Se si fossero eseguite le volontà del Maestro, questa tela forse non avrebbe avuto il successo (meritato) , perché Mantegna lo tenne per molto nel suo studio in quanto desiderava che fosse collocato ai piedi del suo monumento funebre.
Ma contravvenendo a questi desideri, il figlio Ludovico lo cedette con altre opere a titolo di pagamento (alcuni ritengono come dono) ai Gonzaga.
L’opera da allora in poi raggiunse la notorietà e al contempo assunse quel valore mistico che a ogni opera devozionale si rispetti facendone icona al tempo stesso di immagine di dolore.
Molti furono i tentativi di copiatura, alcune con addirittura la firma falsa dell’autore fino ad arrivare ai primi dell’Ottocento quando il creatore della Pinacoteca dell’Accademia di Brera, Bossi, la scoprì in possesso della famiglia Aldobrandini di Roma riuscendo ad acquistarla ma il problema che insorse era farla uscire dai confini dello Stato del Pontificio in quanto vigeva una ferra legge che vietava in maniera assolutamente indissolubile l’uscita di opere d’arte dal presente Stato a salvaguardia delle opere stesse che non venissero disperse nei paesi “esteri”.
Leggenda o verità o un misto delle due, narrano che fu l’inventiva del Maestro Antonio Canova, il quale usando un’astuzia simile a quella del Cavallo di Troia di Ulisse, nascose l’opera nell’imballaggio di una sua scultura che era diretta a Milano. Il destino volle la tela arrivasse sorprendentemente intatta, sorprendentemente perché essendo una tela dipinta a tempera magra era altroché soggetta a deterioramento e sorprendentemente perché durante il trasporto l’opera del Canova arrivò interamente distrutta.
E’ un’opera dalla visione prospettica alquanto particolare e unica, assolutamente geniale, dove la figura del Cristo viene osservata dal basso e dai piedi, una prospettica che ha fatto insorgere spesso anche critiche notevoli, oltre che lodi, soprattutto se l’opera stessa essendo esposta solitamente in alto fa si che il senso prospettico alteri in maniera incongruente le misure, come i piedi che apparirebbero troppo piccoli, le gambe corte rispetto a tutto il corpo ecc….
Nel 2013 il regista Ermanno Olmi usò un’esperimento che dava onore all’opera stessa in quanto la inserì in una stanza completamente dipinta di nero e la collocò a un’altezza di circa sessantasette centimetri da terra, tale da doverla osservare inginocchiati, come le tre figure che appaiono nella tela stessa, che poi sarebbe stata la vera collocazione pensata e voluta dal Maestro stesso.
L’opera d’arte in se stessa è di una valenza particolare, che invade il sentimento umano e irradia quel senso di dolore dovuto alla mancanza di un familiare o una persona cara, offrendo ancor di più il pathos in quanto trattasi di una figura, la più eccelsa, della religione cristiana.
Le tre figure che ho appena accennato altro non sono che la Madre, la Madonna, addolorata e piangente, San Giovanni e l’altra forse la Maddalena, tutte e tre adattate al taglio della tela, una tecnica che sarà poi ripresa dal grande Caravaggio.
Il letto di marmo venato, e le venature sembrano quasi la scia delle lacrime della Madonna, il nero assoluto intorno a sottolineare la morte, il vaso degli unguenti che sottolineano la preparazione del corpo al lungo viaggio, il cuscino dipinto con eccezionale tecnica da farlo credere di seta, il livido colore della morte sul volto e sul corpo del Gesù, un pallore che poi Raffaello userà e estenderà anche sul volto affranto della Madonna nella sua stupenda Deposizione, il Cristo assolutamente morto, gli occhi chiusi, le labbra quasi serene, il corpo totalmente abbandonato dalla sofferenza, fanno si che questa opera, oltre alla visione prospettica sopra detta, raggiunga il più alto livello della pittura e del naturalismo.
Un’opera a cui il cinema molto spesso si è avvicinato usandone proprio l’intera rappresentazione prospettica, come il corpo del marinaio morto nel famoso film “La corazzata Potemkin” di Sergej Ejzenstejn, oppure Pier Paolo Pasolini che la usa per la rappresentazione della morte del ragazzo in carcere del famoso film “Mamma Roma” o Federico Fellini in Satyricon o la più famosa scena del cadavere dell’astronauta Bowman in “Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick.
Roberto Busembai (errebi)
Immagine web: Andrea Mantegna – Cristo Morto ( Pinacoteca di Brera, Milano)
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