venerdì 19 giugno 2020

DELL'OLMO E DEL POMAJO SELVATICO

In una vasta campagna, da tempo immemorabile, dominava una pianta di Olmo, ed era così tanto esteso, così tanto ricolmo di foglie, e così tanto maestoso che era refrigerio e ricovero per i vari Pellegrini con la sua grande ombra, nei mesi caldi e roventi dell'estate. Erano Pellegrini che solitamente attraversavano quel loco in quanto si trovava su un tratto di strada francigena, quella strada che portava al santuario di Roma, alla casa del Signore, e ritrovavano sotto le sue fronde quel refrigerio utile per riprendere il faticoso cammino, specie nei mesi estivi quando il sole cocente esprimeva al massimo il suo potere.
Vicino a questo Olmo vi era nato da alcuni anni, un Pomaio Selvatico, un frutteto, sicuramente nato da semi sparsi nelle primavere ventose e quivi trovato un terreno adatto per riprodursi. Ora a questo albero di frutto aveva invidia del grande Olmo, non tanto per la sua possanza, anche se lui si sentisse inferiore come volume, si vantava di avere appresso dei bellissimi frutti maturi, ma perchè spesso si domandava del perchè i pellegrini scegliessero sempre lui per riposare, quando anche lui stesso avrebbe potuto dare sollievo e refrigerio con le sue foglie, e spesso di questo i due alberi avevano a discutere, ovvero il Pomaio era solito lamentarsi e ingiuriare l'Olmo, il quale con più coscienza non rispondeva e lo lasciava ribollire nella sua rabbia.
Un giorno però capitò un pellegrino che non solo si sentiva stanco e era assai accaldato dal viaggio e dal sole, ma aveva anche un poco di fame, e visto che per arrivare alla prima locanda vi erano ancora dei numerosi passi, vedendo l'albero con i frutti ebbe subito l'ingegno di coglierne uno e di sdraiarsi proprio sotto le sue frasche alla tiepida ombra.
La contentezza e la meraviglia del Pomaio fu talmente grande che subito se ne pavoneggiò con l'Olmo:
Credevi di essere il solo, grande e possente come sei, credevi di avere il dominio solo perchè hai tanti rami e foglie, ma caro mio Olmo, come vedi io ho una cosa in più che posso donare al pellegrino, io oltre a far da ombra come te, posso anche portare ristoro alla sua fame insieme alla sua sete con i miei bellissimi frutti......”
Ma aveva ancora da che lodarsene quando improvvisamente il pellegrino si alzò di scatto da sotto i suoi rami, sputò a più non posso quello che aveva da poco addentato e irato maledisse l'albero di frutti:
Che tu sia maledetto, perchè con la vana apparenza dei frutti credi di ingannare un povero pellegrino, ma il sapore è così amaro, velenoso, selvatico che mi reca altresì dispiacere e rammarico e fuggo pure dalle tue ombre”.
Fu allora che l'Olmo modestamente ebbe a pronunciarsi rivolto al Pomaio:
Amico mio, non basta il donare, perchè il merito del dono non consiste nell'esteriore, ma nel modo in cui si porge e nel bene che ne deriva “.
La morale dettata nella novella ve la voglio trascrivere come impressa nel libro settecentesco:
Spesse volte taluno invaghito di se medesimo suppone prevalere al merito reale di coloro, che si pregiano d'un esteriore comparsa, ma che contenti delle proprie onorate operazioni non fanno pompa di quelle, che abituate nel loro cuore dall'uso di esercitarle, loro sono divenute quasi naturali.
Il maggiore risalto, che possa avere un'azione generosa si è quello di non esagerare il beneficio, anzi di rispondere a coloro, che d'ogni propria azione si vantano, con quella modestia, che dà il condimento a quello che si è operato, e che obbliga a maggior gratitudine colui, che di tale bene è stato partecipe.”
Mia libera rielaborazione tratta da “ Raccolta di varie favole delineate e incise in rame da Giorgio Fossati Architetto” edito a Venezia nel 1744
Roberto Busembai (errebi)
Immagine ERREBI

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