mercoledì 3 febbraio 2021

SALVADOR DALI' - IL SACRAMENTO DELL'ULTIMA CENA


Il mio amore e devozione verso il “Il Maestro Pittore” Salvador Dalì, è talmente grande che difficilmente riuscirei ad esprimerlo, ma al contempo, forse perchè troppo rapito dalle emozioni, per me è anche e soprattutto difficile descrivere una sua opera pittorica, già di per se enigmatica e piena di simbologie e riferimenti consci e inconsci dell'essere umano. Oggi però con la più assoluta riserva ma con una volontà e un desiderio impagabile vi voglio accennare a un'opera che io amo particolarmente, mi riferisco a “Il sacramento dell'ultima cena” opera datata 1955 (per la cronaca l'anno della mia nascita).

Salvador Dalì, il pittore surrealista, colui che si avvalse e conobbe i “geni” dell'inconscio e dell'animo umano, Sigmund Freud e il gesuita Teilhard De Chardin, l'artista ossessionato dalla numerologia e dalle proporzioni e che ne traccerà sempre e con cognizione e precisione sulle sue tantissime opere pittoriche, l'artista che si dichiarava non credente all'esistenza di Dio, ma che dipingeva comunque il dubbio umano in una particolare sacralità e finezza da considerarlo sospeso in un trapasso tra il giusto e il non, tra il sacro e il profano, insomma nella eterna incertezza naturale che ogni essere umano credente o meno spesso si pone nella vita terrena.

Dalì iniziò questa meravigliosa opera con l'intento di “smantellare” l'iconografica scena del l' Ultima Cena di Leonardo, per costruirne una più eterea ma che avesse un impatto assolutamente tra l'inconscio e il reale. Usa come paesaggio intero l'amata baia di Port Lligat, sovrapponendovi in “trasparenza” la figura massima del Cristo, già questa simbolica trasformazione assicura la divinità come parte interiore e esteriore dell'umane cose, del mondo intero, Cristo è presenza. Si parlò al tempo di quasi blasfemia in quanto i tratti del volto del Cristo appartengono al quelli della sua amata, Gala, al donna che spesso appare in quasi tutti i suoi dipinti, ma l'arte non deve e non può avere limiti e soprattutto bisogna cogliere l'intento dell'opera stessa, l'impronta più importante del suo Cristo non era tanto la visione reale del volto, ma il suo esprimere e il suo sentimento, un Cristo che emerge dal mare e con la sua sinistra si tocca il petto a dichiarare “io ci sono, sono io il Redentore” e con la sua destra a enumerare i cinque elementi che sono la base della vita, a rimarcare che Lui è la presenza in ognuno di essi (Spirito, aria, terra, acqua, fuoco), o anche a sottolineare la Santa Trinità.

Intorno i dodici apostoli prostrati al suo insegnamento e sulla grande tavola un pane spezzato e un solo bicchiere da cui parte la luce che si diffonde e si moltiplica, il tutto racchiuso in una figura geometrica, un dodecaedro (dodici facce come i dodici apostoli) inscrivibile in un una sfera, ovvero la perfezione cosmica, la vera e misteriosa armonia dei cieli.

Sopra di loro, tra le figure dell'Ultima cena e il cielo che li sovrasta appare a braccia allargate un Dio (o Cristo) senza volto a sottolineare la sua trasfigurazione per la salvezza dell'umanità sulla nuova vita.

Una nuova alba, un nuovo giorno si apre all'orizzonte, la speranza vince e si consolida, la presenza surreale e mistica sono emblematicamente apportate per la conoscenza.....

Molte e ancora molte sarebbero le letture su questa magnifica opera, abbandoniamoci per ora a osservarla per la sua integrità pittorica e ognuno ne apprenda quello che riesce farsi emozionare, io adoro questo quadro per l'intenso messaggio che a me pare voglia esprimere, la salvezza del mondo è sempre presente, sempre in ogni nuovo giorno.


Roberto Busembai (errebi)


Immagine web: Salvador Dalì – Il sacramento dell'Ultima Cena (1955)

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