lunedì 17 giugno 2024

VINCENT VAN GOGH - SULLA SOGLIA DELL'ETERNITA'


C’è una malattia subdola, venale, viscida, che s’insinua nella mente dell’uomo e lo divora piano piano, giorno dopo giorno, ora dopo ora, e non esiste forza che possa arginarla, sconfiggerla, deteriorarla, è senza dubbio la depressione. La depressione deturpa l’aspetto interiore dell’uomo, lasciandolo solo, inetto, incapace, opaco, affaticato e desolato, con una miriade di difficoltà che altro magari sono le consuete abitudini del giorno. L’uomo si isola, odia l’intorno, disprezza anche e fortemente se stesso e nei peggiori dei casi pensa anche a compiere atti estremi alla sua incolumità conservativa.

Vincent Van Gogh, il Maestro eccelso dei colori, dei prati e della luce, di questa malattia ne combattè pienamente e ne fu pure lo scopo dei suo straordinari quadri, tanto da esserne ossessionato dai colori stessi, i gialli soprattutto che forse erano ancor più accentuati dall’abuso di assenzio che causa appunto xantopia(visione gialla delle cose). In ogni suo quadro pur vivo e lucente racchiude tutta la sua angoscia e dolore quotidiano.
“Sulla soglia dell’Eternità” il Maestro porta all’identificazione vera e propria della depressione, trasportandola in quel vecchio seduto, chinato in avanti che si copre il volto con i pugni. Un dolore che soltanto chi lo ha provato e lo prova può così bene rappresentare o al contempo comprendere.
Questa opera venne iniziata negli ultimi momenti di vita del Maestro, in un attimo di convalescenza e terminato a pochi mesi dalla sua scomparsa, venuta a causa di una ferita da arma da fuoco, che pare procuratesela da solo.
Analizzando il quadro vi sono vari elementi che ci portano a pensare alla depressione, i colori in primis sono opachi, scuri e trasmettono a guardarli un senso puro di distacco e di tristezza, il gesto dell’uomo è chiaramente identificativo del dolore, del pianto e della disperazione. Ed è difficile non entrare in empatia con questo anziano. Vi sono molte linee verticali, come sulle assi del pavimento, sulla sedia e sul muro che creano quel voluto senso di disagio della stanza, mentre alcune linee orizzontali come quelle di alcune parti della sedia, scandiscono proprio il conflitto che spesso la malattia si trova a combattere, tra il caos e la calma, momenti scanditi durante la giornata in un tragico alternarsi.
C’è comunque in tutto questo quadro anche un accennato senso di speranza che è dato dal fuoco sullo sfondo.
Van Gogh con questo quadro ci parla direttamente, anche se quell’uomo non è il suo autoritratto, lo è comunque nelle sensazioni, nel dolore, nell’angoscia che esprime. Uno stile artistico tra i più grandi per la capacità di trasmettere emozioni così altamente profonde.

Roberto Busembai (errebi)

Immagine web:Vincent Van Gogh – Sulla soglia dell’etertnità (1890 


 80x64cm) – Kroller Muller Museum di Otterlo (Paesi Bassi)





martedì 11 giugno 2024

RAFFAELLO SANZIO - LA MUTA


Si resta muti quando ci meravigliamo di un evento o una soluzione e non abbiamo più termini o parole per dimostrare la nostra “sorpresa”, il nostro stupore e di come tutto ciò, a volte, abbia potuto accadere, o restiamo muti e silenti di fronte a un evento triste, a un addio compito, dove le parole ormai anche ci fossero non basterebbero a colmare il dolore che ci sovrasta.
Si resta muti e basta in tante occasioni dove noi piccoli umani dobbiamo soccombere per incapacità e impossibilità di poter fare diversamente e dove le nostre umili parole altro non sarebbero che piccolissimi granelli di sabbia in una vastità d’immenso deserto.
E oggi spesso ci si sente muti e attoniti, e per questo ho ritenuto giusto prendere come spunto, questa meravigliosa opera di Raffaello ( creduta in un primo tempo di Leonardo da Vinci per alcune similarità) ,titolata appunto “Muta” per l’espressione indecifrabile, quasi “muta” di questa donna che si presume soccomba a un enorme dolore, quello della morte del marito.
E’ tutt’ora un mistero irrisolto, la figura rappresentata da Raffaello ha avuto diverse letture e diverse sono state le appartenenze attribuite, in ultimo ancora rimane più verosimile l’essere riconosciuta come il ritratto di Giovanna da Montefeltro (figlia di Federico da Montefeltro) , moglie di Giovanni della Rovere, ritratta appunto dopo l’avvenuta morte del congiunto divenendo lei stessa la reggente dei Feudi Urbinati.
L’impossibilità di dare la certa identità è dovuto anche al fatto che mancano persino informazioni sul committente, l’unica cosa certa è che venne realizzata intorno al 1507 a Firenze dove il Maestro risiedeva e operava e dove fu scoperta intorno al 1666 nell’eredità appunto del cardinale Carlo de’ Medici, e tutto questo porterebbe comunque a presupporre che il committente derivasse proprio dalla famiglia della Rovere in quanto furono loro a finanziare il soggiorno di Raffaello a Firenze.
Da quel giorno l’opera ha sempre subito notevoli cambiamenti, in primis trova residenza a Palazzo Piti, poi alla villa medicea di Poggio a Caiano, poi agli Uffizi di Firenze nel 1773 per poi in età moderna trovare fine alla Galleria Nazionale delle Marche.
Che la “Muta” non trovasse mai pace lo sottolinea anche una curiosità, infatti il 6 febbraio 1975 l’opera, insieme alla Madonna di Senigallia e alla Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca, viene rubata dove però l’anno seguente fortunatamente viene ritrovato il tutto a Locarno.
Il ritratto di questa dama, che per alcuni aspetti rimanda alla Gioconda di Leonardo da Vinci, denominata muta, racconta invece con la sua compostezza, con quella fissità degli occhi, tutta la sua tristezza, uno sguardo lontano, vacue. Il lutto sembrerebbe accentuato appunto dalla veste di colore verde che simboleggia appunto vedovanza e dal fazzoletto nella mano sinistra.
Le mani sono raccolte ( questo atteggiamento riporta a un’influenza nordica) anche se l’indice è rialzato quasi a indicare un qualcosa che a noi non è dato di vedere.
Simbologie ne troviamo anche negli anelli come il rosso rubino che ha sull’anulare sinistro che simboleggia la prosperità e lo zaffiro sull’indice sinistro che è un puro e assoluto simbolo di castità.
Mistero o no, questa opera lascia comunque ancora di più intendere il sapiente e grandioso talento di Raffaello e del suo “gentile” pennello nel trasmettere sentimenti e situazioni.
E Muti rimaniamo anche noi di fronte a questa meraviglia, perché le parole anche ci fossero non servirebbero, parla da se.

Roberto Busembai (errebi)



Immagine web: “La muta” – Raffaello Sanzio (Olio su tavola, 1507, 64x48cm) – Galleria Nazionale della Marche (Urbino)