venerdì 7 febbraio 2020

UN DENTE CAVATO CON L'INCUDINE

Quando mi trovo a certi mercatini d'antiquariato, la mia maggiore ricerca è basata sui libri, ma non tanto per cercare quel qualcosa di prezioso e antiquato, ma per ritrovare edizioni ormai perse, magari anche datate, che hanno comunque un valore letterario non indifferente. Si trovano vecchie antologie dove vengono magari citati poeti e scrittori che sopraffatti dai "soliti grandi" sono dimenticati e persi, si trovano raccolte di fiabe e/o racconti che escono dalle solite conosciute e alcune oserei dire usurate novelle, e proprio ultimamente ho trovato un "novelliere", una raccolta di novelle di un libro datato del 1935 ....Novelle di illustri e tanto di meno conosciuti novellieri e scrittori dei passati secoli.
Oggi vi voglio riportare questa, da me riveduta per una più facile lettura e comprensione, di GIOVANNI SAGREDO, un ambasciatore italiano del seicento, patrizio veneto e fratello del doge Niccolò, che scrisse l'ARCADIA IN BRENTA, una trovata che ripete il solito motivo del Decameron, dove qui egli immagina tre gentiluomini e tre gentildonne di carattere solare e dotati di un buon spirito, che si ritirano in campagna sulle rive del Brenta e trascorrono otto giorni in piacevoli conversazioni.
L'Arcadia contiene circa quarantacinque novelle miste a motti arguti e facezie e da quest'ultime ho tratto questa divertente lettura.
UN DENTE CAVATO CON L'INCUDINE
Due ciarlatani ovvero due cavatori di denti che decantavano in modi e maniere quasi miracolose e geniali il loro ardire e fare, si erano per caso incontrati in una delle tante piazze che bazzicavano e si trovarono a prendersi in questione.
Uno diceva baldanzoso e alquanto fiero e pavoneggiandosi pure:
“ Io cavo i denti col manico di un pugnale”
L'altro, non meno borioso, controbatteva deciso:
“ Io, io so fare di meglio, li cavo con la pistola.”
Allora il primo non potendone più di questa sfrontataggine, anche per non perdere fiducia sulla piazza, ne uscì con una davvero geniale:
“ Io li cavo con una grossa incudine, di quelle belle grandi e pesanti su cui si battono le àncore delle navi che hanno ferri così smisurati, che nemmeno la punta potrebbe entrare nella bocca.”
L'altro quasi non si sbellica dalle risa e cercando di trattenersi rispose:
“ Questa è proprio una grande baggianata, è davvero uno sproposito!”
“ E allora” rispose immediato il primo “ scommettiamo? Io ci gioco dieci scudi”
“ Ben volentieri anche io ve li deposito” rispose l'altro già sicuro e certo di portarsi in tasca la vittoria “ e sono sicuro che non riuscirai a cavarmi nessun dente, neppure questo (e indicò un dente che già vacillava), che a mal pena si potrebbe togliere con due dita”
Fu così che a scommessa pattuita i due si trasferirono a “Castello” ( riporto la denominazione del luogo come è nell'originale, ma è una località indeterminata e non riscontrabile) dove vi erano una quantità di fucine e dove si potevano trovare incudini talmente pesanti e grandi, perchè in queste si battono le più grandi àncore del Paese.
Il primo, quello che dette inizio alla scommessa, fece accomodare su una sedia il compare, gli legò le mani di dietro, poi prese una corda di un liuto e la rigirò intorno al dente del rivale, legò quindi l'altro capo ad una enorme incudine. Poi visto un grosso maglio, un martello di ferro, lo prese, lo alzò con tutte e due le mani e prendendo la mira sulla testa del paziente, urlò:
“ Cane traditore piuttosto ti accoppo che farmi rubare dieci scudi!”
L'altro spaventato e terrorizzato, vedendosi minacciato sulla testa, diede un grande scossone tirandosi da una parte per scansare il colpo, al punto tale che …...il dente rimase attaccato all'incudine!
Lo scommettitore col mezzo dell'ingegno e dell'intelligenza si guadagnò i dieci scudi.
Liberamente tratto da L'Arcadia di Giovanni Sagredo.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

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