento un suonare di chitarra e anche un pianoforte, chi è in questa scala che ha un pianoforte?, sento il cantare stonato di un giovane e le grida disperate di un altro che cerca di farlo chetare, sento un bambino che chiama la mamma che gli porti colazione perchè lui non può muoversi altrimenti Spiderman cade da un palazzo, sento un uomo che vorrebbe, come me uscire, ma una donna, presumibilmente la compagna, gli fa notare che non si può e che bisogna sopportare, sento Maria, una mia coetanea che sta nell'appartamento sopra il mio, che si rammarica con qualcuno dei poveretti che ci hanno perso la vita e di quelli che ancora stanno a soffrire e sento......sento sempre di più la voglia di scendere ed uscire.
Ancora pochi scalini e sono arrivato, quando dal pianoterra, Gina, la portiera, mi vede e mi grida:
“ Signor Giovanni anche stamani la solita passeggiata?”
“ Certo Gina come potrei non farla”
E arrivo al pianerottolo, saluto la portiera, e poi apro la porta e scendo nel sottosuolo, vado nel garage che possiedo sotto questo palazzo, entro e apro la finestra, entra aria buona, mi avvicino ad una gabbia, i canarini sono già svegli e arzilli, cambio loro l'acqua che prendo da un rubinetto del lavatoio che ho in questa stanza, prendo la merendina che avevo messo nello zaino, la sbriciolo con le mani e la metto sul fondo della gabbia, a loro piace andarsela a cercare. Mi siedo su una sedia, penso a lei che non ho più accanto, penso a quando la raggiungerò, ma per ora mi accontento e leggo perchè altro non posso e non so cosa fare, Cecità di Saramago, mi sembra molto attuale.
Ho deciso esco! Anche con la mente devo vagare.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Acrobat with bouquet, 1963, Marc Chagall

sabato 14 marzo 2020

PRANZO IN OBBLIGATA QUARANTENA

Oggi festeggio la mia prima settimana di chiusura obbligata in questa casa, la chiamano quarantena, e ho preparato un pranzo succulento per non so quante persone. Si lo so che non si devono creare assembramenti e gruppi, ma non vi preoccupate ho pensato a tutto, saranno invitati speciali e non virtuali vi assicuro, ma ho voluto intorno a me persone speciali e non potevo non festeggiare senza averli accanto. Ho apparecchiato nel mio studio, su una scrivania di legno antico, ho posato una tovaglia in lino bianco, di quelle di una volta, ricamate a mano e con le trine ai bordi, un ultimo pezzo raro del corredo di mia madre. Ho messo stoviglie in ceramica bianca con fioriture tenui di rose color rosa e foglie verdi, bicchieri di cristallo, gli unici rimasti di un'acquisto folle ad un mercatino d'antiquariato, quando ancora ci si poteva andare e quando ancora si potevano fare acquisti da non lasciarci anche il cuore. Posate d'argento, lo so sono rare, ma che volete sono gli unici ori che possiedo, e vi pare tanto? Non potevo non mettere nel centro un bel vaso con fiori a riempirlo, ma non potendo uscire fuori e poi i fiorai sono anche loro chiusi da tempo, ho messo dei rami secchi con foglie di magnolia, residuo di un Natale che quasi non ricordo di avere trascorso, tanto sono stati impegnativi questi ultimi tempi, hanno una lieve colorazione argento, una spruzzata di colore che al momento andava bene, ora mi pare quasi un fascino retrò e non è poi tanto male.
Ho profumato la stanza con un aroma di glicine fiorito, che a me da tanto senso di pace e sereno dentro l'anima, quasi mi sembra di essere fuori a respirare e poi …...ecco che arrivano gli invitati, bene ve li presento anche se sono sicuro che li conoscete, almeno per sentiti nominare......
Il primo ad arrivare è un ragazzino, anzi lo dovrei chiamare burattino, ma il tempo è passato anche per lui, non ha più quelle schegge di legno a contrastare, il naso non gli si allunga più e non è più quella testa di legno che si credeva fosse, l'avete certo capito di chi parlo, è arrivato Pinocchio, ma non è venuto solo, ha portato con se da buon cavaliere, la fata Turchina che anche se invecchiata ha ancora quel fascino misterioso di una volta, e poi con quel vestito in tulle azzurro da strasse argentate che le fanno brillare il volto e la sua ormai lenta andatura, è sempre una bella donna anzi una regina.
Si sentono rumori sulle scale, un vociare eclatante, ma si certo non può essere che lui, sempre avventuroso e assordante, non poteva non farsi notare, è vestito con tutta la sua armatura, ancora con gli occhi stralunati e un nemico sempre davanti da doversi difendere e lottare, è arrivato solo senza il suo eterno amico , ma Don Chisciotte sa cavarsela ugualmente e poi qui non ci saranno mulini a vento da sfidare.
Ancora sofferente delle avventure passate, dei ricordi di un travagliato passato che si porta dentro, arriva con la dovuta galanteria, è un signore adesso, almeno nell'animo che si è guadagnato, porta sul volto in ogni ruga, la traccia del forzato, della paura della fuga dalla prigionia, il terrore dell'essere ricercato, ma negli occhi ha ancora tutto l'amore che ha donato, e stanco, si siede dopo aver a malapena salutato....povero Jean Valjean.
Un volto smunto, emaciato, intimorito e con un pizzico di timidezza, si affaccia dietro la porta d'ingresso, non sa cosa fare, quasi incerto se entrare, la coscienza ancora lo morde dentro, ha paura ancora di essere giudicato, additato, ma chi non ha a cuore il suo tormento e non conosce il suo patimento del brutto affare in cui si era, da giovane, cacciato, Rodion Romanovic Raskol'nikov detto Rodja.
“ Entri, signor Rodja, siamo tra amici e grazie di essere venuto”.
Chi non ha bisogno di essere incitato ad entrare è lui, alto, ancora con un corpo da soldato, tenuto nel suo essere, spavaldo e con una forza nel sorriso da farti impressionare, eccolo il grande avventuriero che non si è mai fermato a nessun ostacolo che avesse ad incontrare, ancora forte nel portamento come nelle braccia possenti che senti nello stringere la mano, e non è solo, stavolta onde averne poi a farne un'Odissea a ritornare si è portato la meravigliosa e umile consorte appresso, ecco Ulisse con Penelope sull'ingresso.
Spavaldo, sorridente, frivolo quel poco che serve a divertire la gente, vestito con cura, giacca appariscente ma di tessuto fine e di costosa fattura, pantalone rigato, cappello e fiocco a darne la misura, guanto ben tirato sulla mano posata ad un leggero bastone nero lucido, e l'altra a smanaccare, libera del guanto, a far notare la sua gioviale voglia di essere notato e notare. Eccolo il dandy del momento, Dorian Gray.
Certo l'andatura di un nobile si fa sempre notare e gustare agli occhi, eccolo il nobile di cuore e di portamento, ecco colui che dal male avuto si è riscattato con astuzia e con la fortunata sorte, un frac nero a impressionare il suo giovanile e perfetto corpo, camicia bianca con colletto in trina a rifinire, un fiocco di seta, nero e un volto a incantare, accompagnato dalla donna che sempre ha amato e per la quale ritornò a conquistare. Entrano e la stanza assume un vero colore, Edmond Dantes e Mercedes fanno davvero la misura!
A terminare questo elenco di persone non poteva mancare colui che di tutti avrà certo da indagare, non si perderà un momento del loro parlare, ridere o scherzare e di tutti ne trarrà le sue conclusioni, saranno per lui come investigazioni, certo non ci sarà un delitto o un rapimento, almeno spero, non ci saranno criminali e ladri da scoprire, ma sarà per lui un divertimento poter ugualmente indagare.
“Elementare dottor Watson” si rivolge al suo compagno Sherlock Holmes, mentre sta per entrare.
Ebbene gli ospiti sono quasi tutti arrivati e a voi lascio pensare e immaginare chi ancora potrebbe arrivare, la tavola è apparecchiata e intorno a me ho tanti libri ancora da sfogliare per permettere ai personaggi di avvicinarsi a questo pranzo di uno che è chiuso in casa, come tanti, per dovere e per diritto, il primo verso lo stato e la società, il secondo alla nostra vita!
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

venerdì 13 marzo 2020

C'E' UN PRATO

C'è un prato, vicino alla mia città, è un prato enorme che si spande verso la collina, alberi ve ne sono pochi e il sole fa da padrone. C'è un prato, vicino alla mia città, dove il silenzio è il suono più bello che si possa sentire e dove nascono spontaneamente piccole margherite bianche da scaldare il cuore. C'è un prato, vicino alla mia città, che non vuole essere calpestato da nessuna macchina o motore, solo passi lenti degli umani e accoglie ogni sorta di animale, volano e si posano sulla sua erba sempre fresca, uccelli e rondini a riposare o trovare qualche insetto da poter sfamare. C'è un prato, vicino alla mia città, che consola e accudisce al bene eterno della mia famiglia e di ogni persona che a lui è andata a trovare, e lascia che l'amico vento spazzi il dispiacere immane e la pioggia aiuti a dimenticare e rendere più fresco l'eterno rimanere. C'è un prato, vicino alla mia città, che nessuno vuole nominare, ma che ognuno poi da se sa come trovare e allora ognuno conoscerà dell'erba il suo divino sapore, della terra il suo caldo tepore e del cielo vedrà ogni stagione. C'è un prato, vicino alla mia città, che in questi giorni è troppo calpestato, troppo movimento lo rende sciupato, l'erba si deteriora e marcisce, la pioggia si raduna nelle pozzanghere che si sono aperte, e il vento porta via con impeto, ogni sorta di cosa, perchè non accetta questa invasione. C'è un prato, vicino alla mia città, che urla e vuole ritornare quel prato che vive nel silenzio, dove gli uccelli si posano a riposare e gli animali scorrono senza essere disturbati da troppo rumore. C'è un prato, vicino alla mia città, che vuole ritornare al naturale della cosa, e avere ancora l'erba verde, il sole che lo scalda e saper conoscere ogni intemperie che ogni stagione sa donare.
C'è un prato, anzi tanti, che vogliono ritornare a non essere nominati.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine ERREBI

martedì 10 marzo 2020

RAFFAELLO SANZIO - SACRA FAMIGLIA CANIGIANI

Stiamo attraversando uno dei periodi forse più tumultuosi che il nostro secolo abbia a conoscenza, un periodo in cui vengono improvvisamente a mancare le nostre abiutali cose giornaliere, i nostri diversi modi per guadagnare quel poco che ci faccia sopravvivere, ci troviamo a sacrificare pure i sentimenti trattenendo le nostre , forse esagerate, effusioni, e comunque per il bene di tutto e di tutti siamo costretti a trattenerci in casa per non essere danno ad alcuno, soprattutto a noi stessi.
Ma in ogni medaglia c'è sempre un risvolto, l'altra faccia, il verso dimenticato e meno lucente, ebbene anche in questa “forzatura” involontariamente torniamo a riscoprire il valore della famiglia, lo stare insieme, il parlare tra di noi, anche un semplice giocare a carte, stiamo eliminando la televisione perchè “opprimente” per le notizie purtroppo negative che ogni giorno ci propina, riscopriamo quel senso di sereno vivere tra le quattro mura, anche la più umile casa assume per noi il senso di una reggia.
Ed è in questo “forzato” ma giusto vivere, che riscopriamo anche la lettura, torniamo a guardare con occhio diverso la nostra libreria, magari qualcuno si attenta anche di sfogliare qualche ricettario e cercare di imitare questa o quella ricetta, ed è in questo “brutto momento” , che a coloro che stanno soffrendo e tanti purtroppo hanno dovuto soccombere, noi rivolgiamo il nostro pensiero e gli auguriamo che ritrovino presto la quotidiana vita terrena e chi è credente cerca consolazione e ricerca d'aiuto nella preghiera, chi diversamente, prega comunque, magari non rivolgendosi a un Dio o a un Santo, ma alla coscienza interiore e all'istinto del donare pace e amore.
Ed ecco che allora sorge il desiderio anche di pensare a cose belle, a cose che ci danno quel tocco di serenità che serva a cancellare, momentaneamente, il grigiore di questi giorni, ed io anche parlando di arte, ho voluto avverare questo grande desiderio , nominando il Maestro della gentilezza, della serenità, della grazia e dell'eleganza, Raffaello Sanzio.
L'opera scelta, tra le tante forse anche più importanti, è la Sacra Famiglia Canigiani, perchè la ritengo un dipinto che parla con una forza moderna, direi proprio che riassume in se tutto il pathos che viviamo in questo momento. E' si una rappresentazione religiosa, non possiamo negarlo, parlano chiaro i personaggi, quali la Madonna, Gesù Bambino, San Giuseppe, Sant'Elisabetta e San Giovannino, ma la caratteristica del Maestro , quella di dare colore e umanità tali da farne una rappresentazione terrena, in questa opera ha raggiunto un alto apice, eppure pare che quando fu realizzata avesse non più di 24 anni.
Ed ecco la famiglia che si ritrova, ecco che si accostano i personaggi in un nucleo piramidale da dove ne esce tutta l'energia che soltanto un insieme di persone che si vogliono bene sa esprimere, ed ecco che anche la figura di Giuseppe, fino ad allora nascosta perchè il suo ruolo di padre putativo era per la chiesa, assolutamente insignificante, qui invece prende valore immenso, infatti è rappresentato in piedi ed è il culmine di quella ipotetica figura triangolare, e non solo ma dona il suo apporto terreno, nel gioco magistrale del Maestro, ponendo il suo volto al centro della tela e in parallelo a quello della figura ( di fede) più importante, Gesù Bambino. E allora penso ad oggi, dove la figura paterna, che sempre ha avuto il valore minoritario nell'ambito affettivo della famiglia, il padre che era soltanto colui che doveva provvedere al fattore economico e di salvaguardia dei suoi congiunti, che invece assume quell'importanza che quasi si parallela a quella sempre importante della madre, e ritornando alla nostra “quarantena” di questo periodo, ho notato quanti padri si dedicano con amore e gentilezza, devozione e sacra paternità ad seguire i propri figli.
L'opera fu commissionata dal fiorentino Domenico Canigiani ( ecco il motivo per cui assume quel nome) per poi finire tra la numerosa collezione Medicea, ma a sua volta fu data in dono di nozze a Giovanni Guglielmo del Palatinato e consorte: Nel tempo , non se ne conosce la motivazione, ma arrivò a Dusseldorf per poi ai primi dell'800, per ovviare ai furti artistici cui si faceva grande Napoleone, fu trasferita a Monaco di Baviera dove attualmente è visibile nella Alte Pinakothek.
Una nota interessante, sullo scollo della veste della Madonna è inscritta la dicitura “ RAPHAEL URBINAS”, praticamente la firma del Maestro!
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Raffello Sanzio - Sacra Famiglia Canigiani