Uno scrittore molisano, uno dei tanti che il dopoguerra si è portato dietro il senso del “dimenticato”, uno dei tanti che avevano portato avanti la libera cultura e avevano lottato per un regime che non soddisfaceva poi nessuno, non arricchiva tanto i nobili e impoveriva troppo i deboli, e una monarchia che viveva di tradizionalismo esagerato e reggeva sul popolo solo per “usanza” e “ scaramanzia”. Francesco Jovine , nato in un piccolo villaggio del Molise, racconta proprio di quel suo semplice e comune paese, le vicissitudini giornaliere di un popolo dedito al servilismo e ancora ancorato ai comandi di un nobile signore e della sua cerchia e poi sopra tutti il potere della chiesa espresso con i vari parroci e vescovi che scandivano la vita dei contadini con paure e superstizioni.
E' un verista Jovine e in questo Romanzo improntato nel periodo del regime borbonico, l'autore offre il meglio di quello che vede intorno a se, il clima che si respira quando lo scrive è uno dei più tremendi che l'Italia stia attraversando, tra il 1938 e il 1941, anni di paura, e la stessa paura che è insita in questo popolo anche nel periodo descritto. E' un libro che potremmo annoverarlo per incisività di descrizione e di portata emotiva al simile e più famoso “Gattopardo” e sotto certi aspetti per l'apporto sociale del popolo e per le loro sofferenze al “Cristo si è fermato a Eboli”, magari non ha la stessa profondità dei due nominati, ma Jovine è puro, è vero nella sua scrittura e nel vero e nel puro forse si è presi troppo da un fattore personale e emozionale.
Il titolo “ La signora Ava” è certamente tratto da una espressione molisana, “ o tiempo de gnora Ava” che sta a significare di un tempo lontano, ormai passato, quando la vita reale si mischiava con le leggende e le superstizioni.
Il libro nella prima parte descrive la vita quotidiana di Guardialfiera e della famiglia De Risio e da essi ne trasmette tutte le contraddizioni, le difficoltà, i costumi di un popolo contadino sfruttato e ridotto all'immobilismo sociale, dove non ci sono vie d'uscita e tutto deve proseguire nel “dovuto” rispetto dei nobili e nel “devoto” conseguimento degli ordini religiosi improntati sulla paura del trapasso e sulle antiche e radicate superstizioni. Vari sono i personaggi, e monotone sono le vicissitudini dello scorrere di vita di questo paese, uno dei tanti dimenticati dalla nazione e pure da Dio, perchè l'unico prete che davvero ha un poco più di carità cristiana è don Matteo cui si affidano i poveri abitanti del loco. Non manca una storia d'amore, un amore leggero pudico e al tempo stesso sbagliato, perchè anche l'amore è comandato, e il servitore di casa De Risio, Pietro Veleno, non può e non deve innamorarsi di Antonietta, perchè è deciso che sia Carmela che deve portare a nozze.
La seconda parte del libro ci porta alla rivoluzione, agli eventi di Garibaldi, a Masaniello, e comunque ancora a sottolineare di come un popolo così “allevato” possa capire e possa decidere di uno stato di cose, una rivoluzione in cui ci si trovano mischiati senza mai capirne davvero il valore, rimarranno ancora a comandare i ricchi e i preti.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: copertina del libro
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