Visualizzazione post con etichetta Recensione film. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Recensione film. Mostra tutti i post

sabato 26 marzo 2022

PER LA PACE


VOGLIO FARMI PROMOTORE DI UN'INIZIATIVA CHE TENDA A SENSIBILIZZARE L'OPINIONE PUBBLICA VERSO LA PACE.

Noi non abbiamo voce in capitolo, ma possiamo far sentire il nostro pensiero con un "mezzo" grande e mondiale che è il "social" per cui vorrei che tutti coloro che sono per LA PACE, da oggi e per una settimana condividessero e promuovessero questa immagine sulle loro bacheche, sulle loro pagine, sui loro social. Questa mia personale bandiera è volutamente semplice, elementare, naturale perchè la PACE è semplice naturale e elementare che debba esistere, è un'immagine dai colori quasi sbiaditi, usurati, consumati, perchè la PACE è sofferta, voluta ardita, creduta, pensata, urlata, desiderata, ambita.....

Condividete questa immagine per una settimana e promuovetela, FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE IN TUTTO IL MONDO.

Rpberto Busembai (errebi)

Immagine Errebi

mercoledì 18 agosto 2021

HARRY MACQUEEN - SUPERNOVA


Avesse scelto due persone comuni, “normali” direbbe la società odierna e maschilista, il film sarebbe stato prevedibile e la storia si sarebbe persa nello scontato, in una coppia “normale” quando ad un uomo subentra una malattia degenerativa scatenante, è “normale” che la donna si occupi di lui, che lo accudisca anche nelle mansioni più denigranti, certo lo fa per amore ma il concetto “generale” è che la donna …...è più portata ( a fare anche la serva e la badante), e l'amore magari che lei riserva in tutto il suo essere verso quell'uomo che si sta svanendo non è compreso o comunque ritenuto “ un dovere”.

Io credo che il regista Harry Macqueen, ha scelto volutamente e categoricamente una coppia di uomini per questo film, perchè sapeva che avrebbe fatto valere ogni sorta di giudizio e pregiudizio, ogni malignità e ogni stereo patico pensiero, perchè solo così è riuscito a far capire e a dare il vero peso e la vera importanza alla parola AMORE.

Di una coppia d'uomini che stanno insieme da oltre trenta anni, uno dei due è consapevole di essere affetto da una sindrome di demenza molto precoce e che in poco tempo lo renderà estraneo al suo mondo tale da non poter nemmeno essere in grado di conoscere colui che da sempre ha amato e è stato il suo conforto. Dall'altra parte l'altro uomo consapevole di quello che va incontro, non desta assolutamente nessun ripensamento o dubbio, il suo forte e immenso amore giustifica la sua forte e decisa partecipazione e devozione al punto in cui dichiara al suo compagno, in un loro momento di confronto, ….”voglio essere con te fino in fondo e sarò io a pulirti il tuo cazzo di culo!”.

E' un film dove il sesso scompare, svanisce, non esiste e non è importante che esista, qui ha forza l'amore e con esso la vita e la morte che si rincorrono in un concerto di incertezze e volontà.

Anche se appare lento nello svolgimento, la sua lentezza, i silenzi, i lunghi scorci panoramici, servono a far si che lo spettatore abbia a meditare tanto da poter realizzare con i personaggi quel forte e sottile filo della speranza che sempre deve essere e deve sorreggere.

Supernova è una stella che esplode e rilascia nel firmamento i suoi gas e le sue polveri e brillerà ancora per anni e anni e anni anche se muore e l'amore è supernova perchè al culmine della morte non morirà mai, solo se sarà stato davvero un grande amore.

Non si può non sottolineare la bravura eccezionale dei due interpreti, Colin Firth e Stanley Tucci, davvero una recitazione da oscar, entrambi, due uomini dal carattere diverso ma sorprendentemente due spettacolarità recitative che lasciano davvero segno nel cuore.

Non so se mi ha colpito perchè in toto mi appartiene, o mi ha colpito perchè non è facile oggi giorno parlare e descrivere la parola amore con la più assoluta semplicità e profondità insieme, un film assolutamente da vedere.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Locandina del film

giovedì 8 ottobre 2020

MICHELE PLACIDO - 7 MINUTI


Una vecchia azienda tessile, per mantenere la fabbrica vuol vendere le sue azioni a una multinazionale straniera, la quale per accettare richiede alle donne operaie di quella fabbrica di rinunciare a “soli” 7 minuti della loro pausa pranzo.

Cosa sono “soli” 7 minuti? Su questa domanda si sviluppa uno dei più bei film a mio parere sulla condizione del lavoratore odierno, sulle sue possibili rinunce delle “vecchie” conquiste dei diritti umani che un operaio deve assolutamente esigere. E per dare risposta a questi nuovi padroni, una rappresentanza di giovani operaie, capeggiate da una “anziana” della vecchia azienda, che a nome di tutta la fabbrica, dovranno decidere e rispondere. Ma la cosa non è assolutamente così semplice come appare, e il film si sviluppa appunto presentando le 11 diverse figure femminili che si spoglieranno nelle loro affermazioni per presentare ognuna una sua difficoltà personale e ogni suo pensiero in proposito. E' un film dove vengono presentate le più diverse entità sociali e di ognuna.

Sarà una lotta, un prendersi pure per i capelli, un odiarsi quasi reciprocamente, e tramite la ferrea moderazione dell'anziana, si svilupperanno tutte quelle controversie e tutte quelle differenze che la rinuncia o meno ai “soli” 7 minuti può portare.

Undici emblematiche e contorte figure femminili raffigurate da altrettante undici indiscutibili e sorprendenti interpreti, partendo dalla più combattiva, democratica anziana (Ottavia Piccolo) a quella dal forte carattere e decisionalità nascondendo così una forte fragilità di Ambra Angiolini, e alla giudiziosa e comunque comunicativa e battagliera Fiorella Mannoia, per non dimenticare l'invalida di lavoro Violante Placido, la giovane incinta del primo figlio e moglie di un pakistano venditore ambulante, Cristiana Capotondi, l'estracomunitaria Balkissa Maiga, la prorompente Maria Nazionale e tutte le altre. Undici figure distinte e ben interpretate, un cast davvero eccezionale e un film da vedere per la forza combattiva, per il coraggio di queste donne, per il mettersi a confronto con le loro reali e vere problematiche sociali e di famiglia. Quanto è rilevante il mantenimento o la rinuncia a “soli” sette minuti sulla condizione personale e sul diritto di lavoro e di mantenimento della famiglia? Domande che questo film ti pone e fa davvero riflettere, ma riflettere fino in fondo, analizzando ogni più piccola crepa si possa generare, da riflettere ancora di più adesso, in questo nostro vivere quotidiano dove un virus fa da padrone o il padrone si avvale del virus. Domande solo domande, ma l'essenziale è porsele quelle domande, e non accettare subitamente un “SI” alla rinuncia senza valutarne le positività e le negatività e metterle ognuna sulla propria bilancia di vita. Quanto è distruttivo o difensivo, oggi portare la mascherina, sulla libertà emozionale e sentimentale di ogni essere umano?


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Locandina del film

mercoledì 9 settembre 2020

MASSIMO TROISI - IL POSTINO


C 'è tanto bisogno di vita, di volontà di vivere e vedere questo film penso che ne sia la cura adatta perchè la vita torni a sorriderci, un film dove il grande Troisi dopo appena 12 ore da quando aveva terminato le ultime scene, ci lasciò, un Troisi che fino all'ultimo ciak, con la sua malattia, con il suo sguardo ormai lontano, con le sue cadenze nei movimenti tarati dalla malattia, un Troisi che ha lottato fino all'ultimo respiro, ovvero ha vissuto tutto quello che gli era dato di vivere, senza sprecare niente.

E comunque non è nemmeno un film a caso, il “Postino”, ci rende l'interpretazione drammatica di un grande comico e ce lo affianca a un personaggio che della poesia e della parola della vita ne ha sapute recitare e creare, ma soprattutto vivere, un Neruda/ Noiret indiscutibilmente superiori, il primo per la sua immane cultura e profondità, l'altro per la perfetta recitazione.

Di questo film non importa la trama, si vive dei loro reciproci dialoghi improntati sulle metafore, sulla sorpresa dell'umile postino che “beve” sapienza dal grande poeta, e del quale incantato se ne servirà pure nel rapporto smorzato con la sua donna, si farà scudiero di un popolo umile di pescatori di un'isola che sta morendo, i tempi sono cambiati.

Ho pensato a questo film proprio per la forza prorompente che ha nello stimolare a vivere,nel far capire che niente ha davvero fine e che bisogna sempre ricominciare anche se diversamente, e chi meglio di Troisi in quel preciso momento poteva parlare di vita!

Un film che gli è valso varie nomination all'Oscar e di cui uno strappato, per la colonna sonora, drammatica, di Luiz Bacalov.

Sono impresse nella celluloide, eterne in chi lo ha visto o avrà occasione di vederlo, le smorfie di Troisi da cui traspariva sofferenza, il suo sguardo provato e il volto incavato dal male che rode, un Troisi comico che pare sorrida alla morte, quasi a fargli una SMORFIA.


Dal film:

Mario/Troisi rivolto a Neruda/Noiret:

A me mi piaceva pure quando avete detto “ sono stanco di essere uomo”, perchè è una cosa che pure a me mi succede però non lo sapevo dire....


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Locandina del film

giovedì 18 giugno 2020

MARIO MONICELLI - UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO

In questi giorni è stato ricordato Alberto Sordi e la sua maestria e rocambolesca magia di fare comicità e arte assoluta di recitazione, e anche io voglio associarmi a questo clamore nominandolo e apprezzandolo non solo per il suo sarcasmo semplice e genuino ma anche per il suo essere anche magistralmente attore impegnato e serio.
Il film in questione è del 1977 diretto da Mario Monicelli e tratto dal famoso libro di Vincenzo Cerami, Un borghese piccolo piccolo, dove Sordi interpreta il personaggio clou di tutta la pellicola, un impiegato ministeriale prossimo alla pensione, il signor Giovanni Vivaldi.
La pellicola, come del resto il romanzo, hanno uno sfondo ben marcato di una società corrotta , di una società fatta di perbenismo e di chiaro e sottoscritto nepotismo e servilismo verso i potenti, è una netta critica al sistema che vigeva in Italia nel periodo, a un sistema che tutti, indipendentemente e “volutamente” erano sottoposti a sottostare per sopravvivere, un sistema marcato anche da estremismi violenti divenuti “famosi” come gli Anni di Piombo.
Ma senza farne un documento politico o partitico, il mio interesse è rivolta all'interpretazione di Sordi e al tema del film, un piccolo borghese, Vivaldi, che prossimo alla pensione cerca, come tutti del resto, di poter lasciare un posto di lavoro degno e sicuro al figlio Mario, un figlio particolare, che non ha certo la sfrontatezza del padre, la sua intraprendenza, ma che si è prodigato a partecipare ad un concorso per un posto al ministero, lo stesso dove lavora Vivaldi padre. Ed è proprio questo padre, che farà di tutto perchè il concorso venga vinto da Mario, sarà il padre che si prostrerà ai suoi superiori, arriverà persino a inserirsi in una loggia massonica, dove è certo di trovarci un superiore “amico” che lo possa aiutare.
Gli esami scritti hanno avuto buon esito non resta che l'esame orale, e quell'esame, lo sa bene il Vivaldi, è soltanto un proforma, perchè gli “appoggi” a cui si è dedicato, funzioneranno e Mario avrà il suo degno posto di lavoro, ma tutto era calcolato ma non era calcolato il destino, perchè Mario, accompagnato dal padre, mentre si reca a quell'esame, viene ucciso nel corso di una rapina.
Il padre disperato cerca invano di rincorrere l'assassino, ma lo ha visto bene in faccia e sa bene chi sia.
Il crollo dell'uomo, le sue speranze, le sue ambizioni, il ruolo paterno, insomma tutto crolla, Vivaldi non ha più niente a cui tenere, la moglie alla notizia del figlio morto viene colta da un forte mancamento e rimarrà invalida e assente su una carrozzina, ma Vivaldi ha già in cuore la “sua” personale vendetta. Sordi da questo istante lascia la sua maschera ironica e entra in una recitazione sadica, triste e carica di quella interiorità dolorosa che solo un padre può comprendere, un padre che aveva affidato tutto se stesso per un figlio, quel figlio che quell'assassino, più volte volutamente non riconosciuto dalle foto che la polizia gli presentava, ma che lui invece riuscirà a rapire, portarlo in una baracca vicino al fiume, che spesso usava con Mario quando andavano a pesca insieme, e poi torturarlo piano piano per farlo soffrire e poi portarlo definitivamente alla morte.
E' un dolore immane, è stato uno strappo troppo forte per un borghese piccolo piccolo, abituato al suo piccolo mutuo, al posto fisso, la macchina, alle partite di calcio, al figlio e al servilismo per accaparrarsi “facilmente” ogni cosa.
Grande Alberto Sordi e grande film.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Locandina del film

giovedì 7 maggio 2020

UMBERTO D. - VITTORIO DE SICA

Pellicola degli anni '50, fu un determinante apporto al cinema italiano Neorealista, ma non fu certo un apporto economico in quanto, nonostante il film fosse di un'intensità umana indescrivibile e di una ferrea ricostruzione della società di allora, non ottenne quel successo che avrebbe dovuto, voluto anche e comunque dalla politica che tendeva a boicottare tutti quei registi, come De Sica, Visconti, Rossellini ecc, che raccontavano i drammi veri e reali della società in contrapposizione alla crescente cinematografia americana, che entravano sempre di più nel programma di visione in Italia.
Umberto D è un film nato dalla coppia indiscutibile di Cesare Zavattini e Vittorio De Sica, che entrambi hanno contribuito a fare di questa pellicola una delle loro opere più importanti.
La storia è quella di un anziano pensionato Umberto Domenico Ferrari ( interpretato magistralmente da un attore non professionista un certo Carlo Battisti) che tira avanti con espedienti per poter pagare l'affitto e procurarsi un poco da mangiare, ma i soldi non bastano mai e si trova così a dover vendere tutti i suoi pochi averi cercando di estinguere i debiti che non finiscono mai. Solo senza famiglia, vive le sue giornate in cerca di procurarsi qualche soldo, senza elemosinare, ma dedicandosi a trovare i modi e le maniere giuste, svolgendo la sua vita solitaria e povera in mezzo a bambini che giocano nei parchi, a corriere e a soldati che pullulano la città di Roma, una Roma ai primordi di un dopoguerra, dove non ha tempo di dedicarsi a un anziano, non ha tempo di dedicarsi a un povero, che già poveri erano tutti......I suoi unici rapporti sono con una giovane, gentile e ingenua servetta ,che vive d'innamoramenti dei tanti soldati in licenza, e un fedele e grande amico cane Flaik.
Gli incassi fecero del film un flop, l'allora segretario allo spettacolo, Giulio Andreotti si prodigò a censurare questo film perchè giudicato incapace di ritrarre le "cospicue" riforme sociali postbelliche.
E' un film con un finale meraviglioso, dove l'unico grande amico, Flaik, è la salvezza dell'uomo, sicuramente un film da una tematica attualissima, che oggi, proprio dopo questa pandemia, che ci ritroviamo in una crisi che non ha eguali e che non sappiamo ancora come debellare, un dopovirus che ha messo in evidenza e sottolineato con la morte, il mancato rispetto e considerazione dei nostri anziani, ha urlato nei nostri cuori la nostra noncuranza d'interesse di sapere a chi avevamo affidato i nostri cari anziani.
Umberto D. un film da rivedere e a parere mio da rivalutare.
Ho trovato questo frammento del finale del film, e lo ritengo emblematico, la rinascita della vita e del senso di vivere.....alla FINE.

Roberto Busembai (errebi)
Immagine web

mercoledì 29 gennaio 2020

TAIKA WAITITI (COHEN) - JOJO RABBIT

L'ho visto più per curiosità, direi anche con un certo scetticismo, non mi ero documentato, ma la locandina mi incuriosiva enormemente, quel bambino vestito da nazista e quella figura clownesca di Hitler hanno dato la spinta maggiore.
Ebbene se mi aspettavo un film da ridere, ovvero pieno di gags e anche demenziali tirate di orecchie a un sistema e un regime passato, mi sarei sbagliato di tanto, ma quello che ho avuto paura più di tutto è che inizialmente mi sono sentito piuttosto disorientato perchè non riuscivo a immaginare che si potesse fare un film inneggiante al regime, perchè all'inizio è così che ti pare e ti rode dentro e quasi avresti voglia di urlare e sbraitare per l'odio e la rabbia che cresce.......
E' una rabbia e un odio che sceme, che forse voluto per farti davvero entrare nel corpo e nella mente di quel ragazzino di circa dieci anni, invasato del nazismo, tanto da andare fiero nell'esserne sempre vestito, fare i corsi preparatori per diventare un puro e invincibile, virile, ariano perfetto, quel ragazzino ancora bambino che parla con il suo amico segreto, che vede come reale, che discute e che adora all'infinito e sopra ogni cosa, il suo amico dei giochi, un puro e immenso ariano doc, Hitler stesso, la cui interpretazione è singolare, non sarcastica, ne buffonesca, direi quasi naturale tanto è paradossale e pazzesca nella sua vera realtà conosciuta, un vero amico segreto, un vero amico dei giochi. 
 Non posso raccontare la storia altrimenti perdereste il gusto e il geniale di questo film che a mio parere è uno dei più belli che abbia visto questo anno, ne uscirete con una profonda devozione e una grande apertura nel cuore e nella mente quasi d'abbracciare la prima persona che trovate per estraniare il forte amore per gli altri. 
Vorrei che questo film fosse l'icona per una vera lotta contro la discriminazione razziale, un insegnamento che il regista ha saputo irrorare piano piano nell'animo, nel cuore, nella mente di uno spettatore e consentitemi di aggiungere una piccola nota personale, la musica finale è il tocco geniale su una torta davvero gustosa. Brivido da accapponare realmente la pelle. 
A me non resta che andare a leggere il libro da cui è tratto: "Come semi d'autunno" di Cristine Leunens

Roberto Busembai (errebi)

Immagine web: Locandina del film

mercoledì 8 gennaio 2020

IL GRANDE DITTATORE - CHARLIE CHAPLIN

Venti di guerra, di predominio, di ripicche tra statisti, ingiurie e altre ancora e senza entrare in merito per nessuno, ma l'esperienza, la storia, il passato, pure quello prossimo,non hanno ancora insegnato niente , anzi parrebbe che tutto quello che finora è accaduto negli ultimi cento anni, non sia mai esistito tanta è la rabbia e la volontà di conflitto e di sopprimere, di portare fede alla forte ambizione di potenza superiore.
Questa premessa per parlare, piano e delicatamente per portare rispetto, di un grande film, un film che soltanto un "piccolo" uomo ebbe il "coraggio" e la forza umana e intellettiva di produrre, costruire, interpretare, proprio nel periodo peggiore che poteva apparire, o migliore per assumere sempre più forte l'impatto della denuncia, del pericolo e della paura.
Charlie Chaplin, con "Il dittatore" ha portato nei secoli a venire la forte denuncia, in modo intelligentemente satirico, di una dittatura e di un personaggio, al tempo Hitler, che calza benissimo anche per altri e alti personaggi capi di stato dopo questo nazista. La figura del povero barbiere ebreo che si trova improvvisamente merce rara da bruciare e vendere per volontà di un suo "gemello" , Chaplin voleva gridare al mondo intero che costui era pericoloso, che acclamarlo avrebbe portato alla rovina, ma nessuno ascoltava, persino l'America stessa ne era entusiasta, e allora il povero barbiere diventa l'icona del sistema che lotta e si ribella ad un "pagliaccio" a cui è dato di "giocare" con il mondo, proprio come lo rappresenta, con un'acuta scena, il regista-attore, un mappamondo leggero con cui Hitler palleggia e balla in un fare divertito e sommessamente compiaciuto di avere proprio il mondo tutto tra le sue mani.
Scene di un'attualità impressionante e satira sono la miscela perfetta per questo meraviglioso film, la figura femminile si può osare dire che sia stata la migliore rappresentazione che il regista abbia potuto ottenere, la grandissima interpretazione di Paulette Goddard oggi avrebbe meritato un oscar assolutamente. Interessante la figura di Napaloni (Mussolini), spiccatamente recitata dal grande Jack Oakie e divertentissima la scena del fatidico lancio di torte, emblema di un film muto ormai alle soglie del declino, durante una discussione di politica estera tra questi due statisti.
Chaplin era ebreo, era nel film il povero barbiere, era nel film il buffone di Hitler e sinceramente tutte e due le parti avevano una sottile sfumatura di umanità perduta, il primo per volontà del secondo, il secondo per volontà degli eventi che se ne liberava gettandoli sul primo. Un film tutt'ora, anzi direi quasi attualissimo, che dovrebbe essere monito in questi giorni di discussioni che non portano a niente, anzi che navigano a gonfie vele verso un futuro che non ha futuro.
Chaplin forse aveva previsto anche questo nel suo Hitler interiore, nel suo barbiere, nel suo essere ebreo.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Locandina del film

giovedì 21 novembre 2019

DAMIANO DAMIANI - IL GIORNO DELLA CIVETTA


Quando due grandi opere si incontrano, non c'è che dire si parla di capolavoro, e lo diventano entrambi, anche se già da sole potrebbero ottenere questo appellativo. Parlo del film del grande regista Damiano Damiani ( sempre attento ai problemi sociali) “ Il giorno della civetta” e mi riferisco per altro al romanzo di Leonardo Sciascia da cui è tratto.
Un film interamente girato nella Sicilia di allora, compresa anche la stupenda Palermo (sarà il vicino paese Partinico), il perfetto scenario non solo fisico ma psicologico e morale, per l'esternare le basi di questa pellicola che poi si rifanno al libro stesso, la mafia e l'omertà, il messaggio di forte denuncia sul profondo radicamento mafioso della popolazione, un messaggio incisivo nel libro di Sciascia ma altrettanto voluto e al tempo stesso coraggioso, del regista.
Partendo da un omicidio di assoluto stampo mafioso di un imprenditore edile, il personaggio principale, interpretato da un esemplare Franco Nero, il capitano Bellodi di origine settentrionale, indaga nonostante l'omertà, le incresciose difficoltà, la pressione dell'ingranaggio mafioso che tende a far passare questo delitto per una questione di gelosia. Riuscirà a far arrestare il boss mafioso don Mariano, ma saranno sforzi vani perchè il sistema assolutamente malato, riuscirà a sopravvivere.
Una bellissima e bravissima Claudia Cardinale e Tano Cimarosa saranno poi premiati con un meritatissimo David di Donatello. Una bellissima e pulita regia, una pellicola da non dimenticare e ancora vivissima e attuale per poter essere vista.
Roberto Busembai (errebi)
Immagini web: Locandina del film e alcune scene