Era l'anno 1816, una grande e bellissima fregata a vela francese, la Méduse, che era stata varata solo sei anni prima, si incagliava sulle secche del Banc d'Arguin vicino alla Mauritania, fu appurato che l'incidente era dovuto all'inesperienza dell'allora comandante Duroy. Vani furono i tentativi di disincagliare lo scafo e la nave dovette perciò subire l'abbandono su sole 6 piccole imbarcazioni di salvataggio, i passeggeri in più furono fatti salire su una zattera che fu trascinata dalle barche. Ma qualcosa non andò secondo i piani, o forse volutamente, ma la zattera fu abbandonata al suo destino. Subito perirono venti persone e altre, al calarsi della notte, si suicidarono. La zattera con i superstiti rimasti vivi andarono alla deriva per ben 15 giorni, verso i 9 giorni vi furono a bordo atti di cannibalismo, quando il battello Argus riuscì a salvare i pochi rimasti dei quali cinque morirono nella notte. Fu un fatto che ebbe molta risonanza all'epoca e dove i giornali dettero molto spazio alla notizia anche aiutati dalle testimonianze dei sopravvissuti. La giustizia comunque non si fece, come di solito, sentire, infatti il capitano che nelle norme vigenti del tempo avrebbe dovuto essere condannato a morte per simili atti, venne condannato a soli due anni di carcere e alla radiazione dal registro navale.
Il giovane artista Géricault, all'ora 27enne, fu colpito da questo fatto e colse l'occasione per crearsi notorietà, cercando di rappresentare questa tragedia. Per far si che la cosa gli venisse il meglio possibile, intervistò personalmente due sopravvissuti e costruì pure un modellino e vari bozzetti prima di mettersi al lavoro sulla grandissima tela, infatti è un enorme quadro di circa 35 metri quadrati, che a vederlo dal vivo non si può che rimanere impressionati e esterrefatti.
Infatti la composizione provoca proprio una serie di emozioni, partendo dallo sconforto fino a raggiungere la speranza, i personaggi sono “abbandonati” al destino delle onde e di un Dio che possa salvarli, ognuno è impegnato a salvarsi, pure quei tre che sventolano le camicie per farsi notare dalla nave in lontananza. La zattera è sempre più instabile e questo senso lo percepiamo non solo fisicamente, ma soprattutto moralmente, siamo partecipi del loro destino, delle loro paure, delle loro incertezze, attendiamo anche noi una nave che ci riporti la speranza e la salvezza, vogliamo ritornare ai nostri cari, ai nostri sogni, alle nostre umili dimore e dimenticare le oscenità e i disprezzi che , forse, la paura e l'egoismo ( come per questi superstiti la fame) ci ha portato a odiarci gli uni contro gli altri. Ognuno è purtroppo solo con se stesso di fronte alla morte e solo con essa crede di combattere per restare vivo.
La zattera della Medusa di Théodore Géricault sta ancora metaforicamente e instabilmente galleggiando nella speranza di una svolta non più troppo lontana.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Théodore Géricault – La zattera della Medusa
Nessun commento:
Posta un commento