martedì 11 giugno 2024

RAFFAELLO SANZIO - LA MUTA


Si resta muti quando ci meravigliamo di un evento o una soluzione e non abbiamo più termini o parole per dimostrare la nostra “sorpresa”, il nostro stupore e di come tutto ciò, a volte, abbia potuto accadere, o restiamo muti e silenti di fronte a un evento triste, a un addio compito, dove le parole ormai anche ci fossero non basterebbero a colmare il dolore che ci sovrasta.
Si resta muti e basta in tante occasioni dove noi piccoli umani dobbiamo soccombere per incapacità e impossibilità di poter fare diversamente e dove le nostre umili parole altro non sarebbero che piccolissimi granelli di sabbia in una vastità d’immenso deserto.
E oggi spesso ci si sente muti e attoniti, e per questo ho ritenuto giusto prendere come spunto, questa meravigliosa opera di Raffaello ( creduta in un primo tempo di Leonardo da Vinci per alcune similarità) ,titolata appunto “Muta” per l’espressione indecifrabile, quasi “muta” di questa donna che si presume soccomba a un enorme dolore, quello della morte del marito.
E’ tutt’ora un mistero irrisolto, la figura rappresentata da Raffaello ha avuto diverse letture e diverse sono state le appartenenze attribuite, in ultimo ancora rimane più verosimile l’essere riconosciuta come il ritratto di Giovanna da Montefeltro (figlia di Federico da Montefeltro) , moglie di Giovanni della Rovere, ritratta appunto dopo l’avvenuta morte del congiunto divenendo lei stessa la reggente dei Feudi Urbinati.
L’impossibilità di dare la certa identità è dovuto anche al fatto che mancano persino informazioni sul committente, l’unica cosa certa è che venne realizzata intorno al 1507 a Firenze dove il Maestro risiedeva e operava e dove fu scoperta intorno al 1666 nell’eredità appunto del cardinale Carlo de’ Medici, e tutto questo porterebbe comunque a presupporre che il committente derivasse proprio dalla famiglia della Rovere in quanto furono loro a finanziare il soggiorno di Raffaello a Firenze.
Da quel giorno l’opera ha sempre subito notevoli cambiamenti, in primis trova residenza a Palazzo Piti, poi alla villa medicea di Poggio a Caiano, poi agli Uffizi di Firenze nel 1773 per poi in età moderna trovare fine alla Galleria Nazionale delle Marche.
Che la “Muta” non trovasse mai pace lo sottolinea anche una curiosità, infatti il 6 febbraio 1975 l’opera, insieme alla Madonna di Senigallia e alla Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca, viene rubata dove però l’anno seguente fortunatamente viene ritrovato il tutto a Locarno.
Il ritratto di questa dama, che per alcuni aspetti rimanda alla Gioconda di Leonardo da Vinci, denominata muta, racconta invece con la sua compostezza, con quella fissità degli occhi, tutta la sua tristezza, uno sguardo lontano, vacue. Il lutto sembrerebbe accentuato appunto dalla veste di colore verde che simboleggia appunto vedovanza e dal fazzoletto nella mano sinistra.
Le mani sono raccolte ( questo atteggiamento riporta a un’influenza nordica) anche se l’indice è rialzato quasi a indicare un qualcosa che a noi non è dato di vedere.
Simbologie ne troviamo anche negli anelli come il rosso rubino che ha sull’anulare sinistro che simboleggia la prosperità e lo zaffiro sull’indice sinistro che è un puro e assoluto simbolo di castità.
Mistero o no, questa opera lascia comunque ancora di più intendere il sapiente e grandioso talento di Raffaello e del suo “gentile” pennello nel trasmettere sentimenti e situazioni.
E Muti rimaniamo anche noi di fronte a questa meraviglia, perché le parole anche ci fossero non servirebbero, parla da se.

Roberto Busembai (errebi)



Immagine web: “La muta” – Raffaello Sanzio (Olio su tavola, 1507, 64x48cm) – Galleria Nazionale della Marche (Urbino)


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