giovedì 13 febbraio 2020

E'..(ERA) CARNEVALE....ANCHE A LUCCA

E siamo nel pieno del mese di Carnevale, e non c'è città, paese, addirittura borgo che non festeggia e balla e ride in questi giorni, ognuno con le sue tradizioni, ognuno con le sue maschere a colori, con feste, balli e pure succose cibarie da far leccare i baffi, dolci e pure salati, leccornie per bambini ma pure e tante per gli adulti, anche se ormai è quasi tutto omologato, da ogni parte e luogo il carnevale si assomiglia. In toscana c'è ancora il detto che “L'epifania tutte le feste le porta via” ma c'è pure la risposta “ ma il matto del Carnevale tutte le feste le fa ritornare” e una volta, al tempo dei nostri nonni e bisnonni, e ancora molto prima, il Carnevale era inteso davvero come periodo di svago e di rilassamento, dove persino da ogni piccolo borgo, si aveva l'inventiva di un qualche cosa di diverso, bastava che facesse divertire e ridere senza pensare. Sorgevano allora alberi della cuccagna, feste in piazza, pentolacce, rappresentazioni teatrali, insomma un po come i Saturnalia degli antichi romani, (quelli si celebravano a dicembre quando tutto era concesso e quando l'ordine sociale veniva sovvertito, tanto che i padroni servivano gli schiavi). E allora potremmo nominarne tanti, fra quelli che la memoria mi sovviene, intorno alla provincia di Lucca, ad esempio a Valdottavo si gareggiava con la corsa “dei micci” che erano montati a pelo, ovvero senza sella, oppure a Borgo a Mozzano dove era assolutamente proibito lavorare nei giorni del Carnevale e chi aveva la sfrontatezza di trasgredire a tale ordine comunale, veniva pubblicamente processato in piazza con la relativa condanna di pagare bere a tutti quanti. A Lucca c'era il divertimento di tirare le “beute” ovvero delle uova bevute e poi riempite con liquidi maleodoranti, ( penso sappiate, e chi non ne fosse a conoscenza lo spiego, come si bevevano le uova “una volta”....specialmente per coloro che abitavano in campagna era consuetudine la mattina alzarsi e andare nel pollaio, che immancabilmente era presente in ogni “corte”, prendere il primo uovo fresco e con un chiodo o un ferro o che altro fare un foro nel guscio, prima da una parte, poi tenendo l'uovo tra le mani ma con un dito a otturare il foro fatto, se ne praticava un'altro all'opposta parte e si avvicinava così alla bocca e si aspirava mentre si toglieva il dito che faceva da otturazione....l'effetto era che tutto il contenuto veniva letteralmente aspirato in bocca e digerito) il guscio così riempito serviva per tirarlo addosso a coloro che magari avevi un poco di astio, oppure per ischerzo a qualche amico, insomma ogni persona era un buon e divertente bersaglio, ma spesso questi scherzi non venivano accettati dai malcapitati che si prendevano le “beute”e si finiva a cazzottate......poi la cosa comunque finiva all'osteria tra le risate. Ma anche la cucina aveva le sue tradizioni non indifferenti, di solito in questo periodo si usava insaccare il maiale, a chi aveva la fortuna di possederne e allevarne uno, e fare una grandissima scorpacciata di queste carni in riparo alla vicina Quaresima, che una volta imponeva tassativamente il digiuno dalle carni, poi i famosi cenci e le frittelle ma a Lucca si faceva, e anzi ancora si fanno come tradizione i “tordelli”, quella gustosa pasta fresca ripiena che veniva tagliata e formata con il bicchiere e per gli amanti e i golosi rimando alla dettagliata ricetta sulla mia pagina FB di Nonna Lina vi consiglia.


E per finire non posso non nominare “ciccia e ossi” , che ancora oggi in Lucchesia si usa come termine se si vuol indicare una persona povera e malnutrita....”'n non vedi è tutto ciccia e ossi!”.
La tradizione ha origine molto lontane, direi quasi medievali, e si svolgeva proprio nel cuore della città di Lucca, la cosiddetta Lucca "drento", tra le mura che la circondano. La mattina del Giovedì Grasso, i molti poveri che allora esistevano e lo erano per davvero, bambini, donne, vecchi, uomini e anche persone portatori di qualche handicap, con indosso i più svariati e particolari indumenti, con calzoni sdruciti o rigirati, tinteggiati nel volto con i più svariati colori e chi addirittura si faceva i baffi nelle più particolari forme, sfilavano così conciati, per le strade della città e bussavano ad ogni porta, ad ogni uscio, e a ogni negozio, soprattutto a quelli che vendevano cibo, e muti, senza dire niente aspettavano che qualcuno gli desse loro qualche cosa, un avanzo, dei tozzi di pane, oppure anche dei cenci, insomma tutto era bono e veniva raccolto nei grandi sacchi di juta che si portavano appresso, tutto era bono per trascorrere anche loro il Carnevale mangiando e assaporando quei cibi che invece i ricchi abbondavano in questa festa.
E così il Carnevale è davvero la festa di tutti e per tutti, poveri e ricchi, giovani e vecchi, grandi e piccini.
Roberto Busembai (errebi)
Immagini: ERREBI

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